Narrativa
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Nove passi oltre il muro dei ricordi
romanzo
di
Raffaele Castelli

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Altri libri dello stesso autore:
  1. Solo e pensoso
  2. Una vita in un attimo
  3. Mille giornate belle
  4. La fiera di sant'Antonio
  5. Un sorriso all'orizzonte
  6. Al di là dei suoi pensieri
  7. Voglio ancora un po' d'estate
  8. La gita
  9. Un uomo nella notte
  10. La verità non mi fa paura
  11. Un software per il Paradiso
  12. Un'aquila tra cielo e mare
  13. Vite sghembe
  14. Sinistri scricchiolii nel buio
  15. Le lunghe strade della solitudine
  16. Mosche
  17. Spianare le montagne e riempire i fossi
  18. Il sole è di tutti, però la luna è mia
  19. Nigra nubes incurrebat
  20. Nove passi oltre il muro dei ricordi
  21. Un software per salire al Paradiso
  22. L'ipnotizzatore di anime stanche
  23. Elena dei castelli
  24. Angelillo, l'extraterrestre
  25. Dalla parte del cane
  26. Viaggio nell'immortalità
  27. Architettura e città
  28. Frosolone anni '70
  29. Il linguaggio
  30. Operazione Mare Nostrum
  31. I ragazzi di via Panisperna
  32. La vecchiaia è una brutta bestia
  33. Doppia identità
Nove passi oltre il muro dei ricordi, (sottotitolo del libro Lasciate chiusa quella porta), è il ventesimo romanzo pubblicato da Raffaele Castelli.
E' ambientato a Domodossola. La storia di una famiglia che, di genitori calabresi, vive nella cittadina piemontese e subisce la crisi dell'industria della zona. Perciò s'inizia una nuova attività con un negozio di casalinghi. Ed è allora che, per caso, si scopre una potente colla. Dove arriveranno con le novità che quella scoperta genera? E quella porta da non aprire. Perchè?
Poi i passi dei quattro figli, due ciascuno e uno in più di chi è capace di andare oltre, di vedere il loro passato e di restarci per sempre. Senza tornare in quel futuro che ha generato solo sciagure.
Un romanzo anche surreale che scava nell'animo umano a trovare i nostri desideri e ciò che sia davvero importante per la nostra vita. Un libro adatto a un pubblico generico ma, soprattutto, a chi ama analizzare i comportamenti umani, la psicologia, nelle varie circostanze dell'esistenza.
Quindi buona lettura.
Qui c'è un breve riassunto, la quarta di copertina, il sommario, i personaggi e le località del romanzo e le prime delle 314 pagine del libro.
E' possibile acquistarlo, senza spese di spedizione, direttamente via internet cliccando qui.
Tutti i libri, romanzi ma anche saggi, sono elencati nella pagina qui collegata.

 copertina del romanzo NOVE PASSI OLTRE IL MURO DEI RICORDI

Ambientazione del romanzo

  • la storia è ambientata, ai nostri giorni, nella cittadina di Domodossola, nel Piemonte;
  • vi è un viaggio ad Hannover, in Germania;
  • quindi il romanzo si conclude, a pochi anni dall'inizio, nello stesso luogo di partenza.

Riassunto

La famiglia di Vannuccio era di origine calabrese ma si era sviluppata, per i figli, a Domodossola, dove lui si era trasferito per lavoro. Poi c’era stata la crisi e aveva dovuto scegliere un’attività in proprio aprendo un negozio nella villa di vecchia costruzione di don Ernesto, gentilmente affittatagli.
Il patto era che si sistemasse il tetto che il fabbricato era da tempo rimasto inabitato. E ci aveva pensato prima che arrivasse quell’inverno in cui successero tante cose assurde. Giacché Vannuccio aveva portato un pallone per i due figli maschi, aveva anche due femmine, per farli giocare nel grande giardino di casa. E invece Enrico, il maggiore di sedici anni, rimasto solo al negozio, pensò bene di palleggiare e di tirare calci potenti al cielo. Quando uno di essi andò diritto e forte verso la vetrinetta interna della bottega e fece danni. Una boccetta di liquido chimico si rovesciò su alcune lastre di gomma e le sciolse. E pareva un guaio totale. Invece Fedele, il minore dei due maschi, intuì che fosse una colla formidabile e da lì partirono le ricchezze economiche della famiglia. Quando una ditta tedesca, con l’interessamento di Angelino, un professore di scuola, sottoscrisse un contratto per lo sfruttamento economico della casuale invenzione.
Eppure non fu fortuna che iniziarono i veri guai, quelli che l’eccesso di tutto, anche di denaro, ti causa. E poi la porta di una stanza da non aprire, dopo la prematura morte di Vannuccio. Dove invece i figli entrarono e videro quale fosse la vera natura della sostanza scoperta. Allora che l’uscio si richiuse di colpo e Fedele si ritrovò nel momento in cui erano appena arrivati in quella casa. Anni prima. E la storia ricominciò da lì.
Siamo sicuri di non aver già vissuto una precedente esperienza? E poi tornati indietro con la memoria che sia stata cancellata per quel tratto già sperimentato? O che ricordiamo qualche dettaglio di ciò che deve ancora avvenire? Nessuno può dirlo.
Enrico, Loreta, Lina, Fedele e Cinzia ritrovarono qualcosa che avevano perso.
 

Sommario 

Capitolo 1 – Lo scaffale.................................................................. 7

Capitolo 2 – Evacuazione............................................................. 23
Capitolo 3 – Don Ernesto e i nuovi impianti.................................. 37
Capitolo 4 – Una colla per Lucio................................................... 55
Capitolo 5 – L’altra colla............................................................... 69
Capitolo 6 – Angelino rimedia....................................................... 83
Capitolo 7 – Quella famosa ditta tedesca.................................... 99
Capitolo 8 – La lettera................................................................. 113
Capitolo 9 – Quel viaggio ad Hannover..................................... 129
Capitolo 10 – La proposta........................................................... 145
Capitolo 11 – All’ingrosso............................................................. 159
Capitolo 12 – Le prime percentuali.............................................. 175
Capitolo 13 – Ristrutturazione o restauro?................................... 189
Capitolo 14 – Disaccordi.............................................................. 203
Capitolo 15 – Lasciate chiusa quella porta!................................. 219
Capitolo 16 – Finale di ping pong................................................ 233
Capitolo 17 – Don Nicola e le braccia al cielo............................ 249
Capitolo 18 – Spari nella notte..................................................... 263
Capitolo 19 – Cincin e la salsiccia................................................ 279
Capitolo 20 – Chiudi quella porta, per favore............................. 293 
  

Personaggi nominati (in ordine di citazione):   
 
1) Fedele, il ragazzo di Domodossola
2) Don Nicola, il parroco
3) Don Ernesto, il nobile
4) Vannuccio, Giovanni Antonucci, Giovannuccio, Antonuccio, il padre di Fedele
5) Enrico, il fratello maggiore di Fedele
6) Loreta, la sorella maggiore di Fedele
7) Lina, la madre di Fedele
8) Cinzia, la sorella minore di Fedele
9) Angelino, il professore amico di famiglia
10) Simone, il sarto
11) Dio, Iddio, Creatore, Signore
12) Martino, il facchino
13) Plinio il Vecchio, il mitico
14) Donna Costanza, la sorella di don Ernesto
15) Cincin, la scimmietta
16) Marcello, l’idraulico
17) Lucio, il muratore
18) Gioacchino da Cassano, un frate cappuccino
19) Andrea da Rho, un frate cappuccino
20) Michele, il venditore di legna
21) Vincenzo, Vincenzino, Fincenzo, il responsabile della ditta tedesca
22) Tonino, il portalettere
23) San Giuseppe, il santo
24) Giuseppe, il notaio
25) Karl, il trasportatore tedesco
26) Gesù Cristo
27) Luigi Tenco, il mitico
28) San Giovanni Bosco, il santo
29) Pasquale Scarpa, l’inviato dell’università di Bologna
30) Madonna
31) Mapeo, il responsabile della fabbrica di materiali edili
32) San Gervasio, un martire della cristianità
33) San Protasio, un martire della cristianità
34) Anastasio, il pizzaiolo
35) Briscoe, il sagrestano
36) Mimì, il maestro
37) Dionisio, un compagno dell’oratorio
38) Dominique, il macellaio
39) Albertino, il figlio del dottore
40) Amedeo, il medico
41) Michelina, la venditrice di generi alimentari
42) Armando, il benzinaio

 

 Capitolo 1 - Lo scaffale (estratto, per scaricare il primo capitolo intero clicca qui)

L’inverno non era affatto finito quell’anno che pure prometteva bene per le temperature. Mai state così benevoli verso la zona, tra le Alpi e dentro una valle che pareva una prigione di freddo, altre volte. Adesso senza alcuna giornata di ghiaccio che la neve difficilmente cadeva. Anzi, per questo Fedele se l’era presa sempre, che per vederla doveva alzare gli occhi in alto e guardare l’orizzonte nemmeno troppo lontano. Le montagne che facevano da corona circolare a Domodossola. Sfondo di una piana ampia e operosa.

A dire il vero lui era originario della Calabria, ma in quanto a nascita, che si sentiva apertamente piemontese e di quelle parti, per via di padre e madre. Venuti tempo addietro, quando loro, i quattro fratelli e sorelle non erano ancora nati. Anzi quando quelli si erano spostati, appena sposati, nell’Abissinia, così la chiamavano la zona cittadina, una specie di ghetto da dove si doveva assolutamente scappare per altre sistemazioni. Ora erano una famiglia di sei persone e non si potevano sopportare quei mezzi offensivi nei loro confronti. Quasi che venissero dall’Africa, che non c’è niente da insultare, e perciò.

Per tale ragione ci si era messo anche don Nicola, il parroco natio di quelle terre e quindi capace di capire, o almeno sperava, chi non lo era. Ecco. Ma ringraziamo lui se, alla fine, comparve il fabbricato abbandonato di don Ernesto, il proprietario, che si era convinto ad affittarlo, con la condizione che fosse rifatto il tetto, che ci pioveva dentro, e meno male che solo in alcune zone precise. Che se fosse stato tutto da sistemare ci sarebbero voluti tanti di quei soldi che sarebbe stato meglio comprare una casa intera. Ad averceli!

No, perché non era solo il problema degli abissini, ma pure di dove localizzare il negozio che Vannuccio, il padre di Fedele, da quando era stato licenziato, per motivi di crisi aziendale, così dissero, dalla fabbrica di pentole della valle. Che quella era stata anche la ragione della venuta e della residenza. Altrimenti chi ci avrebbe pensato a trasferirsi tanto lontano nel freddo del nord? Be’, anche per dare un futuro diverso ai figli, a chi volesse controllare se, nel mondo, ci fossero, e c’erano, altri luoghi dove mettere radici e trovarsi bene, non solo economicamente.

Comunque adesso non interessava più nulla. Non solo perché altre preoccupazioni abbrancavano la famiglia intera, ma in quanto il negozio, roba di casalinghi, era più che stato avviato in località quasi periferia, isolato, con giardino davanti e con tante finestre sopra che pareva un edificio di una scuola. Ah, ecco.

Il fatto era che il maggiore dei fratelli, uno solo, che le altre due erano entrambe femmine, avesse da ottobre lasciato la scuola e si dedicava, ora e provvisoriamente che gli piaceva fare il falegname, alla vendita. Nei momenti in cui il padre era assente e capitava almeno una volta al mese, quando si allontanava sul treno verso la Svizzera, destinazione Locarno tramite la Vigezzina, che prendeva il nome dalla val Vigezzo, tutto a Domodossola stessa, e ci metteva circa un’ora, così si capì dalle spiegazioni della maestra, che quella aveva lo scartamento ridotto, e quello non fu chiaro. Ma era tutto ciò che Fedele aveva capito dall’una e dall’altro, il papà che adesso mancava. Ed era una giornata ancora di vacanze natalizie, prolungate per via della mancanza di riscaldamento nelle scuole, perché altrove c’era tanta di quella neve che i camion non avevano potuto viaggiare e portare gasolio dalle parti. Meno male.

No, perché così si stabiliva un tantino di equità di comportamento con Enrico che non era giusto che lui rimanesse a casa e gli altri a studiare sui banchi e prigionieri del destino. Giacché lui era stato bocciato tante volte che, per legge, non poteva più frequentare. Dunque? Doveva anche essere premiato con una festa continua? Neanche per sogno. Perciò c’era quella bilancia divina che tutto vede e sa. Così pensava il minore, parole prese da alcune prediche di don Nicola e riferite a sé stesso per definire la questione.

Fatto sta che anche Loreta, la seconda della compagnia, che frequentava il secondo anno del magistrale, si era assentata e aiutava la mamma a sfilare imbastiture varie su gonne e camicette da donna. Imparava un mestiere che non era sicuro potesse un giorno insegnare. E non perché non fosse brava, prendeva sempre la sufficienza, ma perché era troppo preoccupata delle finanze familiari e non vedeva l’ora di poter partecipare e alleviare le fatiche di Vannuccio, con le sue scorribande all’estero. Ma che bisogno c’era? Come se andasse lontano e tra gente che ti vuole male. Pareva. Impressioni di gennaio di chi ha solo quindici anni.

Fedele osservava tutto e annotava nella mente che per lui non c’erano problemi a scuola, il primo e non se ne vantava, tanto gli riusciva facile, probabilmente anche determinato dal fatto che avesse quasi un anno in più degli altri, a momenti dodici anni e quelli ancora a battagliare con gli undici, qualcuno fino a novembre. Che uno di dicembre era stato volutamente bocciato per mandarlo di nuovo in quinta elementare che non era maturo, così si sentì dire nei corridoi a giugno passato. 

Del resto aveva preso anche dieci in latino. E di quello si beava perché la stessa professoressa aveva detto che era la prima volta che le capitasse e doveva avere, pressapoco, quaranta o quarantacinque anni. No, perché era troppo grassa per rimanere sulla trentina e poi indossava anche in classe un berrettino di lana che se lo tirava di continuo di lato a meglio coprire le orecchie che lì era freddo, a suo dire, e volevano risparmiare sui termosifoni. Ad averceli!

Nel senso che Fedele si sentiva più tranquillo la mattina, quando era fuori casa, giacché loro avevano solo il camino. Quell’edificio del cavolo di Ernesto altro che suoni di campane, che il don è riservato a quelli di chiesa, o no? Era freddo, altro che. Freddissimo, a specificare per bene la cosa e mancava del tutto un qualunque tipo di impianto che lo tenesse al giusto tepore. Una roba del settecento, disse lo stesso proprietario una volta, come se una costruzione vecchia valesse più di una nuova. Perciò con il camino. Quelli quanti ne volevi, quasi uno per stanza, grandi che parevano anche maggiori della sala parrocchiale dove si giocava a ping pong.

Ah, ecco. Unica attività in cui Enrico eccelleva.

Insomma la professoressa di lettere era credibile e rimaneva persino con il cappotto, una stoffa abbastanza spessa e di colori non del tutto vivaci, sul grigio e sul bianco, qualcosa di misto, il cappuccio più scuro, che avvertiva brividi di continuo. Perciò non doveva essere troppo espansiva, Fedele non la conosceva troppo bene, era la prima volta che la vedeva da tre mesi a questa parte. Intendendo il tempo dell’estate passata. E quel dieci tondo e grasso era un marchio di fabbrica di chi viene dalla Calabria, ritenne.

Enrico pensò, allora, che doveva sentire nei confronti del fratello una certa gelosia, ma si astenne anche perché lo superava nei giochi della parrocchia ed era un mago del tennis da tavolo e della pallina. E, quindi, un po’ di equilibrio nella facoltà rimaneva tra i due.

«Fedele…» era Lina che chiamava di continuo dalla finestra. Un paio di stanze del primo piano, quelle che si erano potuti ripulire per dormire, i genitori, e lavorare da sarta che c’era maggiore luce e si risparmiava sul sole. Il resto tutto a piano terra. Compreso il negozio, dove adesso era il solo Enrico.

«Che vuoi?» ed era la verità. Nel senso che non faceva troppo freddo, gli alberi erano spogli, c’erano nuvole basse e papà ancora non tornava. Rispose.

«Vieni su…» aspettò mezzo secondo, «o vai dentro» che erano le due cose che più le premevano, ma senza perché.

«Perché?» perciò.

«Che è freddo e aiuti tuo fratello…» nel secondo caso, oppure «vienici a dare una mano sopra» nel primo.

Che non erano le migliori soluzioni per uno che studia e prende anche dieci. Allora a che serve? Lo pensò, il ragazzo, ma non lo disse. Del resto era sul punto di finire i dodici anni che lo avrebbero proiettato nel limbo delle persone che non sono ancora giovani ma mai più bambini.

Ma come? Di colpo cambio i connotati… divento un altro e mai più sarò quello di prima?!” e che male faceva a rimanere fuori? Era bello godersi gli ultimi spiccioli di spensieratezza che adesso era anche un bel guaio. Sai che figura, ma non per sé stesso, quanto per la famiglia emigrata, sarebbe se, per un eventuale caso delle cose che ti capitano, prendesse una insufficienza proprio in latino? Dopo il dieci! E le bravure dimostrate e osannate dalla signora professoressa!

«Adesso…» e non aggiunse altro. Che significava tutto e niente, secondo quello che ci si associava: vengo o resto.

«Bene» difatti la madre che aveva fretta di chiudere la finestra e non far entrare altro freddo. Che doveva essere pungente se tutti se ne lamentavano.

Ma Fedele rimase lì, a guardare il cielo bigio e calmo, i vetri della porta del negozio con Enrico dietro che mirava il paesaggio, il Sacro Monte, le Alpi innevate in cima, lontano, le case di fronte e oltre il viale della loro abitazione. Una specie di reggia se solo avesse avuto un po’ d’intonaco, canali di gronda che impedissero docce maestose per entrare e uscire, colori che mettessero una certa pur minima allegria e pavimenti interni che non fossero solo polvere e rotture. Perché, tranne i vani ricavati dalla scelta di Vannuccio, era tutto un frastuono di cose sfasciate per le quali non valeva nemmeno di spenderci il sapone e l’acqua. Chiuso a chiave e basta. Tanto c’erano spazi immensi nei quali vivere. Ma questo valeva d’estate che era stata la stagione del trasferimento definitivo e, quindi, non goduta al cento per cento. Ed era rimasto un certo amaro in bocca a tutti, persino a Cinzia, la più piccola che, interessata alla sua seconda elementare, non capiva del tutto come fosse bello giocare nei corridoi a nascondino e a correre giù e su per le scale.

Le quali, a ben rifletterci, erano di una grandezza proverbiale. Nel senso che parevano uscite da una fiaba di bambini che raccontano di enormità per attirare l’attenzione. Insomma si poteva viaggiare in quattro senza che mancasse spazio per altri di lato. E s’infilava sotto sé stessa, che partiva dal centro dell’ampio ingresso, dove potevano anche entrarci i cavalli per larghezza e altezza e s’inerpicava sotto una specie di tunnel, che era un passaggio tipo ponte, al piano di sopra. E ci si mostrava poi, a vedere dal basso, come se si provenisse da dietro e frontalmente, a benedire la folla radunatasi a vedere lo spettacolo. 

Un tempo doveva essere una cosa del genere se tutti in città dicevano di una certa nobiltà da parte di don Ernesto il quale, per la verità, viveva in un altro fabbricato da secoli di storia. Un castello. Ma di quelli veri, che aveva due torri rotonde ed era tutto di pietra vecchia, fuori. Ma fatto bene dentro, che sarebbe stato bello viverci. Chissà, un domani, se quello avesse avuto voglia di fare cambio.

«Ma che vai dicendo?» gli rispose Enrico che aveva aperto la porta del negozio per fare entrare un po’ d’aria fresca e cambiare quella stantia che parlava di detersivi e cose chimiche. Ma anche per fare largo al fratello che si era avvicinato e pareva che volesse scambiare due chiacchiere in attesa del padre da Locarno.

«Perché…» e rimase muto un attimo, «a te non piace il castello di don Ernesto?» come se fosse anche da chiederlo.

«Sai quanto ci vuole per mantenerlo?»

«Quanto ci vuole?»

«Un mucchio di soldi che solo lui che ne ha a bizzeffe può permettersi.»

«E come li ha?»

«E che ne so?» pensò, si voltò, verso la vetrinetta dove Vannuccio conserva sotto chiave una lunga serie di bottiglie di varie dimensioni e con prodotti pericolosi, aveva accennato varie volte, per sicurezza, e rispose altro, «li avrà avuti in eredità…» che era una mezza soluzione del caso.

«E quelli che glieli hanno dati, dove li hanno presi?» che quando Fedele non aveva soddisfazione era un ricercatore incallito anche solo a parole. Come adesso che aveva afferrato con i denti il fratello e lo stava imbarazzando.

Quello, che non voleva darla per vinta, e non sapeva che spiegazione fornire, si arrabattava tra mille presupposizioni, ma sempre di natura legale. Non sia mai pensare a ladrocini di qualunque genere.

«Li avranno rubati…» ecco e invece. Gli uscì spontaneamente, che non hai nulla a che fare contro i pensieri malevoli. Ti assalgono e ti ghermiscono. Non ti lasciano finché non concedi loro compiacimento, non li segui, non te ne liberi. E tutto ciò significava dire cose che non si pensavano, almeno coscientemente. Ma qualcosa ci doveva essere nella mente, altrimenti chi parlava?

«Chi ha parlato?» scherzò Fedele, che non conosceva quel modo di esprimersi del fratello, sempre attento a non offendere e ora anche senza fatiche addosso. Della scuola che il negozio è una sciocchezza nei confronti e ti diverti anche a trattare con la gente. Sempre diversa e pronta a raccontare le cose di Domodossola, sentite in piazza del Mercato e portate gratis là.

«Perché chi c’è…» che non fu proprio una domanda ma un modo di cambiare ragionamento e scansare quella simulazione di reato. Che non era affatto sicuro che ci fossero stati ladri in casa di don Ernesto. Poi lui che c’entrava?

Era quasi sempre a letto, ma non perché avesse freddo o si lamentasse di stanchezze varie del giorno prima, come chi fa le ore piccole e poi cerca le grandi del giorno dopo. Macché! Lui aveva una certa età, incommensurabile per la faccia piena di peli, rasati a metà, bianchi e ispidi, nei rigagnoli di carne scavata e lasciata seccare al sole del tempo. Oltre a baffi a malapena curati che a un certo punto ti rompi le scatole e li lasci fare come cavolo vogliono. Parve che proprio così si fosse espresso in uno dei centomila incontri prima di ottenere quel dono di nozze, quasi. Che l’affitto del palazzo era stato una fortuna. E lui, il nobile a riposo, si comportava secondo simpatia. E meno male che quella c’era, ricordo di antiche discendenze da regine della Calabria, sembrò sentire nei discorsi solitamente tra Vannuccio e lui in persona. Il quale solo allora si alzava e ospitava i signori, compreso i quattro figli, (più tre che quattro, giacché Cinzia non veniva volentieri ed era anche troppo piccola perché capisse l’importanza del trasferimento dall’Abissinia).

Fedele non sapeva, esperto anche in geografia, dove raggiungeva il nove e non aveva mai capito come mai non ci fosse un dieci anche lì, che nelle loro terre lontane ci fosse, una volta, un re. Ma può essere perché prima era così dappertutto. Ma dovette secoli e secoli addietro. Che voleva quasi chiedere per sua informazione, poi si astenne per non intralciare il ragionamento del padre. E i sorrisi del signor Ernesto che, sembrava, avesse una predilezione per le sortite del terzo della serie, in termini di figli di Lina. Vuoi vedere che anche lui era bravo in latino? No, perché ogni tanto se ne usciva con frasi che dovevano essere antiche e romane, che finivano con il bus e mancavano di vocali terminali, non troppo, ma capitava. O era dialetto della zona, quello che non si parlava in casa e per questo non del tutto digerito fuori.

«Non ci credo… quella è buona gente…» e da dove si deduceva?

«Lo pensò anch’io» Enrico allora, «ma da dove lo deduci?»

«Da come sorride… come guarda. È gentile, delicato e offre sempre il tè con i pasticcini. Ma non quelli che mamma fa da sé… altri, del tipo raffinato e ottimi da mangiare…» che significava anche fame. Del resto il fratello era alto, cresciuto ultimamente, e magro come una sorta di filo di ferro che se lo piegavi era capace di rimanere nella posizione in quanto necessitava di forze suppletive per rialzarsi e cambiare forma automaticamente.

Per questo il maggiore osservò il minore, su che cosa volesse dire. Poi, ma passarono almeno venti secondi durante i quali vide avvicinarsi Angelino, quel tizio che talora rompeva, talaltra serviva a rallegrare la scena che non sempre c’erano clienti e si vendeva, ebbe modo di guardare sé stesso. Su come fosse asciutto, troppo per giocare a pallone, che pure gli piaceva un mondo, su che cosa dovesse mangiare per mettere su carne fresca, su come allenarsi per diventare un calciatore professionista, su come riflettesse la propria sagoma lo specchio che era appena sotto la vetrinetta con i segreti del padre. E rimase imbambolato che ci fu un saluto immediato in quel momento.

«Salve ragazzi!» che era il solito parlare del nuovo arrivato.

Un tizio che aveva meno anni di Vannuccio, ma era un amicone a giudicare dalla pazienza di piemontese verso gente del sud, dalla mancanza di prese per i fondelli, dalla sua cultura che svariava in vari campi del sapere. Così diceva. E dalla presenza che era sempre allegra, anche troppo. Nel senso che aveva una voce squillante, ma squillante tanto che avrebbe svegliato un intero palazzo per via dello stridio più che della potenza energetica, se si fosse stati in uno di quei condomini che nascevano come funghi nelle zone esterne di Domodossola. Indicata per spiegare la lettera di a scuola, pensò in quell’istante Fedele.

«Ciao Angelino…» che si poteva anche salutarlo nella maniera perché quasi uno di famiglia.

I capelli erano radi, spelacchiato e pulito sul davanti, fronte alta e spaziosa per questo, più basso del genitore assente ma, in compenso, dalla pancia abbondante che si vedeva come pappasse bene a casa sua. Nel senso che ci fossero risorse per mangiare di tutto, lo constatava anche dal continuo mettersi un dito in bocca, come i bambini, ma il mignolo che è più piccolo e si adatta a scostare pezzetti minuscoli di salsicce di ogni tipo di animale, considerato che ne parlava con dovizia di particolari sul tipo di cucina. Quella che adottava la sorella che entrambi non erano sposati e avevano da consumare tante di quelle ricchezze lasciate dal padre loro che non bastava una vita per farlo. Beati loro!

«Vannuccio?...» e non aggiunse se c’era o no, ma si capì.

«A Locarno» rispose Enrico che era il vero addetto al negozio, quindi fatti suoi. No, perché pur nella modestia degli argomenti, nel senso di umiltà di proposizioni e cortesie varie, Angelino era un tantino invadente. Cosa che non faceva capire con le parole, ma con l’ansia di sapere e voler dire, un po’ come capita a chi nasconde problematiche sue e vuole sfogarle sugli altri. Tutta un’altra storia dall’eleganza di don Ernesto.

«A fare spesa?»

«Ehm… sì» a lui si poteva dirlo, «nel mese scorso abbiamo avuto molte richieste e le entrate sono andate bene…»

«Bene.»

«E abbiamo molta roba che è finita… anzi non abbiamo… ci voleva un rifornimento…» si aprì troppo, «che capita a gennaio. Si vende durante le feste e poi ci sono un paio di mesi di stanca.» Ed era la verità.

«Sì, lo so, ragazzi, vostro padre me ne ha parlato tante volte.»

«Qual buon vento?» parole imparate da Vannuccio che era solito cominciare così la conversazione con i clienti, come se a lui non interessasse incassare e fosse solo un divertimento. Ma così si fa per mettere gli ospiti a proprio agio e farli sentire a casa propria. Per invogliarli, nel caso che fossero sopraggiunti solo per chiedere e non per acquistare.

«No… e meno male…» che capì una cosa per un’altra, equivoco sul tempo, guardò fuori, si mise le mani in tasca e parve che soffrisse di un qualche dolore di stomaco.

Che sono cose che capitano, ma a chi mangia troppo e non digerisce bene. A chi osa andare oltre e mette su chili che non gli servono, alla faccia di chi deve ripartire e con estrema precisione, specialmente quando ci sono sei…

 

...