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Altri libri dello stesso autore:
L'ipnotizzatore
di anime stanche, (sottotitolo del libro In uno schioppo di mani il potere),
è il ventiduesimo romanzo pubblicato da Raffaele Castelli.
E' la storia di Matteo di Rapallo che scopre di avere una dote singolare: riesce a ipnotizzare le persone solo con lo schioppo delle mani. Gli accadde per caso quando voleva far smettere di cinguettare gli uccelli delle palme sul lungomare. Poi iniziò a sfruttare a scuola questa sua capacità e, quindi, in un nuovo lavoro che gli portò anche numerosi inconvenienti. Fino a cercare la soluzione che gli impedisse di addormentare le persone con le quali veniva a contatto. Il romanzo, umoristico e psicologico al tempo stesso, è adatto a qualsiasi tipo di pubblico, soprattutto ai giovani e agli studenti, anche per l'età dei personaggi principali del racconto. Quindi buona lettura. Qui c'è un breve riassunto, la quarta di copertina, il sommario, i personaggi e le località del romanzo e le prime delle 302 pagine del libro. E' possibile acquistarlo tramite il link a questa pagina. Tutti i libri, romanzi ma anche saggi, sono elencati nella pagina qui collegata. Ambientazione del romanzo
RiassuntoMatteo scoprì di
essere dotato di
quella strana qualità per caso. Era successo la domenica delle Palme
mentre
troppi uccelli cinguettavano sugli alberi del lungomare di Rapallo e
lui batté
le mani per zittirli. Eppure non ancora immaginava, che se non fosse
stato per
Oscar, il suo caro amico e compagno di scuola, non avrebbe saputo delle
gare di
ginnastica al palazzetto dello sport e non avrebbe provato ad
applaudire. Poi
tutti in silenzio e quasi a dormire. E solo in un
secondo momento pensò
che potesse sfruttare l’occasione e guadagnarci sopra. Non prima di
essere
capitato in una palestra come pugile che riusciva a vincere con il suo
sistema
di anestetizzare gli altri: ipnosi. Poi ebbe contratti per fare
pubblicità
televisiva e invitare a comprare prodotti, e la voce si sparse in varie
città e
il conto in banca del padre, che lui era ancora minorenne, divenne
esagerato. Ma cominciarono
anche i guai che
molti volevano strani risarcimenti e dovette provvedere, quando Emilio,
il
genitore che faceva prima il muratore, si dedicò a lui. E quello pagò,
senza
fiatare, mentre si confondeva con la mente, così pareva a sua moglie,
che i
troppi soldi ti danno alla testa, in tutti i sensi. Poi avvenne quel
sequestro di persona
con lo scambio tra Matteo e Oscar che i ladri erano non del tutto
preparati e
la prigionia durò parecchi mesi, fino alla fine dell’anno scolastico. E
solo
dopo si capì chi l’avesse organizzato e perché. Che anche il
commissario
Tassara ne doveva sapere qualcosa. Meno male che il dottor
Ricci trovò
una certa pomata che attutiva lo schioppo delle mani e rendeva
inefficace la
botta, che la malattia, come la chiamava, doveva scomparire: fonte di
problemi
per tutti. Tranne per Casimiro che ne aveva trovato giovamento
indiretto. Indice dei capitoli
Personaggi nominati (in ordine di citazione):
Località e luoghi geografici nominati (in ordine di citazione):
Tutto era
cominciato quella mattina di
domenica delle Palme. Il cielo pulito dopo alcuni acquazzoni a
intervallo di
venti ore, capitati pure di notte, ma di pioggia sottile. Quella che
nemmeno la
senti con le orecchie, ma fastidiosa che s’infila nei capelli abituati
a vagare
senza ombrello per le strade di Rapallo. Anzi la primavera aveva
portato, da
una settimana circa, le belle giornate e proprio grazie a una di esse
che
Matteo aveva deciso, con l’aiuto della madre, di recidere alcuni alberi
nel
giardino di casa. Ovvero erano alcuni anni che i vicini rompevano
l’anima con
la storia dei rami e delle frasche, che avevano inondato la strada di
fronte e
si erano accostati, non ancora toccavano, ma stavano per farlo, gli
edifici di
proprietà altrui. Ecco. I confinanti, appunto. Che sono coloro i quali
ti
sembrano i migliori amici, sempre che abbiano bisogno di te, salvo poi,
spesso,
che ti vogliano ridurre al minimo storico in tutti i sensi, a
cominciare da ciò
che maggiormente si vede della tua ricchezza. Che era una vera risorsa
vivere
nel centro antico della cittadina e avere a disposizione una zona verde
privata
con alberi.
Per la verità tali piante, soprattutto platani nati senza l’ausilio dell’opera umana, giacché si erano ingigantiti dopo essersi seminati da soli, derivati dalla folate di vento autunnale dai giardini pubblici nei pressi, erano adesso molto adulte. Alte, molto più degli edifici circostanti, oppure in fase di avanzata sopraelevazione nei confronti degli stessi. «Adesso devi intervenire» aveva detto perentorio il vice sindaco, un ragazzo che non voleva litigare con nessuno e aveva convocato, dietro avviso informale da parte di un vigile urbano, un ragazzotto largo e poco cresciuto, così diventato da quando aveva ricevuto in dono, con l’elezione scorsa, il posto. «Signor… sindaco…» si avventurò a dire, nonostante ci fosse la scusante dei suoi diciassette anni e della non ancora maggiore età, lo stesso Matteo che il padre aveva altro cui pensare e lavorava come muratore e piccola impresa di costruzioni o di impianti comunali. No, perché non aveva dipendenti, se si escludono qualche giovane in cerca di denaro per un po’ e lui stesso, il figlio, come coadiuvante e nemmeno del tutto a posto. Il quale guidava il miniescavatore e perciò era conosciuto dalle parti del municipio. Che lo avevano salutato in tanti. «Sì…» poi ripensò giacché non era il caso e cercò di dissimulare, «sindaco… ma no! Magari… anzi, meglio così, ho meno responsabilità. Vedi il tuo caso» come se fosse di difficile soluzione. «Bene, bene, adesso taglio tutto» e rifletté che forse era troppo, bastava eliminare alcuni rami che fuoriuscivano dalla proprietà personale o di famiglia e poi ognuno poteva tenersi le proprie cose nei propri giardini. O no? «E no!» con un’enfasi che era esagerata, a giudicare dall’aspetto dimesso di Matteo. Che ascoltava pensieroso. «E sì!» a rispondere senza aumentare la voce e congiungendo la precedente domanda con la presente risposta. «Ma che stai dicendo… non ho capito. Vorresti radere al suolo la…» «Non la… il… l’ho…» come se fosse un esempio di determinazioni. «L’hai vista la lettera?» e prese allora lo scritto che era davanti al tavolo, nella direzione di chi legge, loro erano di fronte di qua e come se ci fosse un altro signore a dare istruzioni e seduto al comando della scrivania. «Non c’è bisogno» anche perché non era cosa di oggi o di ieri. La questione cominciò circa quattordici anni fa, cose raccontate dalla madre che lui era troppo piccolo per ricordare. Quando una vicina, in età avanzata e senza timore reverenziale che lei stesse per andarsene, come fece di lì a poco, si adoperò a lagnarsi di segare opportunamente gli arbusti, all’epoca. Poi tutto continuato con velate minacce di figli e nipoti, tutti sulla stessa lunghezza d’onda. «Allora?» che la discussione fu cifrata, fino a quel punto, e nessuno dei due si era sbilanciato su come e quando. Per questo fu la volta dello stesso Matteo, studente all’itis Natta di Rapallo città. Intervenire a chiudere e a impegnarsi personalmente a tagliare dalla radice almeno due o tre platani, poi diventati quattro quando pensò che, giacché c’era, poteva pure eliminare dalle scatole quello centrale, non ancora esageratamente grosso e comunque già altamente ombroso per la piccola zona a orto posta sul retro in posizione nord. Per questo. «Allora…» ripeté il vice sindaco aspettando una solenne promessa di fede, o una garanzia che fosse di una certa solennità. E attese alcuni secondi la risposta. Quella che non giunse per i pensieri che si stavano annuvolando nella mente e per il progetto su come provvedere che la mamma non sarebbe stata in grado. Perciò. «Quattro… ne tolgo quattro» considerato che ne aveva altri trenta, perlomeno, che supplivano sicuramente a coprire la parte verde e a dare profumi, simbologia, frescura e architettura del paesaggio urbano. Cose sentite da alcuni progettisti di fognature con i quali il suo papà aveva lavorato tempo addietro. «D’accordo!» e gli protese la mano, il politico con ciuffo elegante e liscio, sguardo di persona che vuole pace sociale e ancora con la lettera in mano di lamento dell’avvocato del signore dirimpetto al giardino di Matteo. «Ho capito» lui. «Ci siamo capiti?» l’altro. «Sì…» che si perse lungo le scale larghe e umide del fabbricato, appena lavate senza ritegno che ci fossero cittadini in procinto di scivolare, semmai qualcuno, con problemi alla schiena, si fosse avventurato a scendere con una non modesta rapidità. Cosa di cui il ragazzo si diede attenzione e arrivò alla strada, attraversando il lungo porticato di un vecchio monastero, quale sembrava, lui non troppo esperto di storia dell’arte, ma molto, adesso, di come segare alberi senza frutti e vivere in tranquillità con i tizi limitrofi. Pensò. No, perché il giorno dopo c’era festa a scuola, anzi un’assemblea d’istituto e aveva l’opportunità di restare a casa a lavorare per il giardino. Con l’aiuto della madre, seppure sapesse che avrebbe dovuto sobbarcarsi lui stesso la faccenda e mai che dire al papà che già era oberato di avere altro per la testa. Per questo aveva fatto ricerca della motosega elettrica, nel fondaco degli attrezzi da lavoro e l’aveva trovata nascosta tra carte igieniche e sacchi di patate. Che lì era il ritrovo di tutto ciò che potesse servire rapidamente al genitore maschio e altro che fosse disponibile con celerità alla genitrice. Un ripostiglio gigante che conteneva ogni cosa, bastava indagare. E Matteo aveva tra le mani, di buona mattina, che significava ore dieci circa, sega a catena dentata, pesante quanto una quercia abbattuta, e una corda in materiale quasi sintetico che era, in alcuni tratti, sgusciata dalla ricopertura e mostrava segnali a base di lana robusta. Così gli parve quando si addossò pure una scala a sette o otto pioli per arrivare, nel caso, al posizionamento della fune nei pressi di un allaccio a una certa altezza. Per tirare l’albero già mezzo segato a terra. No, perché sapeva, per averlo studiato a scuola, in scienze, o in tecnologia, alle medie probabilmente, adesso non era il caso di analizzare, che bisogna intaccare la corteccia e il tronco verso la zona dove depositare la pianta, con un taglio a indicare all’albero come cadere, poi sull’altro lato a fondo. La corda tesa per avere anche un appiglio da indirizzare meglio, quando resta una piccola parte attaccata alla base e poco prima della caduta. Una procedura molto teorica che lui ricordava, ma mai sperimentata, almeno con diametro di quella fattezza, perciò aveva chiamato la madre a seguirlo. Che se ne pentì dopo tre secondi, quando, appena accesa la motosega, un rumore che faceva impressione a chi è abituato, al massimo, al frullatore, quella gli si rivolse con un fare impeccabile. «Stai attento!» e ti pareva. Giacché aveva alzato la voce proprio nel momento del massimo sforzo e Matteo le si era rivolto con frasi che significavano viaggi e inferni di vario tipo, mai sentiti dalla signora per la copertura del motore. ... |