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E' la storia di Mark e degli altri compagni di scuola del suo liceo, della loro vita e delle avventure capitate a quell'età. La scoperta del mondo degli adolescenti, dei loro problemi e dei loro pensieri, a confronto con quelli di altri mondi, molto più simili di quanto si creda. E tutto in un ambiente di paese, dove giungono le finlandesi, per merito di un professore lungimirante in tutti i sensi. Un po' lo stesso personaggio di Un sorriso all'orizzonte, che non ha completato gli anni per la pensione. Il romanzo è adatto a qualsiasi tipo di pubblico, ma in modo speciale è rivolto ai giovani e agli studenti delle superiori per la storia e il tipo dei protagonisti. Esso è ambientato ai nostri giorni, in un piccolo paese del sud Italia e a Nokia, in Finlandia. Quindi buona lettura. Qui c'è un breve riassunto, la quarta di copertina, il sommario e le prime delle 304 pagine del romanzo. E' possibile acquistarlo, senza spese di spedizione, direttamente via internet cliccando qui. Tutti i libri, romanzi ma anche saggi, sono elencati nella pagina qui collegata. Ambientazione del romanzo
RiassuntoMark
viveva in America, ma era
italiano nel cuore. E pensava che un giorno o l’altro sarebbe tornato
dalla
zia, in paese, che era sola e vecchia. Poi morì suo padre, il fratello
di lei, e credette che fosse il momento giusto, appena finiti i
diciotto
anni, la maggiore età, per viaggiare solo.
I nuovi compagni di scuola lo accolsero bene, per le sue dimostrazioni di forza, come quando lanciò il pallone fino al tetto della palestra, a rompere i vetri della copertura. Però ci pensò il professor Riccardo a portare una certa luce in classe, con la sua passione per internet e l’organizzazione, via rete, di uno scambio culturale con una scuola finlandese. Quando furono scelti i tre migliori alunni: Marco, così ribattezzato, Donato e Claretta, per passare un mese a Nokia. E lì nacquero amicizie e presunti amori con le bionde ragazze del nord, grazie alla vivacità degli italiani e alla bellezza di quelle terre lontane. Quando ci furono cenette, avventure, scampagnate e oltre. Tutto ciò che animava le menti degli adolescenti, quali erano tutti, tranne Marco, l’istitutore della compagnia. Lui adulto. Il mese prescritto della durata divenne più del triplo, a causa d’incidenti di percorso che ognuno patì. Rimediabili, e meno male. Poi scesero le scandinave, l’anno successivo, a rallegrare la vita di paese, quando trovarono il mare, finalmente, caldo e dolce, quello che loro non avevano per i sognati bagni al sole. E ci fu altra gioia, forse la felicità, quella che tocca molto da vicino chi sta per sbocciare alla giovinezza. Infine nostalgia, salutata dall’affettuosa mano di Claretta, in fondo alla storia. Quando l’estate diventa una stagione spensierata della vita stessa. Sommario Capitolo
1 – Quanta rabbia
Capitolo 1 – Quanta rabbia (estratto, per scaricare il primo capitolo intero clicca qui) Come spesso gli succedeva da un po’ di tempo anche quel giorno aveva perso la pazienza, se davvero si può dire così. Sì, perché lui ne aveva a bizzeffe e la usava per aggiustare orologi meccanici, per infilare l’ago della madre, per ritrovare qualcosa di minuscolo atterrato tra i piedi dei presenti, per cercare nel pagliaio un filo di erba verde. Qualunque cosa dove occorressero prudenza, attenzione, concentrazione e, appunto, calma e gesso. Ma quando era troppo era troppo, lui lo sapeva, il povero Mark, mai capito abbastanza nella sua famiglia, forse scompigliatasi nelle menti e nei ricordi dal momento che erano giunti in quella terra promessa, per lavoro, per allegria, per trovare una pace che stentava a essere presente e non per colpa sua. Perché a quasi diciotto anni, maggiorenne lì per lì, non avrebbe dovuto sopportare lamentele, raccomandazioni, o anche offese, sottili, di quelle che solo lui sentiva, o apprezzava come intensità, da altri solo appena percepite. Mark era diverso in tutto ciò. Soffriva, dunque, anche quel giorno quando si parlò della zia morta, in famiglia. Eppure era festa, l’8 di dicembre, quasi Natale, già la tv rompeva le scatole con alberi e palline, regali, musichette varie e dolci italiani, anche là, nelle viscere dell’America dove vivevano da almeno quindici anni, loro. Veramente erano emigrati tutti dal paese, i fratelli e le altre sorelle del papà. Poi ognuno per conto suo tranne una zia, quella di cui si era discusso, e uno zio che era entrato in affari con quel padrone di casa che si credeva anche proprietario delle vite degli altri e della sua, appunto, quella del figlio Mark. Oddio, non è che non lo facesse sentire anche nei riguardi della altre due sorelle e della madre, ma era un’altra storia, meno densa di significati, quasi normale, oppure, a ben pensarci. Ma non ne aveva voglia quel maledetto giorno e non ci rimase su. Era sceso di colpo in garage e aveva prelevato la sua bici, quella acquistata dopo varie insistenze e sacrifici anche suoi, perché aveva partecipato con alcuni risparmi provenienti da una modesta paga estiva per il lavoro fatto nell’impresa di famiglia. Ecché? Doveva anche lui sgobbare a quella tenera età? Non era giusto, comunque lo fece, proprio per avere quella bicicletta da professionisti dell’asfalto e anche oltre, quasi da fuoristrada. L’aveva inforcata con ansia e rabbia, tutta quella posseduta in corpo, nel suo grande fisico modellato dalla palestra che non si faceva mancare al minimo due volte alla settimana, di pomeriggio, dopo gli studi e prima della cena. Allora. Quando tornava sfinito a mangiare qualcosa e che cosa! Era vero, si abbuffava, mai sazio, ma non era uno sfogo. L’altezza, le spalle larghe, le mani grosse, il quarantasette e mezzo delle sue scarpe in qualche modo dovevano essere alimentati. E allora si sistemava per il rito e sgranocchiava intere fette di pane in un paio di bocconi, poi anche pasta italiana, regolarmente, a ricordo di, e carne. Quella non doveva mancare mai, caspita. Come lo sostieni un fusto del tipo? E per fortuna che il padre non si lamentava al riguardo. Anche lui era di buona forchetta, un po’ per il lavoro, quello che ormai faceva fare ad altri, figlio compreso. Lui solo a ordinare, comandare, impartire, consultare, visionare, armeggiare carte, vedere, criticare e tante altre arti del genere che avevano stufato non solo Mark. E come meravigliarsi, visto che gli operai resistevano al massimo qualche mese? Ecco, giusto il tempo di capirlo e poi lasciarlo al suo destino, irrequieto, a dire poco, a volergli bene. Oppure rabbioso, incazzato nero carbone quasi a ogni ora, al minimo movimento del vento, a ogni piccolo rumore, a ogni cinguettio di uccelli, a ogni suono del campanello di casa. Persino quando il postino batté per portargli buone novelle, allora. Soldi, e anche tanti, un assegno, che lui baciò. Ma, appunto, solo dopo, quando si era sbollentato e immesso nell’acqua gelida, un po’ come i polipi, almeno come raccontavano gli amici per farlo cuocere bene e renderlo morbido. Quello e questo, il pesce e lui, il padre della compagnia. Come poteva passarci sopra Mark? Certo anche lui si adirava, fremeva, avrebbe sbattuto porte e finestre, spaccato vetri, rotto bicchieri e piatti, oppure fracassato un pugno contro un muro, ammesso che non si fosse sfondato quello a giudicare dalla massa corporea, tutta magra, per l’appunto. Invece. Per la verità era successo in altre circostanze che lui pensava di ricordare, quando ero uscito furioso e aveva incocciato con lo sguardo e con la mano chiusa una parete rocciosa di un vicino. Allora si era sbucciato le nocche, o forse ricordava male, perché i vicini erano lontani. Case isolate, villette, nemmeno troppo robuste a ben vedere. Legno o rivestimenti di alluminio o plastica, quella che ti facevano entrare anche nelle budella, ormai, attraverso la pubblicità, insopportabile eppure da digerire puntualmente. Che vuoi fare diversamente? Quella rabbia gli faceva brutti scherzi. Confondeva il passato con immaginazioni, o solo letture, quella a cui si dedicava spessissimo nella sua cameretta, dopo ogni lite, quando si isolava. Almeno così credevano gli altri, quelli da basso, o chi ne veniva al corrente. Certo, perché da un po’ sospettava che il padre avesse intimato alla madre di rivolgersi a un medico. Non per curare sé stessa o chissà chi. Macché, proprio per visionare il malato immaginario o vero che fosse, quel Mark che dava i numeri da un bel pezzo a questa parte. Ora basta. Ma lui non aveva acconsentito, neanche voluto vederlo quella specie di uomo grasso e grosso, anzi piuttosto basso, solo abbondante in larghezza, tanto che neanche i bottoni della sua giacca riusciva a chiudere nelle rispettive asole. Solo il primo, quello più alto, dove iniziava la pancia e dove ancora vi era un po’ di spazio per accordarsi tra il maschio e la femmina della chiusura. Ma anche così, l’aveva visto dalla finestra di sopra, lui riusciva a eliminarlo prima che scoppiasse in faccia all’occasionale interlocutore, capace anche di atterrarlo come un colpo di schioppetta. Dunque. Al diavolo. Inutile le lunghe prediche dietro la porta, a turno, anche delle sorelle, ma a che servivano? Tutto chiuso a chiave e silenzio dal di dentro. Anzi schiamazzi che disturbavano la lettura. Un simpatico libro italiano Al di là dei suoi pensieri, autore stravagante, oppure un po’ pazzo, come volevano i familiari che fosse dichiarato ufficialmente lui, Mark. «Andate a farvi fottere!» fu la risposta ad alta voce proveniente dall’altro lato dell’infisso di legno, smaltato bianco come aveva sempre voluto il solito padrone di casa. Mai un legno a vista, con le sue fibre irregolari, la sua vita, i suoi colori non uniformi, il caldo dell’aspetto, la bellezza che avevano dimenticato della natura. Quella che ancora era laggiù, in Italia, lasciata quando aveva appena compiuto due anni. E che ricordi! Gli altri ancora insistevano, ma lui aveva chiuso il romanzo, tenuto sul petto, sdraiato con le gambe sul letto, poggiato con la schiena al muro, rivestito di sughero, opera sua, questa volta, e pensava. Quell’altra zia, allora, rimasta in paese nella casa dei nonni, ora abbandonata, lei, e vecchia anche. Che cosa stava facendo? Tutto il giorno sola, una telefonata a fine mese, quando prendeva la pensione, giusto per sentire i congiunti, un po’ più per ascoltare come era cresciuto quel suo pupillo, quel Marchino di un tempo, ora americanizzato, trasformato, forse, non solo nel nome. Sempre che sia vero che si possono modificare gli aspetti e le risorse mentali degli individui, oppure se resta sempre la stessa cifra. Se, anche con il passare degli anni, cambiano le esteriorità, ma uguale rimane il contenuto, e anche il suo, italiano come si sentiva dentro, da sempre e ancora. Cavolo. Fu allora che gli era balenata nella mente l’idea di andarsene e non tornare più. O meglio, di tornare e rimanere dove era nato, tra le radici che, pure così piccolo, non aveva dimenticato. Come se quelle sono stampate in modo indelebile e non te ne liberi nemmeno a volerlo. Riappaiono quando sembrano scomparse, quando meno te lo aspetti e credi di essere qualcun altro. E che? Ma non sia mai. Meglio restare sé stessi, con tutti i propri difetti. Certo correggerli, se possibile, se concesso, se ammesso, oppure. Tanto anche gli altrui ne hanno, e allora meglio i propri che si conoscono bene e si possono anche tenere sotto controllo. Ecco, quella è una cosa buona, riuscire a sapere dove si sbaglia e indirizzare l’errore. È una parola, si disse, mentre ancora bussavano alla porta della stanza, fino a sera, sempre più flebilmente. Anzi aveva anche temuto che a un certo punto fosse arrivato qualche sceriffo in divisa, magari con un manganello o con una pistola pronta a fare fuoco per stanare il colpevole. Il reo di non ubbidire a chi lo voleva internare o chissà che. Al diavolo anche lui, allora. Dunque non più colpi, nessuno picchiava, né si sentivano parole inopportune. Dalla finestra aveva visto delle ombre andare via, ormai era buio, non aveva capito, solo intuito che era ora di scendere. Anche per la cena, quella non poteva rifiutare considerando che il giorno aveva mangiato poco. Ma nessuno fiatò, al momento, solo dopo Mark era risalito nei suoi pensieri, nei suoi appartamenti, o nel suo albergo, come aveva gridato da sotto le scale sempre lo stesso padrone, maledicendo anche qualche cosa per l’appunto, ma poco ascoltato dal figlio. Si era chiuso di nuovo e aveva preso in mano il suo computer per chiacchierare con qualche amico. Ne aveva in rete, ma solo parole senza significato, leggere, superficiali. E che vai a raccontare la tua storia a sconosciuti? Certo ci aveva anche provato, ma aveva trovato cattivi consiglieri nei casi migliori. Altre volte persone in situazioni peggiori e bisognose di aiuto peggio di lui. Quindi più opportuno abbandonare la strada, almeno in quel frangente. E continuava a pensare Mark. Sempre al paese. In fondo aveva una casa tutta per lui, quella che suo padre aveva anche risistemato alcuni anni prima e dove non era mai stato perché i genitori andavano sempre da soli in Italia. Non sapeva se per tirchieria o altro. Oddio, non è che non veleggiasse un certo senso dello spilorcio in famiglia, sempre a ragione dei comportamenti del genitore maschio, la madre comunque un po’ meno presa dal braccino corto. Più espansiva, soprattutto quando non c’era lui, il comandante in capo, il dirigente del vascello, come lui stesso chiamava quella azienda che portava avanti l’economia della zona, pareva, o della contea, o degli interi Stati Uniti, addirittura. E che taccia una volta per tutte! Non vedeva come fosse ridicolo? Poi a prendersela anche con la propria sorella, quella morta, come se l’ombra ancora funestasse non so che, come se avesse dato tanto di quel fastidio che il solo pensiero ancora facesse guai. E meno male che c’era stato lui, il piccolo Mark, a dare conforto alla zietta, quella minuta che aveva ancora davanti agli occhi con il suo affetto particolare. Lo stesso che ora credeva di poter avere dalla sorella di lei, quella rimasta italiana dalla nascita. Forse era proprio questo il pensiero che si stava facendo largo nella mente colpita dai continui battibecchi all’ora di pranzo e cena. Sì, doveva essere così. Dunque bene. Anche perché non capita a tutti di avere due zie uguali, praticamente, sia per fisico, almeno come ricordava, che per atteggiamento verso il nipote. Un prediletto. Si fregò le mani Mark quando ancora ci rifletté e continuò ancora più ardentemente a pedalare quel giorno freddo. Lui era ben imbottito, anche ai piedi, dove era costretto a comprare calzature in negozi specializzati in numeri grandi, quelli per i cestisti, come diceva. E ne era ben lieto perché si sentiva, in tal modo, un atleta, ma di quelli veri. Un professionista, insomma, che vive con un divertimento come lavoro. E magari ci avrebbe anche provato una volta, se ne avesse avuto tempo e occasione. Per ora solo un sacco di cuoio pieno di segatura, forse, appena appeso nella sua stessa stanza tra tanti altri litigi perché, secondo il burbero di casa, l’omino corto e dalla voce stridula, lui aveva danneggiato il solaio. Forse era anche vero ma Mark lo usava per sfogare la sua rabbia, per dare cazzotti senza danno, né per sé, né per gli altri. Sai, quando ti tocca un certo gigante di un metro e novanta ti mette a terra anche solo con una leggera spinta, che credi? Dunque non è meglio spostare quella grinta verso qualcosa di indolore? E poi chissà. Sarebbe anche potuto diventare un pugile e allora soldi. Quelli che suo papà amava ardentemente. Lo si era capito da un bel pezzo. Fu questo l’argomento che mise a tacere le susseguenti critiche dello stesso vecchietto, malato anche, a ben vedere. Perché visite continue dei medici della zona, anche in ospedale, almeno una volta l’anno, a curarsi. Poi di nuovo a casa ad ammalarsi e a fare ammalare gli altri. E che? Ma no, un’idea troppo schifosa, quella, anche solo così da tenerla lontana. Non è giusto. Un figlio che augura la morte del padre? Che cosa capita quando si contraddicono i progetti degli altri, di chi ti sta vicino. Oppure quando solo manca il rispetto umano. Quello necessario prima di tutto per capirsi e amarsi. Altrimenti è tutto vano, solo apparenza, solo chiacchiere, da bar, giusto per ammazzare il tempo. E questo è un peccato, perché vogliamo vivere, almeno così sembra. E ciascuno deve avere una possibilità. Caspita, aveva ancora fame Mark mentre aveva attraversato migliaia di villette a schiera, come militari in procinto di pace, con verde intorno, distanti le une dalle altre, solitarie, come le persone di quel quartiere molto abitato, nei sobborghi della città più grande del mondo, come si diceva da quelle parti. Oppure, più alta a giudicare dai suoi grattacieli, grattacapi, pensò mentre svoltò per non scendere in città. A quell’ora a che fare? Ma nemmeno a casa. Una pizza, magari. Quella sì, ci voleva eccome. Contò il denaro in tasca, mai abbastanza, sempre e solo risparmi o qualcosa passata sottobanco dalla madre, quella che stava da una parte e dall’altra, con tutti e con nessuno. Gli venne voglia di mandarla a qual paese, non sapeva il motivo, ma ci pensò un attimo, poi soprassedette, giusto dopo aver visto un’insegna luminosa. Meno male. ...
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