Narrativa
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Mosche
romanzo
di
Raffaele Castelli

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Altri libri dello stesso autore:
  1. Solo e pensoso
  2. Una vita in un attimo
  3. Mille giornate belle
  4. La fiera di sant'Antonio
  5. Un sorriso all'orizzonte
  6. Al di là dei suoi pensieri
  7. Voglio ancora un po' d'estate
  8. La gita
  9. Un uomo nella notte
  10. La verità non mi fa paura
  11. Un software per il Paradiso
  12. Un'aquila tra cielo e mare
  13. Vite sghembe
  14. Sinistri scricchiolii nel buio
  15. Le lunghe strade della solitudine
  16. Mosche
  17. Spianare le montagne e riempire i fossi
  18. Il sole è di tutti, però la luna è mia
  19. Nigra nubes incurrebat
  20. Nove passi oltre il muro dei ricordi
  21. Un software per salire al Paradiso
  22. L'ipnotizzatore di anime stanche
  23. Elena dei castelli
  24. Angelillo, l'extraterrestre
  25. Dalla parte del cane
  26. Viaggio nell'immortalità
  27. Architettura e città
  28. Frosolone anni '70
  29. Il linguaggio
  30. Operazione Mare Nostrum
  31. I ragazzi di via Panisperna
  32. La vecchiaia è una brutta bestia
  33. Doppia identità
Mosche, (sottotitolo del libro Uno, Nessuno e oltre diciassette milioni di euro), è il sedicesimo romanzo pubblicato da Raffaele Castelli.
E' la storia di un tizio che non ha più memoria di sè e dove sia. Scaricato sulle spiagge della Corsica e trovato da un ragazzino che crede sia un sacco di immondizia. Poi il lungo percorso di recupero anche per una borsa piena zeppa di denaro, milioni di euro che fanno gola a tutti. E ognuno avverte la tentazione, come lo zucchero per le mosche. Poi un viaggio tortuoso che si chiude a circolo e la morale delle ultime frasi del protagonista del racconto.
Un romanzo simpatico e con un insegnamento su che cosa sia il vero valore della vita. Un'avventura nella mente umana alla ricerca di sé stesso. Con molti aspetti comici della vicenda. Per questo il libro è adatto a qualsiasi tipo di lettore.
Quindi buona lettura. 
Qui c'è un breve riassunto, la quarta di copertina, il sommario, i personaggi e le località del romanzo e le prime delle 320 pagine del libro. 
E' possibile acquistarlo, senza spese di spedizione, direttamente via internet cliccando qui.
Tutti i libri, romanzi ma anche saggi, sono elencati nella pagina qui collegata.

 

Ambientazione del romanzo

  • la storia è ambientata, tutta ai giorni nostri, nel piccolo centro abitato di Propriano, in Corsica;
  • ci sono vari viaggi nella stessa isola, fino ad Ajaccio;
  • poi ci si sposta, attraverso la Sardegna e Civitavecchia, a Boiano, nel Molise;
  • il protagonista viaggia da solo verso un nuovo luogo, in Abruzzo, a Campotosto;
  • quindi in Sicilia ad Alcamo, in provincia di Trapani;
  • il romanzo si conclude nello stesso paesino di mare dove aveva avuto inizio: a Propriano.

Riassunto

Chi poteva immaginare che quel fagotto scuro e sporco sulla spiaggia di notte fosse un naufrago? Nessuno, come disse di chiamarsi dopo che Crispin lo portò a casa sua con l’aiuto di Hugo, suo padre. E lì rimase per un bel po’ a cercare di ricordare la vita e cosa gli fosse successo. Perché aveva una borsa con alcuni milioni di euro, quando li contarono insieme e non si sapeva da dove provenissero, che potevano anche essere oggetto di situazioni illecite. E allora?
Non bastò il silenzio imposto che si capì, dalla gente di Propriano, la bella cittadina della Corsica dove quello si era spiaggiato, come lo smemorato fosse ricco e nascondesse tesori di qualche tipo. Perciò cominciarono le mosche a gironzolare attorno allo stesso. E allora scattò il piano della consegna delle banconote, una parte, però, a Séb della gendarmeria di Ajaccio, dove si recarono anche per comprare una tastiera che al signor Nessuno pareva di saperla suonare. Magari a cercare altri ricordi del suo passato.
Ma non bastò e ci fu l’altro espediente di vivere da persona che ha poco e niente, fino alla gita verso l’Italia che Ernesto voleva rivedere i luoghi di un viaggio di gioventù, a Boiano. Con una certa Caterina incontrata per caso a Civitavecchia e che pareva di essere una collega di studi. O forse no, giacché si agganciò alla comitiva, ma fu rispedita a casa quando ci si accorse che usava il suo telefonino per raccontare ad altri: una mosca, ancora. O un piano malvagio.
Fu allora che lo smemorato se ne andò per conto proprio, quasi una fuga, fino ad arrivare a Campotosto che gli ricordava qualcosa. E alla ricerca di un certo Ubaldo che doveva conoscere. Ma quello che trovò non era la stessa persona. Finché non trillò il suo cellulare, casualmente venuto alla luce, scarico, ma da usare per parlare con Séb.

Sommario  

Capitolo 1Puparuole................................................................. 7

Capitolo 2 – Alice e le sue ricette................................................ 23
Capitolo 3 – Il naufrago............................................................... 37
Capitolo 4 – Orecchiette e broccoli............................................ 53
Capitolo 5 – Quel giorno dopo................................................... 69
Capitolo 6 – Bicicletta azzurra, come la sua............................... 85
Capitolo 7 – Séb, l’investigatore.................................................101
Capitolo 8 – Una tastiera per lo zio.............................................117
Capitolo 9 – Nu suacch(e) d’ mosch.......................................... 131
Capitolo 10 – Povero cristiano!................................................... 147
Capitolo 11 – Sveglie mattutine..................................................161
Capitolo 12 – Un quod giallo......................................................177
Capitolo 13 – Via col vento........................................................193
Capitolo 14 – Caterina bella!..................................................... 209
Capitolo 15 – La matesina......................................................... 225
Capitolo 16 – Rovesciate........................................................... 241
Capitolo 17 – Ubaldo................................................................. 257
Capitolo 18 – 46 gatti e un postino............................................ 271
Capitolo 19 – E trillò il cellulare................................................... 285
Capitolo 20 – Ma io chi sono?.................................................... 299

Personaggi nominati (in ordine di citazione): 
1 – Ernesto, Puparuole de Buiane, un pescatore
2 – Adeline, la cognata di Ernesto
3 – Hugo, l’albergatore
4 – Colalillo, il dottore di Boiano
5 – Michele, l’americano
6 – Dio, Iddio, Signore
7 – Crispin, il ragazzino
8 – Alice, Alicetta, la mamma di Crispin
9 – Bernadette, la moglie di Ernesto
10 – Madonna
11 – Nessuno, Ulisse del Fascio, il naufrago
12 – Gesù
13 – Pirandello, il mitico
14 – Mozart, il mitico
15 – Leopardi, il mitico
16 – Manzoni, il mitico
17 – Victor Hugo, il mitico
18 – Brigitte, Brigida, l’ospite della pensione
19 – Jonas, il compagno di bicicletta
20 – Robert, un amico di bicicletta
21 – Florie, la mamma di Jonas
22 – Babbo Natale, il mitico
23 – Séb, l’investigatore
24 – Totò, il mitico
25 – Renzo, Renzis, un amico del naufrago
26 – Maria, la sconosciuta del porto
27 – François, il muratore
28 – Fedro, il mitico
29 – San Matteo, il santo
30 – Giuda, il mitico
31 – Caterina, Caterì, la compagna di università
32 – Rosina, la ragazza della canzone
33 – ****ele, il vigile urbano
34 – Argo, il cane da guardia delle pecore
35 – Ubaldo, il solitario di Campotosto
36 – Minosse, il mitologico
37 – Benito Mussolini, il duce
38 – Diana, il cane di Ubaldo
39 – Costanza, la vicina di casa di Ubaldo
40 – Renzo, zio Renzo, il figlio del falegname
41 – Tonino, il barista
42 – Massimo, il postino
43 – Ubaldo, il vicino di casa di Alcamo
44 – Isolina, la zia di Ulisse
45 – Pippo, l’impiegato dell’anagrafe

 

Località e luoghi geografici nominati (in ordine di citazione):
 
1 – Propriano, Prupià, una cittadina della Corsica, (I ambientazione)
2 – Porto Torres, una città della Sardegna
3 – Civitavecchia
4 – Livorno
5 – Everest, la montagna
6 – Corsica
7 – Pattada, un paese della Sardegna
8 – India
9 – Pakistan
10 – Boiano, Buiane, Bovianum vetus, un paese del Molise, (II ambientazione)
11 – Campobasso
12 – Africa
13 – Oriente
14 – Matese, le montagne di Boiano
15 – Roma
16 – Italia
17 – Europa
18 – Malta, l’isola
19 – Qawra, una cittadina dell’isola di Malta
20 – America 
21 – Ajaccio
22 – Francia
23 – Marseille, Marsiglia
24 – Spagna 
25 – Fatima, la cittadina della Madonna
26 – Malmö, Malmoe
27 – Puglia 
28 – Foggia 
29 – Bari 
30 – Barletta 
31 – Sicilia 
32 – Parma 
33 – Carrara 
34 – Piombino, una città della Toscana 
35 – Golfo di Valinco, il golfo dov’è Propriano 
36 – Sardegna 
37 – Tavoliere delle Puglie, la pianura
38 – Cipiniellu, una località della Corsica
39 – Venezia 
40 – Ponte delle Lacrime, località di fantasia nei pressi di Propriano
41 – Sannio, la terra dei sanniti 
42 – Argentina
43 – Portogallo
44 – Capicciolo, una località della Corsica
45 – Olmeto–Plage, una località della Corsica
46 – Lisbona
47 – Serra–di–Ferro, una località della Corsica
48 – Acqua Doria, una località della Corsica
49 – Promontorio di Ghiatone, una località della Corsica
50 – Niagara, le cascate 
51 – Agnarello, una località della Corsica
52 – Scaglione, una località della Corsica
53 – Marina Viva, una località della Corsica
54 – La Colline des Fléurs, una località della Corsica
55 – Monte Bianco, una località della Corsica
56 – Alpi 
57 – Bielorussia 
58 – Inghilterra
59 – Milano
60 – Isola dell’Asinara, un’isola della Sardegna
61 – Olbia, una città della Sardegna
62 – Golfo Aranci, una località della Sardegna
63 – Punta Pedrosa, una località della Sardegna
64 – Quartu, una città della Sardegna
65 – Molise, la regione
66 – Cassino, una città del Lazio
67 – Campania
68 – Biferno, il fiume di Boiano
69 – Piave, il fiume del Veneto
70 – Isole Tremiti
71 – Capracotta, Pecoracotta, un paese del Molise
72 – Arabia Saudita
73 – Pescara 
74 – Rimini 
75 – Grecia
76 – Svezia
77 – Gran Sasso, le montagne dell’Abruzzo
78 – L’Aquila
79 – Campotosto, un paese dell’aquilano, (III ambientazione)
80 – Poggio Cancelli, una frazione di Campotosto
81 – Averno, gli inferi
82 – Paratella, una collina presso Propriano
83 – Burundi, uno stato dell’Africa centrale
84 – Bologna
85 – Alcamo, una città della Sicilia
86 – Madonie, il parco della Sicilia
87 – Libia 
88 – Pantelleria, l’isola
89 – Palermo 

 

Capitolo 1 – Puparuole (estratto, per scaricare il primo capitolo intero clicca qui)
 

Settembre era iniziato da poco. Già la sera prima, l’ultima di agosto, c’era nell’aria qualcosa che parlava di autunno, della malinconia che occupa quei posti dove l’estate è breve, non nel senso di tempo atmosferico, ma di chiasso, di gente, di macchine.

E lì si fermò a pensare Ernesto. E sì perché la piazzetta, la sua, quella a due passi dalla chiesa e ad altri due da casa, era rimasta piena di autovetture di ogni tipo in sosta, anche vietata, se è pur vero che le seconde file non si usavano da quelle parti, ossia, quasi mai. Solo in quel mese in cui l’afflusso era esagerato e Propriano non era capace di trattenere a lungo quella folla, italiani in gran parte. Del resto a pochi minuti di distanza e che ci vuole? Bastava un traghetto che, da Porto Torres, per esempio, e lì da Civitavecchia, o da Livorno, arrivasse giù al molo. Anche lui l’aveva preso un tempo, al contrario, per portare la sua due cavalli sulla penisola. Ma quando era giovane. E alzò gli occhi al cielo. Aprì la bocca e sospirò con alcune vocali di passaggio.

Così, adesso, dotato di altre attrezzature da trasporto, più capaci e moderne, si era dovuto accontentare di uscire allo scoperto solo il 7 agosto per una festa con dei comici, uno spettacolo pubblico, in un paese vicino, aveva dovuto fare manovra e rientrare in silenzio, meno male, che fu evitata la presa di posizione da parte di altri ladri. Nel senso che si rimise dove era prima. Il fatto fu che il buio e la confusione di vetture avevano nascosto il lato della chiesa dove lui, di solito e anche quella volta, sostò. In santa pace.

Ma fu solo allora. Poi sempre e solamente a piedi. Magari a passeggiare con la consorte, visto che figli non erano venuti e loro vivevano soli in famiglia. Oddio, dentro, ma fuori c’era una vastità di amicizie di pescatori. Giovani e vecchi, come lui, con i quali scambiare chiacchiere sul mare, i pesci, il profumo. Certo, anche perché, con il tempo, aveva sviluppato quel senso: l’olfatto. Qualcuno ne rideva, ma erano ragazzi, ragazzacci. Ovvero nemmeno da disprezzare, avrebbe fatto lo stesso lui, se solo avesse avuto quei sedici o diciassette anni di chi lo guardava con tanta insistenza.

«Be’… che c’è?» rispondeva a loro, anzi interrogava senza essere stato importunato, a parole. 

Perché bisbigliavano, i maldestri, si dicevano cose nell’o-recchio, senza fiatare ad alta voce. Perlomeno. Ma gli sguardi erano intensi.

«Che avete da guardare?...» sempre Ernesto.

Parevano gli stessi personaggi che avevano partecipato al funerale di un cantante nato lì, in paese e divenuto famoso in Francia. Così aveva sentito, giacché lui amava odorare e poco ascoltare. Ossia, musica classica, per un po’. Giusto qualche minuto. Come accade a chi ama l’aria aperta e gode a guardare i panorami.

Quelli si erano messi a cantare, invece, quando il feretro era arrivato, tra una folla di giovanissimi. Poi anche a ballare, cose sue, del morto. Quindi c’era stato un applauso che non si era capito se dedicato a chi urlava strofe incomprensibili accompagnate da un battimano ritmico di altri, oppure per rispetto, si fa per dire, del defunto che non poteva apprezzare. Chi parte, parte. Non sente e non odora.

Ecco. No, perché dopo la funzione, Ernesto si era presa la moglie sottobraccio e se l’era portata sulla strada che viaggia verso est, sui monti, non tanto alti, ma da quelle parti, al mare, anche una collina pare l’Everest. Ed era a smaltire quella malinconia di cui era stato afflitto anche per la scomparsa del cantastorie, in fondo un figlio di Prupià, come si chiamava sul posto quel luogo. Italiano puro, probabile, o solo mezzo sardo, che si era a un tiro di schioppo.

«Porca miseria!...» osservò allora.

«Che?» la moglie impensierita che non ce l’avesse con lei, lui.

«No, riflettevo… sulla storia… sul mondo…» e ci mise un altro porco anche per l’ultimo. Cosicché lei rimase più soddisfatta e certa che le cose non si riferissero alle donne. 

Ernesto era un patriota al contrario. Voleva che la Corsica fosse italiana, ma non solo come usi e costumi che già esistevano nel modo, proprio come territorio, o come lingua ufficiale. Per questo aveva imparato a parlare con un accento che pareva di Pattada, un paesino dell’entroterra di fronte, dove era stato, anche lì, una volta, assorbendo il modo, le soste vocali, le doppie, la bellezza, diceva lui, dell’espressione.

«Ah…» fece allora.

«Che?» sempre la moglie che non doveva comprendere a volo le differenti situazioni d’animo del marito. Lo assecondava, gli preparava le migliori zuppe a base di crostacei, che lui adorava rispetto alle spine, le lische e roba varia. Si mangiano meglio e prima. Ma anche nell’amore, seppure senza fiori. Come chiamava lui i figli, benedetti, soavi, dolci, simpatici, ricchezza dell’umanità, comicità delle lunghe giornate da nonno. Immaginava. «Che?...» ancora lei, ma questa volta con l’intenzione di sapere di più, di scandagliare le profondità atmosferiche che alimentavano d’aria fresca il consorte e altro.

Altro, molto altro, quando fu presa dalla puzza di una stalla di vacche della zona, proprio dopo la prima grande curva in salita verso la cima del colle di fronte al paese, dove si guarda il mare, il golfo, con quelle barche a vela che erano ancora sogni e piacere di Ernesto. Che doveva odorare, o no?

«Sì, sì, sento anche io il fetore. Ma tra poco cambia il vento e sparirà…» parve girarsi con il suo naso e ammise accennando di sì con la testa. Giusto per non perdere l’equilibrio.

No, perché quello, l’organo olfattivo, era cresciuto negli anni. Ora pareva una maschera. La moglie dovette trattenersi dal ridere, ma non per offendere. Ricordò quando si erano truccati per una festa. Ma si trattava di fidanzati. Quindi!

Allora Ernesto aveva messo sulla faccia un’altra faccia di plastica leggera, aderente al suo viso. Oddio, quasi. Nel senso che si capì come fosse troppo piccolo quel fosso dove infilare il naso, l’originale. A quel tempo, come nelle parabole. Sicché fu costretto a tagliare la parte che spingeva troppo e teneva in galera l’affare, lungo e a forma di becco di condor. Perciò forte nell’annusare, meglio di un cane da tartufo.

E adesso non sente la puzza della stalla?” pensò la moglie, senza dire, sempre per non offendere, mordendosi la lingua al ricordo.

«Ma che ti ridi!?» invece lui, volgendo la nave, più che lo sguardo, a lei. Per sapere. Non si era mai comportata nel modo. La fine dell’estate?

«Niente…» che non poteva essere.

«Non può essere. Se ridi ci sarà un motivo…» attese, inutilmente, «…e lo voglio sapere. Tra noi non ci sono segreti.» Ed era vero, perciò.

«Ma no…» non voleva, «pensavo…» ancora risate che le fecero respirare troppo il tanfo di vacche allevate con materiali chimici, come soleva sostenere per la troppa puzza, non naturale, in altri momenti.

«Pensavi?» si meravigliò, «…anche tu al mio naso?» quella rideva, oh!

«Alla…» maschera, ma non riferì, presa nel respiro e messa all’angolo come un pugile suonato che adesso tossisce per riprendere le forze e continuare la battaglia della vita.

Ernesto si rese conto che era meglio per il momento, soprassedere, anzi, prendere in braccio la donna e portarsela via di là, oltre, dove riteneva che non ci fosse vento contrario e nemmeno fetore animale. Effettivamente irrespirabile. E se lo diceva lui!

No, perché la sporcizia dell’aria era attestata da un nugolo di mosche cieche che non sapendo dove andare si erano messe a succhiare i capelli che sapevano di salsedine della donna e qualcuna, impertinente, era salita fino alla cima del coso di Ernesto. E scrutava le narici a testa in giù. Perciò. Prese lei, piccola e non eccessivamente pesante per uno che, anche se magro e ossuto, aveva la sua buona altezza che sorreggeva tutto, anche altri, come in quel frangente che lei stava per soffocare.

«Porca vacca…» riferendosi a ciascuna di quelle fetenti che abitavano sopra il colle.

Dove c’era stata anche una denuncia tempo fa per scongiurare lo scempio del territorio, per evitare che la zona di passeggio fosse divenuta luogo di pascolo e di scarichi di liquami. Ma non era sortito nulla. La protesta non ebbe riscontro e la stalla, piccola e quasi accettabile all’inizio, era cresciuta fino a diventare una cittadella da fognatura, tanta produzione c’era di ogni genere di puzze. Che il proprietario fu costretto a prendere operai non della zona, dell’India, del Pakistan, di quelle terre lontane. Da com’erano scuri di viso e di occhi. No, perché non erano sempre regolari e nessuno aveva avuto modo di chiedere, sfuggivano, si spostavano per i campi, raramente usavano le strade. Qualcuno di essi chiedeva anche, ai passanti, se avessero visto da quelle parti aggirarsi i gendarmi. Evidentemente. E non aggiunse altro Ernesto quando lo raccontò alla consorte, in altre passeggiate. Ora c’era un altro problema.

Tanto che il letame aveva invaso tutta la campagna circostante, nonostante le denunce per reati ambientali e multe salate nei riguardi dei vaccari. Sì, perché dovevano pur liberarsi delle tipologie puzzolenti. E allora spargevano come fertilizzante, così si giustificavano, cacche e pisci vari, ben mescolati da essere riversati, con l’aiuto di pompe idrauliche, ovunque fosse uno spazio libero.

Quella povera donna, perciò, aveva ragione, lei anche delicata di palato e di bronchi. E non ne poteva più, risate e tosse, sulle spalle di Ernesto, dove l’aveva posta per il trasporto, prendendola per le gambe e fino al bacino capitato proprio dalle parti del naso. No, in quanto pesava, eccome. Una massa di muscoli femminili che, si sa, si addensano laddove, ossia. Nel mappamondo che ora era a due millimetri dal coso.

Perché si dovette pur girare, ogni tanto, per vedere se sopraggiungesse qualche vettura laterale. Per non offrire sagoma, per scostarsi verso la cunetta, per controllare, comunque. Ecco. E fu allora che tentò d’infilarsi la punta del peperone, come lo chiamavano. Non voleva pensarci, ma dovette cedere. Lo nominò, in italiano corrente e senza fare alcuna ammissione che tutto era nato altrove, in quel di Boiano, un paesetto in pianura in provincia di Campobasso, quando era andato dalle parti con la sua due cavalli, appunto.

Certo fu colpa della moglie, perciò non la menzionava dal momento. Anzi, lei non se n’era accorta, o faceva finta di nulla, ma lui usava solo pronomi. O niente, il verbo e basta. Magari mescolato con una qualificazione che addolcisse il fatto.

Del tipo: “Cara è pronta la cena?” oppure, “vieni a passeggio… la camicia ha perso un bottone, se me lo riattacchi… compro il latte, amore!... domenica ti porto al mare…” che era una frescaggine vera e propria. Perché Propriano era sul mare. O no?

Sì, ma un conto è vedere l’acqua da lontano, un altro è andare a pesca, in barca, in alta quota, al largo, a misurare la distanza che separa il mondo vero dalla terraferma. Se pare che la terra sia tale, in sosta. Soprattutto, oceano. Potrebbe allagare ogni dove, se un giorno lo decidesse. O sfamare i popoli dell’Africa, se gli altri lo volessero. Magari a base di roba secca, perché come lo trasporti, il pesce, se deve arrivare in zone poco trafficate o non facilmente raggiungibili? Col baccalà. Ecco. Trovò subito la soluzione, al momento, Ernesto.

Quando un colpo ultimo di tosse commista a risa non del tutto scemate fece infilare, con una certa pressione, la punta del suo peperone nel sedere della moglie. Per caso, poco poco e nemmeno voluto. Ma ci fu comunque un urlo di non si seppe che, tanto che lei si strattonò, fece come per divincolarsi dal marito, per voler scendere dall’aereo, per starsene a valle per un po’, solitariamente e con un battimano sulla spalla del soggetto. Che ubbidì.

Fu allora che lei incominciò a ridere di nuovo. Tanto comico appariva il signore con un piccolo difetto nel viso? E se l’era sposato. O no? Come chiese, mezzo sfatto e quasi in procinto di arrabbiarsi per come fosse trattato, lui. Ma non fece, attese spiegazioni e lei ne diede in abbondanza.

Perché ricordò come avvenne la cosa, lì, in Italia. Quando fu anche redarguita di non riferire a Propriano, un domani, inutilmente giacché lei si lasciò sfuggire che c’era stato un incidente, ma con la sorella, il resoconto, e basta. Mai più parola. Eppure bastò.

Perché la sorella era un notiziario delle undici, orario che preferiva mettersi in viaggio per il paese a informare di tutto e a chiedere di ogni cosa. Magari era anche un servizio pubblico, di chi è aggiornato e ti rende edotto senza pagare, gratis, lungo le strade assolate e ora quasi deserte. No, perché la gente aveva abbandonato il posto come se ci fosse stata un’influenza non del tutto diagnosticabile o curabile. Un virus mai visto prima, portato da marinai da luoghi estremi dell’Oriente, dove non c’è lo stesso tipo d’igiene e dove mangiano anche animali che noi, abitualmente, ma non sempre, amiamo. Lo disse a sé stesso Ernesto quando ci fu il fatto della cognata, quella Adeline che quando telefonava non diceva mai chi fosse.

«Ehi… sono io» poi un buon giorno stentato, come se fosse il caso di non augurare nulla, tanta era la voglia di avercela con lui, marito della sorella. E quasi che fosse colpa sua che non avessero figli. 

«Adeline!» la risposta sempre uguale. Tanto solo lei era lei. E chi?

Ecco qua. Era stata l’artefice della notizia proveniente da Boiano, quando ci fu l’incidente con la due cavalli e un camion carico di pomodori da salsa, di quelli belli rossi e polposi. Anzi, da allora, Ernesto non aveva chiesto spaghetti al sugo. E anche quando c’erano le vongole o altri frutti di mare, sempre senza pelati, per favore. In ricordo del fatto spiacevole.

No, perché gli si erano scaricati addosso circa dieci quintali di tomates, (bon sang! disse in francese quella maledizione del momento), per la brusca frenata di quello davanti, lo sciagurato della circostanza. Quando si era sfasciato il rimorchio e aveva sparso le palline colorate sulla carreggiata. Anzi, Ernesto, allora giovane e bello. Anche se con lo stesso naso, mai voluto rifarlo come si usa adesso, e come suggerito dalla moglie cento volte, prima dei cinquant’anni, poi mai più, tanto non serviva. Non aveva visto, solo immaginato, per lo sfondamento del parabrezza dalle casse svuotate per l’occasione sul cofano e poi dentro l’abitacolo. Dove si erano ritrovati immersi in un mare di fango acido, così pareva, e pizzicante, come fu davvero.

E la puzza, non al pari della stalla, ma insopportabile uguale, perché era caldo e i pomodori, quasi cotti, erano diventati già condimento inusuale di carne umana. Fino a quando non furono asportati dopo l’apertura della scatola lateralmente da alcuni passanti armati di pale e picconi, parve, ma non erano sicuri i futuri sposi data la paura che aveva annebbiato la vista e le menti. Però dell’ospedale certi, eccome.

E fu lì che nacque il Puparuole. Che in dialetto locale voleva significare peperone, ma riferito al naso, rosso, come l’ortaggio, e grosso, per la botta ricevuta, il malanno che non sarebbe passato nel tempo e il risarcimento che avrebbe avviato i signorini al matrimonio sereno. Di quei tempi comprarono una casa da ristrutturare e una nuova automobile. La due cavalli, ben restaurata in quel di Boiano, fu usata per solo un altro anno.

...