Narrativa
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La verità non mi fa paura
romanzo
di
Raffaele Castelli

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Altri libri dello stesso autore:
  1. Solo e pensoso
  2. Una vita in un attimo
  3. Mille giornate belle
  4. La fiera di sant'Antonio
  5. Un sorriso all'orizzonte
  6. Al di là dei suoi pensieri
  7. Voglio ancora un po' d'estate
  8. La gita
  9. Un uomo nella notte
  10. La verità non mi fa paura
  11. Un software per il Paradiso
  12. Un'aquila tra cielo e mare
  13. Vite sghembe
  14. Sinistri scricchiolii nel buio
  15. Le lunghe strade della solitudine
  16. Mosche
  17. Spianare le montagne e riempire i fossi
  18. Il sole è di tutti, però la luna è mia
  19. Nigra nubes incurrebat
  20. Nove passi oltre il muro dei ricordi
  21. Un software per salire al Paradiso
  22. L'ipnotizzatore di anime stanche
  23. Elena dei castelli
  24. Angelillo, l'extraterrestre
  25. Dalla parte del cane
  26. Viaggio nell'immortalità
  27. Architettura e città
  28. Frosolone anni '70
  29. Il linguaggio
  30. Operazione Mare Nostrum
  31. I ragazzi di via Panisperna
  32. La vecchiaia è una brutta bestia
  33. Doppia identità
La verità non mi fa paura, (sottotitolo del libro Non è difficile cercare l'anima persa), è il decimo romanzo pubblicato da Raffaele Castelli. 
E' la storia di Carmen che scopre di essere una figlia adottiva quando le viene svelata una mezza verità da quella che riteneva fosse la vera madre, in punto di morte. Perciò attende i suoi diciotto anni per andarsene a trovare chi l'abbia generata. Fino a Edimburgo, dove resta vari anni senza risultato, se non l'ultimo giorno della sua permanenza in città. Poi un'informazione terribile, che sopporterà. E il ritorno.
Il romanzo, del genere sentimentale ma condito di pagine umoristiche e divertenti, è adatto a un pubblico di ogni età, con particolare riferimento agli adolescenti per la storia che riguarda la protagonista.
Quindi buona lettura. 
Qui c'è un breve riassunto, la quarta di copertina, il sommario, i personaggi e le prime delle 296 pagine del romanzo. 
E' possibile acquistarlo, senza spese di spedizione, direttamente via internet cliccando qui.
Tutti i libri, romanzi ma anche saggi, sono elencati nella pagina qui collegata.

 Copertina del romanzo LA VERITA' NON MI FA PAURA (basilica di San Francesco ad Assisi)

Ambientazione del romanzo

  • la storia è ambientata ai nostri giorni, inizialmente nella città di Assisi, in Umbria;
  • ci sono brevi viaggi a Perugia e a Pescara;
  • quindi una permanenza a Sulmona, in Abruzzo, dove si svolge la prima parte della ricerca della madre da parte della protagonista;
  • il viaggio continua fino a Edimburgo, nella Scozia, dove vari capitoli sono ambientati;
  • il romanzo si chiude di nuovo ad Assisi.

Riassunto

Rita era una maestra in pensione di cento anni e Carmen la vicina di casa di nemmeno quattordici. Amiche, le due, e la prima come una nonna se non quasi una mamma, soprattutto quando la vera morì. Anzi la presunta, perché lei stessa aveva invitato la figlia a cercare quella naturale, con una frase non del tutto capita al momento. E fu molto più chiaro nel tempo, quando la ragazza scoprì nel comò i documenti dell’adozione e quei genitori che non le avevano svelato nulla prima. Perché?
Carmen cercò aiuto a tutti, allora, per risolvere il dramma personale: voleva sapere chi fosse sua mamma, un po’ meno suo padre che, intuiva, non doveva essere stato una brava persona. Immaginava. Al suo professore Giordano, che parlava con gli spiriti dei morti, poi a padre Pietro e all’amica Mimmetta di Pescara. Dove c’era traccia di un passaggio della madre, probabilmente. E lì ebbe, difatti, un secondo indizio.
Poi dovette aspettare la maggiore età per andarsene. E ci furono i problemi di chi è sola e bella. E di soldi che non aveva, se non fosse stato per Rita, che le lasciò una parte di eredità.
Fu allora che la ragazza arrivò a Edimburgo e ci rimase per anni, senza esito alle sue ricerche. Sennonché, un giorno, si presentò un tizio che le svelò segreti incredibili. E il romanziere, dove lei lavorava come domestica e segretaria, il quale aveva scritto la storia di lei, seppe, in quel momento, come chiuderla.
Allora Carmen tornò alla sua Assisi, a casa: la verità non le faceva paura.

Sommario   

Capitolo 1 – Cent'anni  
Capitolo 2 – Quando c'era la strega  
Capitolo 3 – Tutto finisce  
Capitolo 4 – Casimiro il pittore  
Capitolo 5 – La fornarina  
Capitolo 6 – Le clarisse  
Capitolo 7 – Romolo  
Capitolo 8 – Progetto di fuga  
Capitolo 9 – L'amica di Pescara  
Capitolo 10 – Il pupazzo nel forno  
Capitolo 11 – Testimoninza  
Capitolo 12 – Sedici anni 
Capitolo 13 – Viale Oceano Atlantico  
Capitolo 14 – I carabinieri  
Capitolo 15 – La maggiore età  
Capitolo 16 – Edimburgo  
Capitolo 17 – Uno studente italiano  
Capitolo 18 – Pecore  
Capitolo 19 – Il professore  
Capitolo 20 – Papà  
 

Personaggi nominati (in ordine di citazione):  

1) Rita, la maestra di cento anni 

2) Frate Pietro, un amico di Rita
3) Carmen, la ragazza di Assisi
4) Gino il Lungo, Luigi Canuto, Luigino, il padre di Carmen
5) San Francesco, il santo
6) Vittorio Speranza, Tottò, Remo, il fornaio
7) Concettina, (Isabella, Regina, Chiara), Concetta, Riccardo Cocciante, la moglie di Gino
8) Ginevra, la nonna di Carmen
9) La Madonna
10) Giordano, il professore delle medie
11) Pilla, l’ispettrice della scuola
12) Giggetta, la professoressa d’inglese
13) Caronte, il demonio
14) Giotto, il mitico
15) Speranza, la moglie di Vittorio
16) Casimiro, il pittore
17) Picasso, il mitico
18) Maria, la defunta
19) Sansone, il mitico
20) Romolo, Romoletto, Romole’, il fratello di Tottò
21) Giuda Iscariota, il mitico
22) Lino, l’aiutante del forno
23) Gesù Cristo
24) Sant’Antonio di Padova, il santo
25) Gregorio ix, il papa
26) San Bonaventura, il biografo di san Francesco
27) Mimmetta, Mimma, la ragazza di Pescara
28) Puccini, il musicista
29) D’Annunzio, il mitico
30) Garibaldi, il mitico
31) Ettore Carafa, un martire epico della prima libertà democratica d’Italia
32) Gabriele Manthonè, un martire epico della prima libertà democratica d’Italia
33) Rena, la fidanzata di Romolo
34) Presidente del consiglio, il cane di Rena
35) Venere, la mitica
36) Barbarella, l’amica di Isernia
37) Genoveffa, una ragazza della gita
38) Rubiconda, una ragazza della gita
39) Suor Filomena, la madre superiora
40) Suor Anna, una clarissa
41) Santo Stefano, il santo
42) Padre Ercole, il parroco di Sulmona
43) Signora Paolucci, la proprietaria dell’albergo
44) Giulia del Sordo, Giulietta, la madre di Carmen
45) Danny Black, il marito di Giulia
46) Circe, la maga mitica
47) Corrado, lo studente italiano
48) Noè, il mitico
49) Alì, Babà, il venditore di pelli
50) Stevenson, Remo Quirona, il professore di Edimburgo
51) Adamo, il mitico
52) Georges Bizet, il musicista della Carmen
53) Prosper Mérimée, il romanziere della Carmen
54) Escamillo, un personaggio della Carmen
55) Micaela, un personaggio della Carmen
56) Don José, un personaggio della Carmen
57) Diana, la dea della caccia
  

Capitolo 1 – Cent'anni (estratto, per scaricare il primo capitolo intero clicca qui)

Erano almeno cento anni che non nevicava in quel modo ad Assisi. E poi il primo di marzo, neanche non ci fosse stato tempo nel lungo inverno appena, o non del tutto, passato. Certo. Perché era stato terribile per il freddo. Poca neve, ma tanta pioggia e umidità che la casa di Rita era diventata una sorta di caverna. Nella cucina e nella sala attaccata alla prima, senza porta, un unico ambiente diviso solo da un mezzo muro, a metà della lunghezza, e poi o quella o questa. Praticamente dove lei viveva da parecchio, dopo la scomparsa di suo marito avvenuta almeno una trentina di anni prima.

La muffa si era imprigionata tra gli spigoli dei muri esterni facendoli neri come il formaggio di pecora quando lo tieni in una cantina. Quello basta lavarlo e asciugarlo. Ma qui? Come fare? E poi lei, alla sua bella età, soffriva anche un tantino di allergia. Oddio, non è che non avesse altri malanni. Quelli quanti ne vuoi. Sia per mancanza di aria, che per difetto di costruzione. Come lei stessa andava dicendo a chi le facesse visita. 

Per la verità molti da quando, soprattutto, c’era stata la funzione nella basilica, a due passi dalla sua casa, di frate Pietro. Lui aveva voluto dedicarle una messa, da viva, ancora, facendo gli scongiuri. Non sia mai per vie religiose, quelle sono sacre. Ecco. Ma per modo di dire, quello che scappa anche ai preti certe volte. E così, durante la predica, tutti avevano saputo di quell’anziana donna di casa. Che pure era conosciuta per la longevità, ma giammai per aver raggiunto comodamente il secolo. E sì, perché non è che fosse poi tanto malandata. Se si eccettua qualche piccolo problema, (ma chi non ne ha?), aveva ancora energia per andare avanti e consolare gli altri su questo mondo.  

Così si esprimeva quando le facevano notare. E aveva avuto anche una bella medaglia d’oro del sindaco, a ricordo futuro. Sì. Quale? Magari avesse avuto ancora quattordici anni. Proprio come Carmen. La vicina di casa che l’accudiva come una mamma.

Anzi una nonna, oppure una bisnonna. A fare bene i calcoli poteva anche essere un’antenata che si perdeva nella notte dei tempi. Comunque una brava ragazzetta quella là. Se solo sapesse come è dura la vita, quaggiù! Aveva detto una volta nel momento che le consegnò un bicchiere di acqua fresca, quella che desiderava sempre, seduta sulla sua poltroncina. Fatta apposta per le sue ossa, la sua conformazione fisica, le sue spalle, non più tanto diritte e bisognose di appoggi gradevoli e comodi.

«E che vuoi fare mia cara signora Rita…» Carmen allora, «meno male che hai persone come me che ti vogliono bene…» 

«Anche tu, però» Rita, «meno male che hai una come me… che ti fa da mamma…» misteriosa.

Sì, perché al di là di tutto, che cosa c’entrava? Lei la mamma ce l’aveva, stava a casa. Ovvero a quell’ora nel forno, a lavorare, mica ad arrostirsi. Faceva il pane. Forse per questo l’aveva leggermente trascurata. La figlia. Ah, a questo si riferiva la vegliarda. E il peso degli anni si fa sentire. Eccome. Per questo anche altre volte. Quando Rita dimenticava oppure ricordava diversamente il passato. 

Tant’è che non si era certi se suo marito fosse stato meccanico a Umbertide, oppure cuoco e ristoratore ad Assisi. O tutte e due le cose. Sì, perché quella era la tesi di Gino il Lungo, padre di lei. Di professione intagliatore o scultore, come lui stesso preferiva. E alto, tanto che a scuola la prendevano in giro, per il fatto. Come una porta, due metri, le dicevano per farla arrabbiare. Ma poi che c’era da prendersela? E lei, difatti, non pareva scossa dal fatto. Poi non era per niente vero che fosse due metri. Magari uno e novanta, o forse anche qualche centimetri di meno. A occhio e croce. 

Probabilmente per via della magrezza, delle gote scavate, della pelle secca attorno alle ossa del viso, e per il resto del corpo, poteva sembrare più alto. Oppure. Ma era certa, lei, che fosse normale. E poi a chi dava fastidio quell’uomo? Un padre affettuoso che non diceva mai di no. Come se Carmen fosse l’unica creatura al mondo per lui. La ragione di vita, la stella del suo cielo. La bellezza in persona. La stessa che avevano ripreso, nel volto, cento o mille volte i suoi pupazzi. “Dio mi perdoni…” pensò allora, per il vocabolo. Non appropriato, senza offesa, lei devota a san Francesco, di cui sapeva la vita fin dalla prima elementare. E poi poteva toccare con mano l’economia di casa sua e dell’intera Assisi. Un miracolo. 

Sì, certo. Figure religiose. Frati, preti, santi. In legno. Più che scolpiti, perché Gino non usava il martello. E se non c’è quello non si tratta di scolpire. O no? Non era sicura. Comunque adoperava vari scalpelli, di tutte le grandezze e forme, anche curvi, per incavare, e difficili anche da maneggiare. Solo chi avesse una pazienza terribile. E quello, suo padre, ne aveva da vendere. 

A proposito. Li vendeva quei pupazzi. Ancora? Be’, adesso dico una preghiera per chiedere perdono, si promise. Comunque li vendeva, nella sua vetrinetta al piano terra. Dietro quelle lastre che si ondulavano al passaggio, vecchie quasi come Rita, c’era lui. Con gli occhiali, mezzo seduto su uno sgabello con mezzo fondoschiena. E l’altra metà all’aria. Quasi che stesse in procinto di sganciare. E che rispetto? 

Ma stava così, per comodità o abitudine, non glielo aveva mai chiesto, anche perché avrebbe dovuto domandargli tante di quelle cose che proprio non le andava tutto in un colpo. Perciò lo osservava solo, mentre lavorava e si doveva anche divertire un mondo. Se quando qualcuno picchiava sulla porta, d’inverno come ora, o salutava entrando, d’estate, lui quasi si innervosiva. Per via dell’improvviso disturbo, e non per il prossimo guadagno. Tanto c’era la mamma che prendeva soldi da Vittorio Speranza, il proprietario del forno. Quindi! 

E meno male che i turisti, unici acquirenti delle sue produzioni, non sapevano del difetto di Gino il Lungo, perché avrebbero anche potuto farlo diventare nero. E allora sarebbe stato meglio che avesse chiuso e fosse andato a fare quattro passi. Sì, perché come dovevi intagliare quelle minuscole forme con pensieri poco graditi nella testa? Ci voleva calma, intuito e ispirazione, proprio come diceva all’ora di pranzo. Unico momento in cui si parlava. Tutti e tre, in famiglia. Anche di cose senza senso, ma basta che si dicesse qualcosa, per scoprirsi nei sentimenti, quelli che, come un uragano, stavano invadendo la mente di Carmen. 

E non se ne erano accorti ancora? La terza media è un passaggio tipo ponte che collega due mondi diversi e distinti. Quello dell’infanzia con l’adolescenza. Be’, per altri c’era stato anche prima quel ponte levatoio, proprio verso un castello sconosciuto, di mille stanze, da esplorare. Perciò aiuto. Ci voleva, per addentrarsi con una certa sicurezza. Ovvero, con gioia. Ecco. Quella che cominciava a mancare a Carmen. E se non ci fosse stata la signora Rita!

Su questo aveva ragione, come una mamma. Vero. Ma era più lei, la piccola, che le faceva da madre. Specialmente se andava a contare quante volte l’accompagnava in chiesa. Almeno due per settimana, una sera e una mattina, di solito la domenica. Tempo permettendo. E quell’inverno non aveva concesso quasi mai. Addirittura più di un mese seduta su quella poltrona che, comoda che fosse, le doveva anche dare un po’ di prurito alla schiena. O no? 

«Certo che sì, mia cara» le rispose al dunque. «Come ti viene in mente che mi piace stare seduta? Vorrei scappare nei campi, sull’erba a rotolarmi come un fagotto lanciato lungo le pendici del monte Subasio. Fino a valle. A respirare l’aria pura della primavera. Eh! Ci siamo quasi vero?» 

«Ci siamo quasi…» rispose Carmen che doveva sempre assecondare la donna. Vecchia maestra. Così diceva e pareva. Anche se confondeva i suoi ex alunni. Credeva che i nipoti fossero i nonni, per via di qualche nome somigliante, ma soprattutto perché li aveva memorizzati per cognome. I volti erano spariti dalla circolazione sanguigna del suo cervello, persi nei meandri della storia. Cento anni, non sono uno scherzo. L’unica in tutta Assisi che si poteva permettere di vantarsi di avere un’età a tre cifre. Caspita! Altro che i miei quattordici anni, pensava Carmen. Magari, poi, sospirando sul suo futuro. Ma senza rendersi del tutto conto. Non gliene importava niente di vivere a lungo. Le bastava aver capito come sono gli esseri umani in quei pochi mesi di apparizione.  

E se non ci fosse stato padre Pietro a darle qualche conforto ne avrebbe sofferto per sempre. Sì, perché il cappuccino, chissà se poi il bar aveva preso da quello oppure quello dal bar, pensava lei, era anche lui piuttosto anziano. Certo poteva essere un figlio di Rita, ma quella era oltre ogni immaginazione. E senza di lui tante cose della vita non gli sarebbero diventate chiare. E la trattava come se a lei fosse mancato qualcosa. Eppure aveva tutto, almeno all’apparenza. Una famiglia, una madre e un padre. Un tantino silenzioso o per i fatti suoi, ma accettabile. Anche un lavoro, se era vero che Vittorio le aveva promesso che l’avrebbe presa appena finita la scuola. E lei non vedeva l’ora. 

Così avrebbe avuto di che stare per conto proprio, nel caso. Una maggiore libertà di movimento. Vuoi mettere quando uno ha qualcosa da parte e quando dipendi da chi ti dà. Per questo non si lamentava. Anche se avvertiva un certo vuoto ogni tanto, come se, pur non sapendo, intuisse che c’era altro. Che poteva capitarle una vita migliore. Ecco, giusto per essere più tranquilla, ma non economicamente. In fondo, due entrate e con la casa di proprietà: non si stava male. Ma un conto è avere di che sfamarsi e un altro di che dare in pasto ai tuoi pensieri. Quelli, Gino il Lungo li capiva o no? 

«No!...» disse ad alta voce, persa nelle sue stesse domande. 

«Che succede? Hai detto qualcosa?...» chiese Rita voltandosi a fatica verso Carmen con il solito bicchiere di acqua fresca, di rubinetto, come sempre. Perché alla vecchia proprio non andava di spendere soldi per bottiglie di plastica con dentro lo stesso prodotto che comodamente non pagavi in cucina. Dunque, ecco.  

Anche se la pensione di reversibilità la manteneva in vita da alcuni decenni senza problemi. E poi la sua, di maestra, certo. Doveva essere proprio così. E quella terribile mandava quasi tutto a suo fratello. Anzi, una volta. Adesso pareva che fosse morto, perché erano finiti i vaglia postali che preparava la sera, in busta chiusa. Puntualmente ogni fine mese. 

«Mi raccomando, non perderli, alla posta, subito, non è lontano» sempre diretto a Carmen. Unica persona al mondo, oltre frate Pietro, di cui avesse fiducia. Ma mentre quello si dedicava solo all’anima lei doveva fare tutto il resto, o quasi.  

Perché c’erano, a turno, delle persone mandate dal comune. Ma non si fidava. Solo pulizia della casa, il resto non opera loro. E men che mai per quell’ambasciata a cui teneva tanto. Certo, Carmen consegnava la busta a sua madre e lei alla donna delle pulizie. Che conosceva sempre, ci poteva contare, anche se cambiavano. Una cooperativa di tutte femmine. Dedite all’aiuto degli altri, soprattutto persone sole e anziane. Ma rigidamente a pagamento. Perché all’ora esatta lasciavano baracca e burattini e se ne andavano, come se fossero state sul punto di farsela addosso. Via. 

Poi erano rimasti i nipoti. Lontani, da qualche parte d’Italia, o forse all’estero. Nemmeno se ne ricordava tanto bene. Né loro si facevano vedere in città. Mai conosciuti da Carmen. Chissà anche se esistevano. Tanto che non ci furono più gli invii di denaro. E Rita diventava sempre più ricca. E che se ne doveva fare di due pensioni? Lei che consumava poco a tavola e niente per vestirsi o divertirsi? 

Perciò fece chiamare frate Pietro. Ci pensò anche allora Carmen e insieme salirono per la bella novella. Quella che fece scaldare i muscoli della faccia, i pochi che si intravedevano dietro i peli neri e bianchi. Anzi tutti bianchi della barba incolta del religioso che, in silenzio e a mani giunte, ascoltava. E diceva sì con la testa, come se stesse per confessare la donna. Ormai giunta al traguardo, come sembrava dalla faccenda. 

Carmen non era intervenuta nella discussione, anche perché quelli parlavano a bassa voce, come se potessero sfuggire le parole, essere prelevate da altri. Orecchi indiscreti, sparsi per la casa e addio tesoro. I ladri ci sono dovunque. Come l’avvertiva spesso la signora Rita. Santa quella domenica. Per quello che fece, per come e perché. La pensione del marito al convento dei cappuccini, per i bisognosi, i poveri, chi ne avesse necessità, disse. 

E frate Pietro, allora, le prese le mani secche, le strinse dentro le sue più in carne, ma ugualmente rugose, e le dondolò al cielo. Poi le lasciò per benedire la proprietaria di quelle e di quello che aveva lasciato in una specie di eredità, come parve. Carmen non era esperta, non poteva sapere di più, anche per il rispettoso riserbo dei due e del loro colloquio. Dunque. 

«Carmen, ti affido di nuovo questa tua mamma…» anche lui, mentre se ne andava. E cavolo. 

Quando si tratta di avere sono tutti pronti, pensò. Di dare sempre io. E mica è mia madre davvero? Né poteva essere, l’avrebbe dovuta partorire a ottantasei anni. Non si era mai visto una roba del genere. E lei aveva Concettina, un nome che proprio non le era mai piaciuto. Pugliese di nascita e umbra di adozione. Anche se ogni tanto cucinava le orecchiette con le cime di repe. Che non sapeva come mai non avesse ancora imparato a chiamare rape, rape, in italiano, o in qualunque altro dialetto del mondo, ma sempre e solo rape, con la a. Cacchio. 

...