Narrativa
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Un software per salire al Paradiso
romanzo
di
Raffaele Castelli

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Altri libri dello stesso autore:
  1. Solo e pensoso
  2. Una vita in un attimo
  3. Mille giornate belle
  4. La fiera di sant'Antonio
  5. Un sorriso all'orizzonte
  6. Al di là dei suoi pensieri
  7. Voglio ancora un po' d'estate
  8. La gita
  9. Un uomo nella notte
  10. La verità non mi fa paura
  11. Un software per il Paradiso
  12. Un'aquila tra cielo e mare
  13. Vite sghembe
  14. Sinistri scricchiolii nel buio
  15. Le lunghe strade della solitudine
  16. Mosche
  17. Spianare le montagne e riempire i fossi
  18. Il sole è di tutti, però la luna è mia
  19. Nigra nubes incurrebat
  20. Nove passi oltre il muro dei ricordi
  21. Un software per salire al Paradiso
  22. L'ipnotizzatore di anime stanche
  23. Elena dei castelli
  24. Angelillo, l'extraterrestre
  25. Dalla parte del cane
  26. Viaggio nell'immortalità
  27. Architettura e città
  28. Frosolone anni '70
  29. Il linguaggio
  30. Operazione Mare Nostrum
  31. I ragazzi di via Panisperna
  32. La vecchiaia è una brutta bestia
  33. Doppia identità
Un software per salire al Paradiso, (sottotitolo del libro Voci dall'aldilà), è il ventunesimo romanzo pubblicato da Raffaele Castelli.
Ambientato a Montepulciano, come parte del primo romanzo della seria (Un software per il Paradiso) di cui è la continuazione, il racconto tratta della storia di un giovane che scopre, per caso, come si possano ricevere le voce dall'aldilà tramite il suo computer. Poi come possa anche vedere oltre, attraverso gli occhi dei suoi parenti, come possa modificare i dati scritti nelle menti delle persone, come salire, per questo, al Paradiso. E tutto ciò che si scatena in paese e nei dintorni alla notizia.
Un testo che pone quesiti, o che gioca sui fatti, o che spalanca nuove vie, secondo come lo si voglia interpretare. Il romanzo, scritto con linguaggio anche umoristico, analizza i comportamenti umani dal punto di vista psicologico quando sono di fronte a novità assolute e surreali. E' adatto a un pubblico di ogni età per il taglio piacevole delle descrizioni e degli eventi.
Quindi buona lettura.
Qui c'è un breve riassunto, la quarta di copertina, il sommario, i personaggi e le località del romanzo e le prime delle 312 pagine del libro.
E' possibile acquistarlo, senza spese di spedizione, direttamente via internet cliccando qui.
Tutti i libri, romanzi ma anche saggi, sono elencati nella pagina qui collegata.

 copertina del romanzo UN SOFTWARE PER SALIRE AL PARADISO

Ambientazione del romanzo

  • la storia è ambientata, ai nostri giorni, nella cittadina di Montepulciano in provincia di Siena, in Toscana;
  • un viaggio riguarda Praga e soprattutto Mosca, dove il protagonista deve cedere alcuni diritti di software;
  • quindi Cortona, sempre in Toscana;
  • ma l'ambientazione principale resta, oltre a Montepulciano, il mondo dell'aldilà e il Paradiso.

Riassunto

Umberto era al computer quando ricevette quella botta di tubo di cartone sulla testa, forte, ma della piccola Xeni, la figlia di sua moglie greca. E da lì cominciarono le idee, che era leggermente sordo, di studiare un software che scandisse le parole sul monitor e poi le dicesse proprio mediante l’altoparlante che così poteva non più sbigottirsi quando qualcuno ce l’avesse con lui. E provò con le budella di agnello che quelle sono delicate e possono vibrare in un apposito microfono da lui stesso costruito, dopo che aveva venduto un programma ai russi. Che ogni tanto ricordava le notti con Olga e i denari ricevuti sul suo conto corrente, a Montepulciano. Perciò ora aveva tempo e modo di impegnarsi.
Non prima di aver composto anche un sito per Bartolino che vendeva indumenti e gli aveva regalato una coppola che fu pure equivocata dal macellaio il quale aveva fornito, pertanto e gratuitamente, le budella di animale. Ecco, allora ci fu il miracolo che il software funzionava e Umberto stava affinando il codice.
Era giunta, intanto, una voce da qualche posto che non sapeva, le onde, la trasformazione di dati e la ricomposizione sul suo pc. Ed era Ciccio, suo padre morto che parlava. Possibile?
Se ne convinse quando ebbe alcuni particolari e allora cercò anche di vedere all’interno delle menti, su suggerimento della stessa voce, e poi, quando morì Peppe, il suo amico che vendeva scarpe, gli fu concesso di guardare nell’aldilà con gli occhi di quello che era suo parente stretto e non sapeva. Fino al Paradiso.
E il campo delle capre dove erano i pessimi e lui tentò di riportare qualcuno in alto trasformando gli archivi personali di ognuno. Quando si sparse la voce e dovette procedere per tutta la sua città. Poi tornò a vedere sul colle con la croce, dove Pietro comandava, senza parlare, usando lo sguardo. E dove ebbe modo di verificare il buono e il bello, concetti sui quali non aveva mai riflettuto sulla Terra.
C’era il Bruscello di quell’anno e la Christina, sua moglie, voleva tornarsene alla propria Corfù. Ma ci furono delle sorprese.
 

Sommario  

Capitolo  1 – Attesa di comunicazione............................................ 7
Capitolo  2 – Visite europee............................................................ 23 
Capitolo  3 – I russi, ragazzi!............................................................ 37 
Capitolo  4 – I ragazzi russi.............................................................. 53 
Capitolo  5 – Notte da orbi............................................................ 67 
Capitolo  6 – Visite italiane............................................................. 83 
Capitolo  7 – Le budella di agnellino.............................................. 99 
Capitolo  8 – Voci lontane............................................................ 113 
Capitolo  9 – Ciccio...................................................................... 129 
Capitolo 10 – Chiusura lampo rotta............................................. 143 
Capitolo 11 – Zassone................................................................... 159 
Capitolo 12 – Folle........................................................................ 173 
Capitolo 13 – Telefonate maggesi................................................ 189 
Capitolo 14 – Gelsomino Roisecco, l’arcivescovo....................... 205 
Capitolo 15 – Il campo di capre................................................... 219 
Capitolo 16 – Riunioni e consigli................................................... 235 
Capitolo 17 – In galera.................................................................. 249 
Capitolo 18 – Processione con caduta collettiva......................... 263 
Capitolo 19 – Andiamo in Paradiso al Bruscello........................... 277 
Capitolo 20 – Christina se ne va, ma rischia................................. 291 
 

Personaggi nominati (in ordine di citazione):  
 

1) Christina, la madre di Xeni
2) Xeni, la figlia di Christina
3) Gualtiero del Poggiolo, il sindaco di Montepulciano amico di Umberto
4) Umberto, l’esperto di software
5) Incoronata, la madre di Umberto
6) Pasqualino, l’avvocato
7) Bartolino, Bartolomeo, Bartolo, il negoziante di abbigliamento
8) Ciccio, il padre di Umberto
9) Ariston, il padre morto di Xeni
10) Piede d’argilla, l’allevatore
11) Dio, Signore, Iddio
12) Settimio, il barbiere
13) Mikis, il ristoratore greco
14) Peppe, il negoziante di scarpe
15) Madonna del Carmine
16) Eleuterio, l’amico di Umberto
17) Gisette, la moglie di Eleuterio
18) Carlo IV, il sacro romano imperatore
19) Petr Parlé?, l’architetto di Praga antica
20) San Giovanni Nepomuceno, un martire di Praga
21) Venceslao IV, il re figlio di Carlo IV
22) I Beatles, i mitici
23) Sergio, Serghiei, l’aiutante del capo della ditta russa
24) Olga, la ragazza russa
25) Antonov, il ragazzo russo
26) Dante Alighieri, il mitico
27) Ottavio, un figlio di una volta
28) Decimo, un figlio di una volta
29) Farinata, un personaggio della Divina Commedia
30) Gianni Petrunti, l’otorinolaringoiatra
31) Eustachio, quello della tromba dell’orecchio
32) Mimmo, il macellaio
33) San Giuseppe, il santo
34) Pruzzo, il calciatore di una volta
35) Pizzaballa, il portiere di calcio
36) Mafalda De Cristofaro, la moglie di Bartolino
37) Zassone, il tizio grasso
38) San Tommaso, il santo
39) Gesù Cristo
40) Pietro, il santo
41) Germano, un ex compagno di scuola
42) Ariston, il padre di Xeni
43) Rosa, la madre di Zassone
44) Don Carlo, il parroco del duomo
45) Mara Meo, l’impiegata del comune di Cortona
46) Lorenzo di Niccolò Gerini, un pittore del XV secolo
47) Luca Signorelli, un pittore del XVI secolo
48) Gino Severini, il disegnatore del mosaico di san Marco
49) San Marco, il santo
50) San Paolo, il santo
51) I de’ Medici, il costruttore della fortezza di Cortona
52) Gabrio Serbelloni, l’architetto della fortezza Medicea
53) Andrea, il sindaco di Cortona
54) Gelsomino Roisecco, l’arcivescovo di Firenze
55) Makarios, il barcaiolo di Corfù
56) Panzone, l’amico di Zassone
57) Tore, il primo finanziere
58) Gennaro, il secondo finanziere
59) Erasmo, il capo di un esercito per il Paradiso
60) Sant’Andrea, il santo della croce
61) Socrate, il mitico
62) Platone, il mitico
63) Ambrogio, il santo
64) Agostino, il santo
65) Francesco, il santo
66) Pio, il santo
67) Antonio, il santo
68) Valentino, il santo 
69) Faustino, il santo 
70) Omero, il mitico
71) Elena, la moglie di Mikis

 
Località geografiche nominate (in ordine di citazione):
 
1) Mosca 
2) Montepulciano, una cittadina in provincia di Siena 
3) Corfù, Kerkira 
4) Firenze 
5) Grecia 
6) Siena 
7) Macerata 
8) Don, il fiume 
9) Praga 
10) Europa 
11) Russia 
12) Moldava, il fiume di Praga 
13) Boemia 
14) Londra 
15) Liverpool 
16) Malesia 
17) Barcellona 
18) Napoli 
19) Varsavia 
20) Polonia 
21) Repubblica Ceca 
22) Arno 
23) Calabria 
24) Italia 
25) Moscova, il fiume di Mosca 
26) Maremma 
27) Toscana 
28) Terra, il pianeta 
29) Cina 
30) Sicilia 
31) Roma 
32) Fiumicino, la cittadina dell’aeroporto di Roma 
33) Canicattì, una città della Sicilia 
34) Piave, il fiume 
35) Volga 
36) Appennino tosco–emiliano 
37) Urali 
38) Acquaviva, una frazione di Montepulciano 
39) Siberia 
40) Sahara 
41) Bologna 
42) Chiusi, una cittadina della Toscana 
43) Cortona, una cittadina della Toscana 
44) Valdichiara, la valle di Cortona 
45) Cascate del Niagara 
46) Arezzo 
47) Vaticano 
48) Antille Olandesi 
49) Barcellona Pozzo di Gotto, una cittadina della Sicilia
50) Carrara
51) Brindisi

 
 
Capitolo 1 - Attesa di comunicazione (estratto, per scaricare il primo capitolo intero clicca qui)

Non aveva dormito tutta la notte al pensiero. Che arrivasse quella benedetta comunicazione da Mosca che le cose andavano male da un bel pezzo a Montepulciano. Nonostante la buona novella del matrimonio con Christina e la gioia di Xeni che era una figlia vera e propria. Non tanto di nome, (be’, quello non del tutto che l’aveva solo salvata, poi la madre era originale, non lui), ma di comportamento. 

Si volevano un gran bene come sempre. Il miglior incontro nella vita che gli potesse capitare. Dai tempi di Corfù, ricordava, erano passati quasi tre anni giganteschi. Quelli che ti fanno capire dove e come, ti rendono chi e perché, ti smussano gli spigoli del mondo, ti danno il senso delle cose, ti danno una botta terribile in testa che risuonò tra le pareti di quella stanza da letto a persiane chiuse per svariati motivi. Il primo che ancora era inverno, gli inizi di febbraio; il secondo che Christina era di sopra a rassettare e pulire la casa; il terzo che Xeni non era andata a scuola, quella sua benedetta quarta elementare, perché si erano rotti i termosifoni. Lo avrebbe detto a Gualtiero che era sindaco, ma anche suo amico di gioventù. 

E, nonostante il rumore, c’era ancora da pensare. Che bisognava trovare altri modi di fare soldi, nel senso buono, giusto per mandare avanti la famiglia che adesso contava, compreso sé stesso, Umberto e la madre sua, Incoronata, quattro persone anche quasi del tutto adulte. Ovvero. Xeni aveva dieci anni, ma ne mostrava quaranta, da come picchiasse con quel tubo, di cartone per fortuna. 

No, perché la botta era vera e forte, si espanse a macchia d’olio non solo sulla testa di quello che era seduto davanti al computer personale, e assunse le forme di una spedizione punitiva che non c’entrava nulla in quel momento. Per caso il ragazzo non era un buon padre di famiglia? Oppure loro due, mamma e figlia, avessero nostalgia di quella loro terra nemmeno troppo lontana e di confine? 

Valle a capire le donne, mentre riecheggiò il colpo di mortaio, come parve, nel silenzio che affliggeva Umberto, dato che era un tantino sordo oppure fingeva, secondo di come si parlasse della questione, oppure secondo di chi ne facesse cenno. 

«Pppooohhh!!!» secco, allora si ascoltò. 

E un «aaah…» quindi di contorno che non fu chiaro da quale delle due bocche provenisse. Se dalla ragazzina che aveva suonato la carica, oppure dall’umile Umberto che era solo seduto di spalle, non dava fastidio a nessuno e attendeva di leggere la posta elettronica. Che c’era una vaga idea di trovare un altro lavoro, sempre in direzione estera. Perciò. 

Oppure, poteva anche essere la cosa, ci furono strilli contemporanei e simultanei dei due personaggi che apparirono, allo sguardo esterrefatto di Incoronata, salita dalla cucina in due secondi e mezzo che lei era vecchia, secondo Xeni, anche per disguidi nei confronti di sua madre, e aveva il fiatone, come pazzoidi che giocassero a darsi delle bastonate da orbi. Non aveva fatto caso, la signora, che la piccola menava e il figlio suo riscuoteva, senza ricevuta per l’altra. E si aggiunse agli urli che così acquistarono maggiore consistenza. 

E richiamarono a rapporto, per pietà e compassione, pure la Christina che scese le due rampe di distanza con la furia di un cavallo senza freni e sbatté contro la porta per la foga, siccome c’era anche un gradino tra il pianerottolo e la camera, facendo un fracasso che aggiunse chiasso al chiasso. 

«Aaa… aaa… aaahhh!!!» fu il commento finale e corale. Quello che durò pochi istanti ma intensi e da far ridere i polli. 

Cioè tutti coloro che facessero parte della comitiva, quando capirono che era stato solo un gioco. 

«Un gioco un ca…» meno male che si astenne Umberto che non era il caso di cominciare con cattive parole la giornata, il sonno, l’attesa, l’ansia e la paura di non arrivare comodamente a fine mese, che gennaio era stato triste. Meno di dicembre, ma sempre non all’altezza delle sue precedenti risorse finanziarie. 

E no, perché i brutti ceffi svizzeri, quelli che gli avevano assicurato che il suo software avrebbe creato ricchezza, si erano limitati a mandargli solo la prima rata di quei centomila euro del patto. Poi avevano accampato il fatto della crisi internazionale, la perdita dei posti di lavoro, il ridimensionamento di tutto, e una clausola, scritta in caratteri minuscoli che ci voleva una grossa lente d’ingrandimento per leggerla, nemmeno vista da Pasqualino l’avvocato, la quale parlava di disdetta, di diritto di recesso e di leggi d’oltralpe che nessuno conosceva. Neppure il tecnico che parlava a vanvera quando gli presentavi qualcosa da analizzare, quel legale che aveva solo combinato sciocchezze. Persino che fosse giusto accontentarsi della metà di quanto richiesto all’assicurazione dopo l’incidente con la moto pessima di Firenze. Ma lo sapeva che c’erano stati danni e ancora perseveravano a carico di Umberto? 

«Umberto!» allora la madre che non voleva sentire stranezze. 

«Mamma…» allora lui e difatti. 

«Ho scherzato!» invece Xeni che mostrava il tubo vuoto e leggero, tanto che lo poggiò, accarezzando la testa del papà, come lo chiamava tuttora, sui capelli non del tutto più rasati di quello là. Sorridendo. 

Una specie di cuscino come ai tempi dell’università? Bei tempi, eh! No, una cosa a metà strada, ma solo per mancanza di un momento libero che la faccenda della ditta svizzera, poi andata a finire che il software restava di sua proprietà e poteva offrirlo ad altri, senza nulla a pretendere dalle parti, una specie di contratto che annullasse il principale, gli metteva tensione. 

La stessa che lo stava per far esplodere al punto da usare epiteti e frasi non confacenti e inopportune. Se ne pentì anche di averle pensate, poi quel dolce viso di Xeni che portava una sola treccia ma lunga dietro la schiena, la pensava come una piccola figlia di cavalla, una puledra, innocente e dolce. Ma senza essere attratto dalla Christina, in quel momento che l’aveva menzionata nel modo, solo per dare un’idea. Quella che non diede affatto. 

No, perché non avendo riposato per bene e con il cielo nuvoloso, fortunatamente senza neve che lì erano a quota bassa, avvertiva un senso di stanchezza e di solitudine. Be’, quello era un discorso a parte che gli proveniva dalla sua incipiente sordità, speriamo che si fermi, aveva pensato allora, e che non resti del tutto assente. No, giacché vivere con la pensione di Incoronata, nemmeno esagerata, non era bello. E se non tirava la carretta lui, che aveva quei fatidici trentatré anni, chi doveva? 

Christina era maestra, sì, ma a Corfù! Qui chi ti si fila? Con la fila che c’è nei campi di concentramento, come li definì al solo ricordare quella presente agli inizi degli anni scolastici al provveditorato. Poi di lingua madre straniera. Che c’era scritto nel suo diploma. Al massimo l’avrebbero chiamata per delle supplenze, oppure per eventuali, mai avvenute, offerte d’insegnamento integrativo e introduttivo, oppure contemplativo e risolutivo. Che erano tutte parole dallo stesso ascoltate dai presidi e tradotte a malapena a quella moglie che sapeva la metà di quanto conosciuto dalla figlia delle elementari. Perciò. Risorsa ultima: il software e quel Paradiso che aveva aggiornato e affinato. 

Adesso aveva anche la possibilità di essere usato come una sorta di test per chi vuole controllare sé stesso ma a vantaggio delle industrie del settore che ricavavano, direttamente dalla rete, le statistiche di controllo. E sai che risparmi senza l’obbligo, per sapere i gusti e le tendenze del mondo d’oggi, di affidarsi a società specializzate nel settore delle indagini! Umberto lo sapeva, perciò sperava. 

«Ti ho detto… e non è la prima volta, che non devi prendermi il tubo…» Incoronata con fare da chi comanda, verso la piccola che quasi aveva voglia di piangere. E che ho fatto? Ma non disse. 

Spense il sorriso e piegò le labbra all’ingiù, provò a secco e non fiatò, guardò Christina e la invogliò a picchiare, ma sul serio, la suocera. Che sapeva benissimo come si chiama in italiano, quindi. Meno male che s’intromise Umberto, il quale non voleva feriti in casa. 

«Sto attendendo una risposta… se arriva» per non creare, infine, troppe illusioni sul futuro. 

«Di che si tratta?» difatti la greca grande intervenne. 

«Di che si tratta?» per questo la piccola ripeté. 

«Di che…» non si azzardò Incoronata perché nessuno avesse il coraggio di rimproverarla di aver copiato. 

«A proposito…» Umberto che prese la palla al balzo, «sapete che hanno tentato di copiarmi il software?» 

«No!... e quando, come, perché!» tutto raccolto in poche parole, confuse, dalle tre ascoltatrici. E anche dalla malattia, che così adesso bisognava chiamarla, di Umberto al pc. 

Il quale si toccò l’orecchio destro, così gli parve che funzionasse o meno, quindi l’altro e non riuscì a decidere quale fosse il menomato. Nel tentativo di stabilire la direzione del rapporto e a chi si dovesse rivolgere con gli occhi nel tentativo di spiegare la cosa. Una denuncia per plagio? 

Passò un solo istante, non si diede per vinto, nel senso che quelli non avevano capito il funzionamento del programma e potevano pure rifarsi a qualche piccola parte di esso, ma il cuore restava suo. E allora si toccò il petto, rise, le altre parvero che volessero chiamare in causa il suo affetto, distinto, per le tre, e risero tutti. Allegramente. 

«Hanno tentato… poche cose, non fa per loro, ci vuole carattere e fantasia. Quella chi te la copia?» 

«Nessuno…» in coro. 

«Difatti… eh… eh…» per far credere di essere d’accordo con loro. Ma non gli uscì bene il verso e allora tossì per dissimulare. Ma esageratamente. 

Che Incoronata capì come quello, dagli occhi lucidi per mancanza di sonno, fosse influenzato, data la stagione, e corse in cucina a prelevare uno sciroppo che il medico aveva prescritto a lei stessa e aveva funzionato a dovere. Ed era tornata sbattendo di qua e di là sulla ringhiera fatta con tubi di rame della scala, i quali avevano suonato la carica diversamente dal sordo rumore del tubo di Xeni. Lo stesso che, proprio mentre Incoronata tornata con il cucchiaino già bello colmo e pronto all’uso, si era poggiato delicatamente sulla chioma larga di Umberto. 

«Allora non ci siamo capiti, mo…» l’anziana che non significava adesso in senso stretto, quanto una qualifica professionale alla bambina, che così bisognava chiamarla, data l’età. E non un piccolo mostro capitato per caso a Montepulciano. O no? 

«No!!!» gridò allora Umberto che voleva mettere fine prima che cominciassero le polemiche. 

«Lei…» che il nome proprio era pronunciato di rado, «ha preso ciò che rimane della carta igienica della tavola…» e che significa? Si butta, allora ci si gioca, quando la carta è finita. 

«E che ci devi fare… nonna!» ma con un certo sforzo che la vecchia, più propriamente a quella dedicata da Christina, sa-rebbe stata maggiormente adatta, nella situazione. 

«Come?» poiché la carta veniva riarrotolata a fine pranzo. Ma solo una o due volte, magari un po’ di più secondo come appariva sporca. Che poi erano sempre le zone abitate da Xeni, la quale mangiava con le mani e spargeva sul lenzuolo bianco e assorbente, tutto ciò che le capitava. Lo faceva apposta, secondo il giudizio di Incoronata. 

«Per tanto poco!» Umberto. 

«E che?» 

«Piegala!» 

La madre anziana ma non troppo, come si riteneva con i suoi sessantasette anni e una buona salute, ritenne che fosse diretto alla ragazzina perniciosa. Per questo la guardò come dovesse, per l’appunto, ridurla in due pezzi, oppure sagomarla da lasciarla penetrare più facilmente nell’armadio dei panni o nel tiretto del comò, dove già la vedeva ben conservata. 

Umberto, che era un tantino sordo ma non scemo, se ne accorse appena in tempo, quando lesse gli sguardi, vide le labbra della madre che si leccavano la lingua, stringendosi dentro la bocca come a trovare conforto all’azione, il sorriso beffardo di chi aspira al male degli altri e intervenne, di nuovo. Tutto nella breve durata di mezzo secondo, che a raccontarlo ci vuole molto di più. Perciò. 

«La carta» solo e chiaro. 

«…» Incoronata, che mugugnò ma senza essere palese e con il cucchiaino in diretta, ma vuoto, a scendersene in cucina, suo regno incontrastato. Dove Christina non doveva permettersi di mettere mano. Meno male da parte di lei. 

«Piega la carta che vuoi usare ancora una volta… lascia stare il tubo…» ma non per giocare e dare le botte al papà, «mi serve per sentire che dite…» e fu meglio acquisito come concetto. 

Giacché lei conosceva il figlio e sapeva delle invenzioni che spesso faceva per risolvere. 

«Xeni non fare arrabbiare la signora Incoronata… se vuoi bene a Umberto come un vero tuo papà, devi rispettare sua madre…» una parola! Buona per gli altri, ma non pensava a sé stessa? La greca Christina. 

Si vedeva lontano un miglio, ricordo delle precedenti campagne di lavoro e fuga nei mari del sud, che giocasse con gli argomenti. Quasi che volesse darla a bere al ragazzo che lavorava con codici di accesso e strutture complesse, con analogie e digitalizzazioni, con equazioni e calcoli matematici? Non era possibile, ma ci provava, la bella. Che alla sua età era ancora molto, ma molto, piacente e ormai, moglie a tutti gli effetti, doveva anche essere ascoltata. Del resto poteva donare a Umberto, il quale doveva ricambiare. E tacere, quando era il caso. 

Tacque allora e guardò la posta: nulla. 

«Bong!» di nuovo da Xeni, tra capo e collo, «ci sentì o no?» come controllo finale. 

«Ci sento…» e basta! 

«Allora hai ascoltato il ragionamento di mamma?» 

«Certo che sì, e che è?» 

«Ha detto che deve andare a comprare un cappotto, un giaccone, qualcosa per ripararsi dal freddo, che ha ancora ciò che abbiamo portato noi da Corfù…» cavolo! 

«In che senso?» 

«In questo…» e provò ancora. Ma non fece in tempo. 

Umberto si era alzato, pareva che controllasse muscoli e occhi, assonnato ma non troppo, e afferrò, meno male, il bastone. Che, seppure di poco peso ma se lo sbatti con una certa violenza, ed era lungo quanto una tavola da pranzo, quindi un metro e mezzo, diciamo, ti faceva male, come no! E lo strinse. Un tantino oltre. 

Lo stritolò, lo ridusse a cartone pressato, ma senza area intera, solo cartoccio di chi è in una fase di nere preveggenze e si sfoga nel modo. Senza acciuffare per il collo nessuno che non c’erano colpevoli, ma con una voglia matta di sfasciare il mondo che ne aveva le scatole piene. Fu allora che rise per non indiavolarsi, si fece il segno della croce mentalmente, alzò gli occhi al cielo, quel po’ che vedeva dalla finestra invernale del momento, Incoronata aveva aperto le persiane, e sbuffò. 

«Ho scherzato!» disse, per non offendere e per essere chiaro, secondo un linguaggio non scritto per cui il gioco nasconde sempre la verità e quella era triste e doveva essere compresa. Persino da Christina che si arrangiasse con la merce di Grecia e aspettasse tempi migliori. Nei due sensi disponibili. Il primo che arrivasse una risposta o proposta di lavoro, comunque e per chiunque, persino per Xeni che poteva aiutare il postino a leggere indirizzi stranieri, per esempio. Il secondo che mancava solo un mese e mezzo alla primavera. E che ci vuole? Qui, a Montepulciano di Siena, fa caldo. Tanto caldo. 

Non diversamente dal cervello di Umberto che guardava e non fiatava, adesso. Sognava e non lo dava a vedere, soffriva e sembrava. Per il sudore non indicato nella stagione. E dovette sostare a guardare le strada, fuori, per pochi secondi. Datemi il tempo di riprendermi, non disse, lasciatemi riposare un attimo, pensò. «Andiamo!» pronunciò. 

E partirono. 

«Noi facciamo due passi… mamma!» lui. 

«Andate, andate…» e, dalla voce, l’espressione che ci mise, parve che volesse indicare una via di sua certa conoscenza, dove si mandano coloro che rompono o che contraddicono. Ma non aggiunse, fu solo cattiva interpretazione di Umberto, o di tutti e tre. Che Xeni rideva, con la mano sulla bocca. 

«Da Bartolino?» Christina. 

«Da Bartolino» Umberto. 

No, perché era anche tempo di saldi e, magari, ci poteva essere uno sconto adeguato alle condizioni del momento. Quando il ragazzo si tastò il suo portafogli, quello che aveva sempre dietro, nella tasca dei pantaloni, diventato curvo per la posizione e morbido, sottile, diciamo pure assente come contenuto. Solo quella misera carta di credito che piangeva anch’essa al solo pensiero di essere usata per spillare quattrini. Meno male che si rimborsava il mese seguente: fino a marzo qualcosa si guadagnerà. O no? 

«O no!» il venditore di abbigliamenti vari, «chi si rivede!» doveva anche lui aver percepito che si risparmiava. 

«Buongiorno Bartolino…» e voleva significare, dal tono dimesso, che si mantenesse calmo nel chiedere il prezzo. 

«Abbiamo merce buona e appena arrivata» invece lui, che si vantava anche di ciò che teneva in negozio da circa dieci anni. Se era vero che quando Umberto era partito per Macerata aveva visto una camicia ancora in bella mostra su un manichino senza testa. 

«Ci servirebbe…» e cominciò con il condizionale, che sempre c’era una supposizione, «un cappotto per mia moglie.» 

Quello, dal sorriso smagliante e inestricabile, nel senso che pareva ridesse quando era nero e che appariva serio quando era contento. Per mischiare le carte ai clienti e fare affari per conto suo. Osservò attentamente. Dai piedi ai capelli, fece anche un cenno con la testa, raccogliendo le labbra a mucchio attorno ai denti quasi sporgenti dell’arcata superiore, scosse lateralmente il proprio capo e asserì che aveva ciò che facesse al caso. 

«Ultimi arrivi…» non aggiunse le partenze che avrebbe voluto dire, come se avesse sostato lì poco tempo, quel coso che prese tra le mani e mostrò non prima di averlo spolverato con la mano tesa. Che doveva essere una rimanenza del secolo scorso. Parole pensate da Umberto che conosceva bene il soggetto. 

Allora perché erano andati da lui? Semplice, perché era capace di acquistare in blocco partite difettate. Poi le sistemava, non sempre con cautela e sagacia tattica giacché non voleva che le gente se ne accorgesse, ma sapevano tutti a Montepulciano, quindi posizionava in vetrina come vestiario di ottima qualità. Ovvero, la merce era di marca, questo sì, ma con qualche piccolo foro, qualche scucitura, una macchietta, cosa piccola, una manica più lunga. E qui si andava sul pesante e solo persone a loro volta difettate potevano comprare. 

Umberto, però, era al corrente di tutto, per accordi tra suo padre Ciccio e il Bartolino, in quanto si scambiavano i favori, e non era detto che anche il papà morto non approfittasse di rimediare pezzi di ricambio già usati, o che, da valutare, ma non era importante al momento, montasse materiali con problemi da lui stesso eliminati. Nel senso che per vivere si fa questo e altro. Perciò. Per tale ragione aveva gli occhi aperti e, prima di lasciar provare il capo, lo esaminava come se contenesse polvere da sparo. 

«E che guardi?» il negoziante curioso oppure apprensivo, dacché era un guaio se ti scappava di offendere la sua roba, «non c’è mica la polvere nera…» che aveva letto un libro in cui si parlava, appunto di tale scoperta, o una cosa del genere. No, perché ogni volta era sempre la stessa storia. «Hai letto Nove passi oltre il muro dei ricordi?» faceva. 

«Ah… sì» adesso, che era stufo di dirgli sempre di non conoscere l’autore. 

«Come ti paio?» invece Christina che si muoveva sinuosamente davanti a lui e a uno specchio inclinato che faceva vedere anche un tantino le gambe. 

Cosicché si portò nei pressi quel dannato di uomo che si era anche accucciato per fingere di tirare giù la parte bassa del cappottino, bello, come lo annunciava, comodo, come lo definiva, ottimo, come si sentì di aggiungere nel guardare. Eppure non era giovane e che osservi senza avere i denti? 

In quel preciso momento, casualmente, Bartolino si era rialzato e si era messo di fronte a Umberto. Lo mirava in segno di sfida, gli parve, come uno scemo che non sa cosa dire e che pensare. Che aveva, l’altro, una bella moglie, e non volle aggiungere commenti, sempre con il pensiero, perché non si scambiarono battute di nessun tipo. Solo sguardi, talora accompagnati da risatine sataniche, talaltra con sbuffi e rabbuffi di vario genere. Ma sempre taciturni e preoccupati, l’uno e l’altro. 

Il primo, il venditore, perché aveva una certa mezza idea che quello non avrebbe sborsato un solo centesimo di euro. Il secondo che l’amico di famiglia, se così si può chiamare un commerciante, poiché gli affari denunciano che l’amicizia non esiste, (lo rammentava un forellino su un pantalone di papà, quando era vivo, mai riconosciuto dal pessimo lì davanti, eppure appena venduto, non cambiato con altra merce in esposizione, non diciamo il rimborso di denaro, quello guai a parlarne), mostrasse, appunto, i denti.

 

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