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Decreto Legislativo dell'11 maggio 1999, n. 152
(Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 29 maggio 1999)
Decreto legislativo recante
disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della
direttiva 91/271/Cee concernente il trattamento delle acque reflue urbane
e della direttiva 91/676/Cee relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento
provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole.
(Sono riportate in corsivo
e grassetto le rettifiche apportate dall'avviso pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale 22/07/99, n.170)
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
VISTI gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
VISTA la direttiva 91/271/CEE del Consiglio del
21 maggio 1991 concernente il trattamento delle acque reflue urbane;
VISTA la direttiva 91/676/CEE del Consiglio del
12 dicembre 1991 relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento
provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole;
VISTA direttiva 98/15/CE recante modifica della
direttiva 91/271/CEE per quanto riguarda alcuni requisiti dell'allegato
I;
VISTA la legge 22 febbraio 1994, n. 146 recante
disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza
dell'Italia alle Comunità europee Legge comunitaria 1993 ed in particolare
l'articolo 36 e 37;
VISTA la legge 6 febbraio 1996, n. 52 recante
disposizioni per l'adempimento agli obblighi derivanti dall'appartenenza
dell'Italia alle Comunità europee Legge comunitaria 1994 ed in particolare
l'articolo 6;
VISTA la legge 24 aprile 1998 n. 128 recante
disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza
dell'Italia alle Comunità europee Legge comunitaria 1995-1997- ed
in particolare l'articolo 17;
VISTA la legge 5 gennaio 1994, n. 36 e successive
modifiche ed integrazioni;
VISTO il decreto legislativo 5 febbraio 1997,
n. 22 e successive modifiche ed integrazioni;
VISTA la legge 15 marzo 1997, n. 59;
VISTO il decreto legislativo 31 marzo 1998, n.
112;
VISTO il decreto del Presidente della Repubblica
24 maggio 1988, n. 236;
VISTA la legge 18 maggio 1989, n. 183;
VISTO il Regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775;
VISTA la preliminare deliberazione del Consiglio
dei Ministri, adottata nella riunione del 15 gennaio 1999;
SENTITA la Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le regioni e le province autonome;
ACQUISITI i pareri delle commissioni competenti
per materia della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
VISTA la deliberazione del Consiglio dei Ministri,
adottata nella riunione del 21 aprile 1999;
SULLA PROPOSTA del Ministro per le politiche
comunitarie e del Ministro dell'ambiente di concerto con i Ministri per
le politiche agricole, dei lavori pubblici, dell'industria, del commercio
e dell'artigianato, della sanità, delle finanze, per gli affari
regionali, per la funzione pubblica, dei trasporti e della navigazione,
di grazia e giustizia, degli affari esteri, del tesoro, del bilancio e
della programmazione economica
E M A N A
il seguente decreto legislativo:
TITOLO I
PRINCIPI GENERALI E COMPETENZE
Articolo 1 - (Finalità)
Il presente decreto definisce la disciplina
generale per la tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee perseguendo
i seguenti obiettivi:
-
prevenire e ridurre l'inquinamento e attuare il risanamento
dei corpi idrici inquinati;
-
conseguire il miglioramento dello stato delle acque
ed adeguate protezioni di quelle destinate a particolari usi;
-
(*) perseguire usi sostenibili e durevoli delle risorse
idriche, con priorità per quelle potabili;
-
mantenere la capacità naturale di auto depurazione
dei corpi idrici nonché la capacità di sostenere comunità
animali e vegetali ampie e ben diversificate.
Il raggiungimento degli obiettivi indicati al
comma 1 si realizza attraverso i seguenti strumenti:
-
l'individuazione di obiettivi di qualità ambientale
e per specifica destinazione dei corpi idrici;
-
la tutela integrata degli aspetti qualitativi e quantitativi
nell'ambito di ciascun bacino idrografico ed un adeguato sistema di controlli
e di sanzioni.
-
il rispetto dei valori limite agli scarichi fissati
dallo Stato, nonché la definizione di valori limite in relazione
agli obiettivi di qualità del corpo recettore;
-
l'adeguamento dei sistemi di fognatura, collettamento
e depurazione degli scarichi idrici, nell'ambito del servizio idrico integrato
di cui alla legge 5 gennaio 1994, n. 36;
-
l'individuazione di misure per la prevenzione e la
riduzione dell'inquinamento nelle zone vulnerabili e nelle aree sensibili;
-
l'individuazione di misure tese alla conservazione,
al risparmio, al riutilizzo ed al riciclo delle risorse idriche.
Le regioni a statuto ordinario regolano la materia
disciplinata dal presente decreto nel rispetto di quelle disposizioni in
esso contenute che, per la loro natura riformatrice costituiscono principi
fondamentali della legislazione statale ai sensi dell'articolo 117, comma
1, della Costituzione. Le regioni a statuto speciale e le province autonome
di Trento e Bolzano adeguano la propria legislazione al presente decreto
secondo quanto previsto dai rispettivi statuti e dalle relative norme di
attuazione.
Articolo 2 - (Definizioni)
Ai fini del presente decreto si intende per:
a -
|
"abitante equivalente": il carico organico biodegradabile
avente una richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni (BOD5) pari a 60
grammi di ossigeno al giorno; |
b -
|
"acque ciprinicole": le acque in cui vivono o
possono vivere pesci appartenenti ai ciprinidi (Cyprinidae) o a specie
come i lucci, i pesci persici e le anguille; |
c -
|
"acque costiere": le acque al di fuori della
linea di bassa marea o del limite esterno di un estuario; |
d -
|
"acque salmonicole": le acque in cui vivono o
possono vivere pesci appartenenti a specie come le trote, i temoli e i
coregoni; |
e -
|
"estuario": l'area di transizione tra le acque
dolci e le acque costiere alla foce di un fiume, i cui limiti esterni verso
il mare sono definiti con decreto del Ministro dell'ambiente; in via transitoria
sono fissati a cinquecento metri dalla linea di costa (*); |
f -
|
"acque dolci": le acque che si presentano in
natura con una bassa concentrazione di sali e sono considerate appropriate
per l'estrazione e il trattamento al fine di produrre acqua potabile; |
g -
|
"acque reflue domestiche": acque reflue provenienti
da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente
dal metabolismo umano e da attività domestiche; |
h -
|
"acque reflue industriali": qualsiasi tipo di
acque reflue scaricate da edifici in cui si svolgono attività commerciali
o industriali, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche
di dilavamento; |
i -
|
"acque reflue urbane": acque reflue domestiche
o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue
industriali ovvero meteoriche di dilavamento; |
l -
|
"acque sotterranee": le acque che si trovano
al di sotto della superficie del terreno, nella zona di saturazione e in
diretto contatto con il suolo e il sottosuolo; |
m -
|
"agglomerato": area in cui la popolazione ovvero
le attività economiche sono sufficientemente concentrate così
da rendere possibile la raccolta e il convogliamento delle acque reflue
urbane verso un sistema di trattamento di acque reflue urbane o verso un
punto di scarico finale; |
n -
|
"applicazione al terreno": l'apporto di materiale
al terreno mediante spandimento sulla superficie del terreno, iniezione
nel terreno, interramento, mescolatura con gli strati superficiali del
terreno; |
o -
|
"autorità d'ambito": la forma di cooperazione
tra comuni e province ai sensi dell'art. 9, comma 2, della legge 5 gennaio
1994, n. 36; |
p -
|
"bestiame": si intendono tutti gli animali allevati
per uso o profitto; |
q -
|
"composto azotato": qualsiasi sostanza contenente
azoto, escluso l'azoto allo stato molecolare gassoso; |
r -
|
"concimi chimici": qualsiasi fertilizzante prodotto
mediante procedimento industriale; |
s -
|
"effluente di allevamento": le deiezioni del
bestiame o una miscela di lettiera e di deiezione di bestiame, anche sotto
forma di prodotto trasformato; |
t -
|
"eutrofizzazione": arricchimento delle acque
in nutrienti, in particolare modo di composti dell'azoto ovvero del fosforo,
che provoca una proliferazione delle alghe e di forme superiori di vita
vegetale, producendo una indesiderata perturbazione dell'equilibrio degli
organismi presenti nell'acqua e della qualità delle acque interessate; |
u -
|
"fertilizzante": fermo restando quanto disposto
dalla legge 19 ottobre 1984, n.748, ai fini del presente
decreto è fertilizzante qualsiasi sostanza contenente, uno o più
composti azotati, sparsa sul terreno per stimolare la crescita della vegetazione;
sono compresi gli effluenti di allevamento, i residui degli allevamenti
ittici e i fanghi di cui alla lettera v); |
v -
|
"fanghi": i fanghi residui, trattati o non trattati,
provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane; |
z -
|
"inquinamento": lo scarico effettuato direttamente
o indirettamente dall'uomo nell'ambiente idrico di sostanze o di energia
le cui conseguenze siano tali da mettere in pericolo la salute umana, nuocere
alle risorse viventi e al sistema ecologico idrico, compromettere le attrattive
o ostacolare altri usi legittimi delle acque; |
aa -
|
"rete fognaria": il sistema di condotte per la
raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane; |
ab -
|
"scarico": qualsiasi immissione diretta tramite
condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili
nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria,
indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo
trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all'art.40; |
ac -
|
"acque di scarico": tutte le acque reflue provenienti
da uno scarico; |
ad -
|
"trattamento appropriato": il trattamento delle
acque reflue urbane mediante un processo ovvero un sistema di smaltimento
che dopo lo scarico garantisca la conformità dei corpi idrici recettori
ai relativi obiettivi di qualità ovvero sia conforme alle disposizioni
del presente decreto; |
ae -
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"trattamento primario": il trattamento delle
acque reflue urbane mediante un processo fisico ovvero chimico che comporti
la sedimentazione dei solidi sospesi, ovvero mediante altri processi a
seguito dei quali il BOD5 delle acque reflue in arrivo sia ridotto almeno
del 20% prima dello scarico e i solidi sospesi totali delle acque reflue
in arrivo siano ridotti almeno del 50%; |
af -
|
"trattamento secondario": il trattamento delle
acque reflue urbane mediante un processo che in genere comporta il trattamento
biologico con sedimentazioni secondarie, o un altro processo in cui vengano
rispettati i requisiti di cui alla tabella 1 dell'allegato 5; |
ag -
|
"stabilimento industriale" o, semplicemente,
"stabilimento": qualsiasi stabilimento nel quale si svolgono attività
commerciali o industriali che comportano la produzione, la trasformazione
ovvero l'utilizzazione delle sostanze di cui alla tabella 3 dell'allegato
5 ovvero qualsiasi altro processo produttivo che comporti la presenza di
tali sostanze nello scarico; |
ah -
|
"valore limite di emissione": limite di accettabilità
di una sostanza inquinante contenuta in uno scarico, misurata in concentrazione,
ovvero in peso per unità di prodotto o di materia prima lavorata,
o in peso per unità di tempo; |
ai -
|
"zone vulnerabili": zone di territorio che scaricano
direttamente o indirettamente composti azotati di origine agricola o zootecnica
in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di
tali tipi di scarichi |
Articolo 3 (Competenze)
Le competenze nelle materie disciplinate dal presente
decreto sono stabilite dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 e
dagli altri provvedimenti statali e regionali adottati ai sensi della legge
15 marzo 1997, n. 59.
Lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le autorità
di bacino, l'Agenzia nazionale e le Agenzie regionali per la protezione
dell'ambiente assicurano l'esercizio delle competenze già spettanti
alla data di entrata in vigore della legge 15 marzo 1997, n. 59, fino all'attuazione
delle disposizioni di cui al comma 1.
In relazione alle funzioni e ai compiti spettanti
alle regioni e agli enti locali, in caso di accertata inattività
che comporti inadempimento agli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione
europea o pericolo di grave pregiudizio alla salute o all'ambiente o inottemperanza
agli obblighi di informazione, il Presidente del Consiglio dei Ministri,
su proposta dei Ministri competenti, esercita i poteri sostitutivi in conformità
all'articolo 5 del decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 112, fermi
restando i poteri di ordinanza previsti dall'ordinamento in caso di urgente
necessità, nonché quanto disposto dall'articolo 53.
Le prescrizioni tecniche necessarie all'attuazione
del presente decreto sono stabilite negli allegati al decreto stesso e
con uno o più regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17, comma
3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previaintesa con la Conferenza Stato
e regioni; attraverso i medesimi regolamenti possono altresì essere
modificati gli allegati al presente decreto per adeguarli a sopravvenute
esigenze o a nuove acquisizioni scientifiche o tecnologiche.
Ai sensi dell'articolo 20 della legge 16 aprile 1987,
n. 183, con decreto dei Ministri competenti per materia, si provvede alla
modifica degli allegati al presente decreto per dare attuazione alle direttive
che saranno emanate dall'Unione europea, per le parti in cui queste modifichino
modalità esecutive e caratteristiche di ordine tecnico delle direttive
dell'Unione europea recepite dal presente decreto.
I consorzi di bonifica e di irrigazione, anche attraverso
appositi accordi di programma con le competenti autorità, concorrono
alla realizzazione di azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento
delle acque, anche al fine della loro utilizzazione irrigua, della rinaturalizzazione
dei corsi d'acqua e della fitodepurazione.
Le regioni assicurano la più ampia divulgazione
delle informazioni sullo stato di qualità delle acque e trasmettono
all'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente i dati conoscitivi
e le informazioni relative all'attuazione del presente decreto, nonché
quelli prescritti dalla disciplina comunitaria, secondo le modalità
indicate con decreto del Ministro dell'ambiente di concerto con i Ministri
competenti, d'intesa con la Conferenza Stato e regioni. L'Agenzia nazionale
per la protezione dell'ambiente elabora a livello nazionale, nell'ambito
del Sistema informativo nazionale ambientale, le informazioni ricevute
e le trasmette ai Ministeri interessati e al Ministero dell'ambiente anche
per l'invio alla Commissione europea. Con lo stesso decreto sono individuati
e disciplinati i casi in cui le regioni sono tenute a trasmettere al Ministero
dell'ambiente i provvedimenti adottati ai fini delle comunicazioni all'Unione
europea o in ragione degli obblighi internazionali assunti.
Sono fatte salve le competenze spettanti alle regioni
a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi
dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione.
Le regioni favoriscono l'attiva partecipazione di
tutte le parti interessate all'attuazione del presente decreto in particolare
in sede di elaborazione, revisione e aggiornamento dei piani di tutela.
TITOLO
II - OBIETTIVI DI QUALITÀ
Capo I - (Obiettivo di qualità
ambientale e obiettivo di qualità per specifica destinazione)
Articolo 4 - (Disposizioni generali)
Al fine della tutela e del risanamento
delle acque superficiali e sotterraee, il presente decreto individua gli
obiettivi minimi di qualità ambientale per i corpi idrici significativi
e gli obiettivi (*) di qualità per specifica destinazione per i
corpi idrici di cui all'articolo 6, da garantirsi su tutto il territorio
nazionale.
L'obiettivo di qualità ambientale è
definito in funzione della capacità dei corpi idrici di mantenere
i processi naturali di autodepurazione e di supportare comunità
animali e vegetali ampie e ben diversificate.
L'obiettivo di qualità per specifica destinazione
individua lo stato dei corpi idrici idoneo a una particolare utilizzazione
da parte dell'uomo, alla vita dei pesci e dei molluschi.
In attuazione del presente decreto sono adottate,
mediante il piano di tutela delle acque di cui all'articolo 44, misure
atte a conseguire i seguenti obiettivi entro il 31 dicembre 2016:
-
sia mantenuto o raggiunto per i corpi idrici significativi
superficiali e sotterranei l'obiettivo di qualità ambientale corrispondente
allo stato di "buono" come definito nell'Allegato 1;
-
sia mantenuto, ove già esistente, lo stato
di qualità ambientale "elevato" come definito nell'Allegato 1;
-
siano mantenuti o raggiunti altresì per i
corpi idrici a specifica destinazione di cui all'articolo 6 gli obiettivi
di qualità per specifica destinazione di cui all'allegato 2, salvo
i termini di adempimento previsti dalla normativa previgente;
Qualora per un corpo idrico siano designati obiettivi
di qualità ambientale e per specifica destinazione che prevedono
per gli stessi parametri valori limite diversi, devono essere rispettati
quelli più cautelativi; quando i limiti più cautelativi si
riferiscono al conseguimento dell'obiettivo di qualità ambientale,
il rispetto degli stessi decorre dal 31 dicembre 2016.
Il piano di tutela provvede al coordinamento degli
obiettivi di qualità ambientale con i diversi obiettivi di qualità
per specifica destinazione.
Le regioni possono altresì definire obiettivi
di qualità ambientale più elevati, nonché individuare
ulteriori destinazioni dei corpi idrici e relativi obiettivi di qualità.
Articolo 5
(Individuazione e perseguimento dell'obiettivo
di qualità ambientale)
Entro il 31 dicembre 2001, sulla base dei dati già
acquisiti e dei risultati del primo rilevamento effettuato ai sensi degli
articoli 42 e 43 (*), le regioni identificano per ciascun corpo idrico
significativo, o parte di esso, la classe di qualità corrispondente
ad una di quelle indicate nell'allegato 1.
In relazione alla classificazione di cui al comma
1, le regioni stabiliscono e adottano le misure necessarie al raggiungimento
o al mantenimento degli obiettivi di qualità ambientale di cui all'articolo
4, comma 4, lettere a) e b), tenendo conto del carico massimo ammissibile
ove fissato sulla base delle indicazioni dell'autorità di bacino
di rilievo nazionale e interregionale per icorpi idrici sovraregionali,
assicurando in ogni caso per tutti i corpi idrici l'adozione di misure
atte ad impedire un ulteriore degrado.
Al fine di assicurare entro il 31 dicembre 2016 il
raggiungimento dell'obiettivo di qualità ambientale corrispondente
allo stato "buono", entro il 31 dicembre 2008 ogni corpo idrico superficiale
classificato o tratto di esso deve conseguire almeno i requisiti dello
stato "sufficiente" di cui all'allegato 1.
Le regioni possono motivatamente stabilire termini
diversi per i corpi idrici che presentano condizioni tali da non consentire
il raggiungimento dello stato "buono" entro il 31 dicembre 2016.
Le regioni possono motivatamente stabilire obiettivi
di qualità ambientale meno rigorosi per taluni corpi idrici, qualora
ricorra almeno una delle seguenti condizioni:
-
il corpo idrico ha subito gravi ripercussioni in
conseguenza dell'attività umana che rendono manifestamente impossibile
o economicamente insostenibile un significativo miglioramento dello stato
qualitativo;
-
il raggiungimento dell'obiettivo di qualità
previsto non è perseguibile a causa della natura litologica ovvero
geomorfologica del bacino di appartenenza;
-
l'esistenza di circostanze impreviste o eccezionali,
quali alluvioni e siccità.
Quando ricorrono le condizioni di cui al comma 5,
la definizione di obiettivi meno rigorosi è consentita purché
i medesimi non comportino l'ulteriore deterioramento dello stato del corpo
idrico e, fatto salvo il caso di cui al comma 5, lettera b), non sia pregiudicato
il raggiungimento degli obiettivi fissati dal presente decreto in altri
corpi idrici all'interno dello stesso bacino idrografico.
Nei casi previsti dai commi 4 e 5, i piani di tutela
devono comprendere le misure volte alla tutela del corpo idrico, ivi compresi
i provvedimenti integrativi o restrittivi della disciplina degli scarichi
ovvero degli usi delle acque. I tempi e gli obiettivi, nonché le
relative misure, sono rivisti almeno ogni sei anni ed ogni eventuale modifica
deve essere inserita come aggiornamento del piano.
Articolo 6 - (Obiettivo di qualità
per specifica destinazione)
Sono acque a specifica destinazione funzionale:
-
le acque dolci superficiali destinate alla produzione
di acqua potabile;
-
le acque destinate alla balneazione;
-
le acque dolci che richiedono protezione e miglioramento
per essere idonee alla vita dei pesci;
-
le acque destinate alla vita dei molluschi.
Fermo restando quanto disposto dall'articolo 4, commi
4 e 5, per le acque indicate al comma 1, è perseguito, per ciascun
uso, l'obiettivo di qualità per specifica destinazione stabilito
nell'allegato 2, fatta eccezione per le acque di balneazione.
Le regioni, al fine di un costante miglioramento
dell'ambiente idrico, stabiliscono programmi, che vengono recepiti nel
piano di tutela, per mantenere, ovvero adeguare, la qualità delle
acque di cui al comma 1 all'obiettivo di qualità per specifica destinazione.
Relativamente alle acque di cui al comma 1. Le regioni predispongono
apposito elenco che provvedono ad aggiornare periodicamente.
Capo II - Acque a specifica destinazione
Articolo 7
(Acque superficiali destinate alla Produzione
di acqua potabile)
Le acque dolci superficiali per essere utilizzate
o destinate alla produzione di acqua potabile, sono classificate dalle
regioni nelle categorie A1, A2 e A3 secondo le caratteristiche fisiche,
chimiche e microbiologiche di cui alla tabella 1/A dell'allegato 2.
A seconda della categoria di appartenenza, le acque
dolci superficiali di cui al comma 1 sono sottoposte ai seguenti trattamenti:
-
Categoria A1: trattamento fisico semplice e disinfezione;
-
Categoria A2: trattamento fisico e chimico normale
e disinfezione;
-
Categoria A3: trattamento fisico e chimico spinto,
affinazione edisinfezione.
Le regioni inviano i dati relativi al monitoraggio
e classificazione delle acque di cui ai commi 1 e 2 al Ministero della
sanità, che provvede al successivo inoltro alla Commissione europea.
Le acque dolci superficiali che presentano caratteristiche
fisiche, chimiche e microbiologiche qualitativamente inferiori ai valori
limite imperativi della categoria A3 possono essere utilizzate, in via
eccezionale, solo nel caso in cui non sia possibile ricorrere ad altre
fonti di approvvigionamento e a condizione che le acque siano sottoposte
ad opportuno trattamento che consenta di rispettare le norme di qualità
delle acque destinate al consumo umano.
Articolo 8 - (Deroghe)
Per le acque superficiali destinate alla produzione
di acqua potabile, le regioni possono derogare ai valori dei parametri
di cui alla tabella 1/A dell’allegato 2:
-
in caso di inondazioni o di catastrofi naturali;
-
limitatamente ai parametri contraddistinti nell’Allegato
2 tabella 1/A dal simbolo (o) in caso di circostanze meteorologiche eccezionali
o condizioni geografiche particolari;
-
quando le acque superficiali si arricchiscono naturalmente
di talune sostanze con superamento dei valori fissati per le categorie
A1, A2 e A3;
-
nel caso di laghi poco profondi e con acque quasi
stagnanti, per i parametri indicati con un asterisco nell’Allegato 2, tabella
1/A, fermo restando che tale deroga è applicabile unicamente ai
laghi aventi una profondità non superiore ai 20 metri, che per rinnovare
le loro acque impieghino più di un anno e nel cui specchio non defluiscano
acque di scarico.
Le deroghe di cui al comma 1 non sono ammesse se
ne derivi concreto pericolo per la salute pubblica.
Articolo 9 - (Acque di balneazione)
Le acque destinate alla balneazione devono rispondere
ai requisiti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno
1982, n. 470, e successive modifiche.
Per le acque che risultano ancora non idonee alla
balneazione ai sensi del decreto Presidente della Repubblica n. 470 del
1982 le regioni, entro l’inizio della stagione balneare successiva a quella
dell’entrata in vigore del presente decreto e, successivamente, prima dell’inizio
della stagione balneare, con periodicità annuale, comunicano al
Ministero dell’ambiente, secondo le modalità indicate con il decreto
di cui all’articolo 3, comma 7, tutte le informazioni relative alle cause
ed alle misure che intendono adottare.
Articolo 10 - (Acque dolci idonee alla
vita dei pesci)
Ai fini della designazione delle acque dolci che
richiedono protezione o miglioramento per esser idonee alla vita dei pesci,
sono privilegiati:
-
i corsi d’acqua che attraversano il territorio di
parchi nazionali e riserve naturali dello Stato nonché di parchi
e riserve naturali regionali;
-
i laghi naturali ed artificiali, gli stagni ed altri
corpi idrici, situati nei predetti ambiti territoriali;
-
le acque dolci superficiali comprese nelle zone umide
dichiarate "di importanza internazionale" ai sensi della convenzione di
Ramsar del 2 febbraio 1971, resa esecutiva con il decreto del Presidente
della Repubblica del 13 marzo 1976, n. 448, sulla protezione delle zone
umide, nonché quelle comprese nelle "oasi di protezione della fauna",
istituite dalle regioni e province autonome ai sensi della legge 11 febbraio
1992, n.157;
-
le acque dolci superficiali che, ancorché
non comprese nelle precedenti categorie, presentino un rilevante interesse
scientifico, naturalistico, ambientale e produttivo in quanto costituenti
habitat di specie animali o vegetali rare o in via di estinzione, ovvero
in quanto sede di complessi ecosistemi acquatici meritevoli di conservazione
o, altresì, sede di antiche e tradizionali forme di produzione ittica,
che presentano un elevato grado di sostenibilità ecologica ed economica.
Sono escluse dall’applicazione del presente articolo
e degli articoli 11, 12 e 13, le acque dolci superficiali dei bacini naturali
o artificiali utilizzati per l’allevamento intensivo delle specie ittiche
nonché i canali artificiali adibiti a uso plurimo, di scolo o irriguo,
e quelli appositamente costruiti per l’allontanamento dei liquami e di
acque reflue industriali.
Le acque dolci superficiali che presentino valori
dei parametri di qualità conformi con quelli imperativi previsti
dalla tabella 1/B dell’allegato 2, sono classificate, entro quindici mesi
dalla designazione, come acque dolci "salmonicole" o "ciprinicole".
La designazione e la classificazione ai sensi dei
commi 1 e 3 sono effettuate dalle regioni, ricorrendone le condizioni,
devono essere gradualmente estese sino a coprire l’intero corpo idrico,
ferma restando la possibilità di designare e classificare nell’ambito
del medesimo, tratti come "acqua salmonicola" e tratti come "acqua ciprinicola".
Qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità
di tutela della qualità delle acque, il Presidente della Giunta
regionale o il Presidente della provincia, nell’ambito delle rispettive
competenze, adottano provvedimenti specifici e motivati, integrativi o
restrittivi degli scarichi ovvero degli usi delle acque.
Articolo 11 - (Successive designazioni
e revisioni)
Le regioni sottopongono a revisione la designazione
e la classificazione di alcune acque dolci idonee alla vita dei pesci in
funzione di elementi imprevisti o sopravvenuti.
Articolo 12 - (Accertamento della qualità
delle acque idonee alla vita dei pesci)
Le acque designate e classificate si considerano
idonee alla vita dei pesci se rispondono ai requisiti riportati nella tabella
1/B dell’allegato 2.
Se dai campionamenti risulta che non sono rispettati
uno o più valori dei parametri riportati nella tabella 1/B dell’Allegato
2, le autorità competenti al controllo accertano se l’inosservanza
sia dovuta a fenomeni naturali, a causa fortuita, ad apporti inquinanti
o a eccessivi prelievi e propongono all’autorità competente le misure
appropriate.
Ai fini di una più completa valutazione delle
qualità delle acque, le regioni promuovono la realizzazione di idonei
programmi di analisi biologica delle acque designate e classificate.
Articolo 13 - (Deroghe)
Per le acque dolci superficiali designate o classificate
per essere idonee alla vita dei pesci, le regioni possono derogare al rispetto
dei parametri indicati nella tabella 1/B dell’allegato 2, dal simbolo (o),
in caso di circostanze meteorologiche eccezionali o speciali condizioni
geografiche e, quanto al rispetto dei parametri riportati nella medesima
tabella, per arricchimento naturale del corpo idrico da sostanze provenienti
dal suolo senza intervento diretto dell’uomo.
Articolo 14 - (Acque destinate alla vita
dei molluschi)
Le regioni designano, nell’ambito delle acque
marine costiere e salmastre, che sono sede di banchi e popolazioni naturali
di molluschi bivalvi e gasteropodi, quelle richiedenti protezione e miglioramento
per consentire la vita e lo sviluppo degli stessi e per contribuire alla
buona qualità dei prodotti della molluschicoltura direttamente commestibili
per l’uomo.
Le regioni possono procedere a designazioni complementari,
oppure alla revisione delle designazioni già effettuate, in funzione
dell’esistenza di elementi imprevisti al momento della designazione.
Qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità
di tutela della qualità delle acque, il Presidente della Giunta
regionale, il Presidente della provincia e il Sindaco, nell’ambito delle
rispettive competenze, adottano provvedimenti specifici e motivati, integrativi
o restrittivi degli scarichi ovvero degli usi delle acque.
Articolo 15
(Accertamento della qualità delle
acque destinate alla vita dei molluschi)
Le acque designate ai sensi dell’articolo 14 devono
rispondere ai requisiti di qualità di cui alla tabella 1/C dell’allegato
2.
Qualora le acque designate non risultano conformi
ai requisiti di cui alla tabella 1/C dell’allegato 2, le regioni stabiliscono
programmi per ridurre l’inquinamento.
Se da un campionamento risulta che uno o più
valori di parametri di cui alla tabella 1/C dell’allegato 2, non sono rispettati,
le autorità competenti al controllo accertano se l’inosservanza
sia dovuta a fenomeni naturali, a causa fortuita o ad altri fattori di
inquinamento. In tali casi le regioni adottano misure appropriate.
Articolo 16 - (Deroghe)
Per le acque destinate alla vita dei molluschi, le
regioni possono derogare ai requisiti alla tabella 1/C dell’allegato 2,
in caso di condizioni meteorologiche o geografiche eccezionali.
Articolo 17 - (Norme sanitarie)
Le attività di cui agli articoli 14, 15 e
16 lasciano impregiudicata l’attuazione delle norme sanitarie relative
alla classificazione delle zone di produzione e di stabulazione dei molluschi
bivalvi vivi, effettuata ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 530.
TITOLO III
TUTELA DEI CORPI IDRICI E DISCIPLINA DEGLI
SCARICHI
Capo I
Aree richiedenti specifiche misure di
prevenzione dall’inquinamento e di risanamento e salvaguardia degli usi
sostenibili
Articolo 18 - (Aree sensibili)
Le aree sensibili e sono individuate secondo i criteri
dell’allegato 6.
Ai fini della prima individuazione sono designate
aree sensibili:
-
i laghi di cui all’allegato 6, nonché i corsi
d’acqua ad essi afferenti per un tratto di 10 chilometri dalla linea di
costa;
-
le aree lagunari di Orbetello, Ravenna e Piallassa-Baiona,
le Valli di Comacchio, i laghi salmastri e il delta del Po;
-
le zone umide individuate ai sensi della convenzione
di Ramsar del 2 febbraio 1971, resa esecutiva con decreto del Presidente
della Repubblica 13 marzo 1976, n.448;
-
le aree costiere dell’Adriatico-Nord Occidentale
dalla foce dell’Adige a Pesaro e i corsi d’acqua ad essi afferenti per
un tratto di 10 chilometri dalla linea di costa;
-
i corpi idrici ove si svolgono attività tradizionali
di produzione ittica sostenibile che necessitano di tutela.
Resta fermo quanto disposto dalla legislazione vigente
relativamente alla tutela di Venezia.
Sulla base dei criteri stabiliti nell’Allegato 6
e sentita l’Autorità di bacino, le regioni, entro un anno dalla
data di entrata in vigore del presente decreto, possono designare ulteriori
aree sensibili ovvero individuano all’interno delle aree indicate nel comma
2, i corpi idrici che non costituiscono aree sensibili.
Le regioni sulla base di criteri previsti dall’allegato
6 delimitano i bacini drenanti nelle aree sensibili che contribuiscono
all’inquinamento di tali aree.
Ogni quattro anni si provvede alla reidentificazione
delle aree sensibili. Le aree non più individuate come meno sensibili
devono soddisfare entro i successivi sette anni i requisiti fissati dall’articolo
31, comma 3, o, se designate come aree sensibili, quelli di cui all’articolo
32.
Le nuove aree sensibili identificate ai sensi dei
commi 4 e 6 devono soddisfare i requisiti dell’articolo 32 entro sette
anni dalla identificazione.
Articolo 19 - (Zone vulnerabili da nitrati
di origine agricola)
Le zone vulnerabili sono individuate secondo i criteri
di cui all’allegato 7/A-I.
Ai fini della prima individuazione sono designate
zone vulnerabili le aree elencate nell’allegato 7/A-III.
Entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente
decreto, sulla base dei dati disponibili, e per quanto possibile sulla
base delle indicazioni stabilite nell’allegato 7/A-I, le regioni, sentita
l’Autorità di bacino, possono individuare ulteriori zone vulnerabili
ovvero, all’interno delle zone indicate nell’allegato 7/A-III, le parti
che non costituiscono zone vulnerabili.
Almeno ogni quattro anni le regioni, sentita l’Autorità
di bacino, rivedono o completano le designazioni delle zone vulnerabili
per tener conto dei cambiamenti e fattori imprevisti al momento della precedente
designazione. A tal fine le regioni predispongono e attuano, ogni quattro
anni, un programma di controllo per verificare le concentrazioni dei nitrati
nelle acque dolci per il periodo di un anno, secondo le prescrizioni di
cui all’allegato 7/A-I, nonché riesaminano lo stato eutrofico causato
da azoto delle acque dolci superficiali, delle acque di transizione e delle
acque marine costiere.
Nelle zone individuate ai sensi dei commi 2, 3 e
4 devono essere attuati i programmi di azione di cui al comma 6, nonché
le prescrizioni contenute nel codice di buona pratica agricola di cui al
decreto del Ministro per le politiche agricole in data 19.4.1999, pubblicato
nel S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 102 del 4.5.1999.
Entro un anno dall’entrata in vigore del presente
decreto per le zone designate ai sensi dei commi 2 e 3 ed entro un anno
dalla data di designazione per le ulteriori zone di cui al comma 4, le
regioni, sulla base delle indicazioni e delle misure di cui all’allegato
7/A-IV, definiscono ovvero rivedono, se già posti in essere, programmi
d’azione obbligatori per la tutela e il risanamento delle acque dall’inquinamento
causato da nitrati di origine agricola, e provvedono alla loro attuazione
nell’anno successivo per le zone vulnerabili di cui ai commi 2 e 3 e nei
successivi quattro anni per le zone di cui al comma 4.
Le regioni provvedono, inoltre, a:
-
integrare, se del caso, in relazione alle esigenze
locali, il codice di buona pratica agricola, stabilendone le modalità
di applicazione;
-
predisporre ed attuare interventi di formazione e
di informazione degli agricoltori sul programma di azione e sul codice
di buona pratica agricola;
-
elaborare ed applicare entro quattro anni a decorrere
dalla definizione o revisione dei programmi di cui al comma 6, i necessari
strumenti di controllo e verifica dell’efficacia dei programmi stessi sulla
base dei risultati ottenuti; ove necessario, modificare o integrare tali
programmi individuando, tra le ulteriori misure possibili, quelle maggiormente
efficaci, tenuto conto dei costi di attuazione delle misure stesse.
Le variazioni apportate alle designazioni, i programmi
di azione, i risultati delle verifiche dell’efficacia degli stessi e le
revisioni effettuate devono essere comunicati al Ministero dell’ambiente,
secondo le modalità indicate nel decreto di cui all’articolo 3,
comma 7. Al Ministero per le politiche agricole è data tempestiva
notizia delle integrazioni apportate al codice di buona pratica agricola
di cui al comma 7, lettera a) nonché degli interventi di formazione
e informazione.
Al fine di garantire un generale livello di protezione
delle acque il codice di buona pratica agricola è di raccomandata
applicazione (*) al di fuori delle zone vulnerabili.
Articolo 20 - (Zone vulnerabili da prodotti
fitosanitari e altre zone vulnerabili)
Con le modalità previste dall’articolo 19
e sulla base delle indicazioni contenute nell’Allegato 7/B, le regioni
identificano le aree di cui all’articolo 5, comma 21, del decreto legislativo
17 marzo 1995, n. 194, allo scopo di proteggere le risorse idriche o altri
comparti ambientali dall’inquinamento derivante dall’uso di prodotti fitosanitari.
Le regioni e le autorità di bacino verificano
la presenza nel territorio di competenza di aree soggette o minacciate
da fenomeni di siccità, degrado del suolo e processi di desertificazione
e le designano quali aree vulnerabili alla desertificazione.
Per le aree di cui al comma 2, nell’ambito della
pianificazione di bacino e della sua attuazione, sono adottate specifiche
misure di tutela, secondo i criteri previsti nel Piano d’Azione Nazionale
di cui alla delibera CIPE del 22 dicembre 1998, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale del 17 febbraio 1999 n.39.
Articolo 21
(Modifiche al decreto del Presidente della
Repubblica 24 maggio 1988, n. 236)
L’articolo 4 del decreto del Presidente
della Repubblica 24 maggio 1988, n. 236, è sostituito come segue:
-
"Su proposta delle autorità d’ambito, le regioni,
per mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative delle acque superficiali
e sotterranee destinate al consumo umano erogate a terzi mediante impianto
di acquedotto che riveste carattere di pubblico interesse, nonché
per la tutela dello stato delle risorse, individuano le aree di salvaguardia
distinte in zone di tutela assoluta e zone di rispetto, nonché,
all’interno dei bacini imbriferi e delle aree di ricarica della falda,
le zone di protezione.
-
Per gli approvvigionamenti diversi da quelli di cui
al comma 1, le autorità competenti impartiscono, caso per caso,
le prescrizioni necessarie per la conservazione, la tutela della risorsa
ed il controllo delle caratteristiche qualitative delle acque destinate
al consumo umano.
-
Per la gestione delle aree di salvaguardia si applicano
le disposizioni dell’articolo 13 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 e le
disposizioni dell’articolo 24 della stessa legge, anche per quanto riguarda
eventuali indennizzi per le attività preesistenti."
L’articolo 5 del decreto del Presidente della
Repubblica 24 maggio 1988, n. 236, è sostituito come segue:
-
"La zona di tutela assoluta è costituita dall’area
immediatamente circostante le captazioni o derivazioni; essa deve avere
una estensione in caso di acque sotterranee e, ove possibile per le acque
superficiali, di almeno dieci metri di raggio dal punto di captazione,
deve essere adeguatamente protetta e adibita esclusivamente ad opere di
captazione o presa e ad infrastrutture di servizio".
L’articolo 6 del decreto del Presidente della
Repubblica 24 maggio 1988, n. 236, è sostituito come segue:
-
"La zona di rispetto è costituita dalla porzione
di territorio circostante la zona di tutela assoluta da sottoporre a vincoli
e destinazioni d’uso tali da tutelare qualitativamente e quantitativamente
la risorsa idrica captata e può essere suddivisa in zona di rispetto
ristretta e zona di rispetto allargata in relazione alla tipologia dell’opera
di presa o captazione e alla situazione locale di vulnerabilità
e rischio della risorsa. In particolare nella zona di rispetto sono vietati
l’insediamento dei seguenti centri di pericolo e lo svolgimento delle seguenti
attività:
a -
|
dispersione di fanghi ed acque reflue, anche
se depurati; |
b -
|
accumulo di concimi chimici, fertilizzanti o
pesticidi; |
c -
|
spandimento di concimi chimici, fertilizzanti
o pesticidi, salvo che l’impiego di tali sostanze sia effettuato sulla
base delle indicazioni di uno specifico piano di utilizzazione che tenga
conto della natura dei suoli, delle colture compatibili, delle tecniche
agronomiche impiegate e della vulnerabilità delle risorse idriche; |
d -
|
dispersione nel sottosuolo di acque meteoriche
proveniente da piazzali e strade; |
e -
|
aree cimiteriali; |
f -
|
apertura di cave che possono essere in connessione
con la falda; |
g -
|
apertura di pozzi ad eccezione di quelli che
estraggono acque destinate al consumo umano e di quelli finalizzati alla
variazione della estrazione ed alla protezione delle caratteristiche quali-quantitative
della risorsa idrica; |
h -
|
gestione di rifiuti |
i -
|
stoccaggio di prodotti ovvero sostanze chimiche
pericolose e sostanze radioattive; |
l -
|
centri di raccolta, demolizione e rottamazione
di autoveicoli; |
m -
|
pozzi perdenti; |
n -
|
pascolo e stabulazione di bestiame che ecceda
i 170 chilogrammi per ettaro di azoto presente negli effluenti, al netto
delle perdite di stoccaggio e distribuzione. |
E’ comunque vietata la stabulazione di
bestiame nella zona di rispetto ristretta.
Per gli insediamenti o le attività di cui
al comma 1, preesistenti, ove possibile e comunque ad eccezione delle aree
cimiteriali, sono adottate le misure per il loro allontanamento; in ogni
caso deve essere garantita la loro messa in sicurezza. Le regioni e le
provincie autonome disciplinano, all’interno delle zone di rispetto, le
seguenti strutture od attività:
-
fognature;
-
edilizia residenziale e relative opere di urbanizzazione;
-
opere varie, ferroviarie ed in genere infrastrutture
di servizio;
-
distribuzione di concimi chimici e fertilizzanti
in agricoltura nei casi in cui esista un piano regionale o provinciale
di fertilizzazione.
-
le pratiche agronomiche e i contenuti dei piani di
fertilizzazione di cui alla lettera c) del comma 1.
In assenza dell’individuazione da parte della regione
della zona di rispetto ai sensi dell’articolo 4, comma 1, la medesima ha
un’estensione di 200 metri di raggio rispetto al punto di captazione o
di derivazione".
L’articolo 7 del decreto del Presidente della
Repubblica 24 maggio 1988, n.236, è sostituito come segue:
-
"Le zone di protezione devono essere delimitate secondo
le indicazioni delle regioni per assicurare la protezione del patrimonio
idrico. In esse si possono adottare misure relative alla destinazione del
territorio interessato, limitazioni e prescrizioni per gli insediamenti
civili, produttivi, turistici, agroforestali e zootecnici da inserirsi
negli strumenti urbanistici comunali, provinciali, regionali, sia generali
sia di settore.
-
Le regioni, al fine della protezione delle acque
sotterranee, anche di quelle non ancora utilizzate per l’uso umano, individuano
e disciplinano, all’interno delle zone di protezione, le seguenti aree:
-
aree di ricarica della falda;
-
emergenze naturali ed artificiali della falda;
-
zone di riserva"
Capo II
Tutela quantitativa della risorsa e risparmio
idrico
Articolo 22 - (Pianificazione del bilancio
idrico)
La tutela quantitativa della risorsa concorre al
raggiungimento degli obiettivi di qualità attraverso una pianificazione
delle utilizzazioni delle acque volta ad evitare ripercussioni sulla qualità
delle stesse e a consentire un consumo idrico sostenibile.
Nei piani di tutela sono adottate le misure volte
ad assicurare l’equilibrio del bilancio idrico come definito dall’Autorità
di bacino, nel rispetto delle priorità della legge 5 gennaio 1994,
n. 36, e tenendo conto dei fabbisogni, delle disponibilità, del
minimo deflusso vitale, della capacità di ravvenamento della falda
e delle destinazioni d’uso della risorsa compatibili con le relative caratteristiche
qualitative e quantitative.
Le autorità competenti al rilascio delle concessioni
di derivazione ed alla vigilanza sulle stesse trasmettono alle autorità
di bacino competenti ogni informazione utile in merito alla gestione della
concessione evidenziando i particolare le effettive quantità derivate
e le caratteristiche quantitative e qualitative delle acque eventualmente
restituite. Le autorità di bacino provvedono a trasmettere i dati
in proprio possesso all’ANPA secondo le modalità di cui all’articolo
3 comma 7.
Il Ministro dei lavori pubblici provvede entro sei
mesi dall’entrata in vigore del presente decreto a definire, di concerto
con gli altri Ministri competenti e previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni,
le linee guida per la predisposizione del bilancio idrico di bacino, comprensive
dei criteri per il censimento delle utilizzazioni in atto e per la definizione
del minimo deflusso vitale.
Tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla
data di entrata in vigore del presente decreto sono regolate dall’autorità
concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo
deflusso vitale nei corpi idrici come previsto dall’articolo 3, comma 1,
lettera i), della legge 18 maggio 1989, n. 183, e dall’articolo 3, comma
3, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 senza che ciò possa dar luogo
alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione,
fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione.
Per le finalità di cui ai commi 1 e 2 le autorità
concedenti, a seguito del censimento di tutte le utilizzazioni in atto
nel medesimo corpo idrico provvedono, ove necessario, alla loro revisione,
disponendo prescrizioni o limitazioni temporali o quantitative, senza che
ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della
pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone
demaniale di concessione.
Articolo 23
(Modifiche al Regio Decreto 11 dicembre
1933, n.1775)
Il comma 1 bis dell’articolo 7 del testo unico
delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici approvato
con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, introdotto dall’articolo 3
del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275 è sostituito dal
seguente:
-
"1 bis.) Le domande di cui al comma 1 relative sia
alle grandi sia alle piccole derivazioni sono altresì trasmesse
alle Autorità di bacino territorialmente interessate che, nel termine
massimo di quaranta giorni dalla ricezione, comunicano il proprio parere
all’ufficio istruttore in ordine alla compatibilità della utilizzazione
con le previsioni del piano di tutela e, anche in attesa di approvazione
dello stesso, ai fini del controllo sull’equilibrio del bilancio idrico
o idrologico. Decorso il predetto termine senza che sia intervenuta alcuna
pronuncia, il parere si intende espresso in senso favorevole".
Il comma 1 dell’articolo 9 del Regio Decreto 11
dicembre 1933, n.1775, è così sostituito:
"Tra più domande concorrenti, completata
l’istruttoria di cui agli articoli 7 e 8, è preferita quella che
da sola o in connessione con altre utenze concesse o richieste presenti
la più razionale utilizzazione delle risorse idriche in relazione
ai seguenti criteri:
-
l’attuale livello di soddisfacimento delle esigenze
essenziali dei concorrenti anche da parte dei servizi pubblici di acquedotto
o di irrigazione, evitando ogni spreco e destinando preferenzialmente le
risorse qualificate all’uso potabile;
-
le effettive possibilità di migliore utilizzo
delle fonti in relazione all’uso;
-
le caratteristiche quantitative e qualitative del
corpo idrico;
-
la quantità e la qualità dell’acqua
restituita rispetto a quella prelevata.
E’ preferita la domanda che, per lo stesso tipo di
uso, garantisce la maggior restituzione d’acqua in rapporto agli obiettivi
di qualità dei corpi idrici. In caso di più domande concorrenti
per usi industriali è altresì preferita quella del richiedente
che aderisce al sistema ISO 14001 ovvero al sistema di cui al regolamento
CEE n. 1836/93 del Consiglio del 29 giugno 1993 sull’adesione volontaria
delle imprese del settore industriale a un sistema comunitario di ecogestione
e audit."
L’articolo 12 bis del testo unico approvato con
regio decreto 1775/1933, introdotto dall’articolo 5 del decreto legislativo
275/1993, è sostituito dal seguente:
"Nel rilascio di concessioni di derivazioni d’acqua,
l’utilizzo di risorse riservate al consumo umano può essere assentito
per usi diversi solo nel caso di ampia disponibilità delle risorse
predette o di accertata carenza qualitativa e quantitativa di fonti alternative
di approvvigionamento; in tal caso il canone di utenza per uso diverso
da quello potabile è triplicato. Sono escluse le concessioni ad
uso idroelettrico i cui impianti sono posti in serie con gli impianti di
acquedotto.
Il provvedimento di concessione è rilasciato
solo se non pregiudica il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi
di qualità definiti per il corso d’acqua interessato, se è
garantito il minimo deflusso vitale e se non vi è possibilità
di riutilizzo di acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di
acque piovane, ovvero se il riutilizzo è economicamente insostenibile.
La quantità di acqua concessa è commisurata alla possibilità
di risparmio, di riutilizzo o riciclo della risorsa. Nelle condizioni del
disciplinare devono essere fissate, ove tecnicamente possibile, la quantità
e le caratteristiche qualitative dell’acqua restituita. Analogamente nei
casi di prelievo da falda deve essere garantito l’equilibrio tra il prelievo
e la capacità di ricarica dell’acquifero, anche al fine di evitare
pericoli di intrusione di acque salate o inquinate, e quant’altro sia utile
in funzione del controllo del miglior regime delle acque".
L’articolo 17 del Regio Decreto 11 dicembre 1933,
n.1775 è così sostituito:
"Salvo quanto previsto dall’articolo 93 e dall’articolo
28, commi 3 e 4, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, è vietato derivare
o utilizzare acqua pubblica senza un provvedimento autorizzativo o concessorio
dell’autorità competente. Nel caso di violazione del disposto del
comma 1, l’amministrazione competente dispone l’immediata cessazione dell’utenza
abusiva ed il contravventore, fatti salvi ogni altro adempimento o comminatoria
previsti dalle leggi vigenti, è tenuto al pagamento di una sanzione
amministrativa pecuniaria da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni.
Nei casi di particolare tenuità si applica la sanzione amministrativa
pecuniaria da lire cinquecentomila a lire tre milioni. Alla sanzione prevista
dal presente articolo non si applica il pagamento in misura ridotta di
cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n.689. E’ in ogni caso
dovuta una somma pari ai canoni non corrisposti".
E’ soppresso il secondo comma dell’articolo 54
del Regio Decreto 11 dicembre 1933, n.1775.
Fatta salva la normativa transitoria di attuazione
dell’articolo 1 della legge 5 gennaio 1994 n.36, per le derivazioni o utilizzazioni
di acqua pubblica, in tutto o in parte abusivamente in atto alla data di
entrata in vigore del presente decreto, la sanzione di cui all’articolo
17, secondo comma del testo unico approvato con regio decreto 11 dicembre
1933 n.1775 è ridotta ad un quinto qualora sia presentata domanda
in sanatoria entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente
decreto. La concessione in sanatoria è rilasciata nel rispetto della
legislazione vigente e delle utenze regolarmente assentite. In pendenza
del procedimento istruttorio della domanda di concessione in sanatoria,
l’utilizzazione può proseguire, fermo restando l’obbligo del pagamento
del canone per l’uso effettuato e il potere dell’autorità concedente
di sospendere in qualsiasi momento l’utilizzazione qualora in contrasto
con i diritti di terzi o con il raggiungimento o il mantenimento degli
obiettivi di qualità.
Il comma 1 dell’articolo 21 del Regio Decreto
11 dicembre 1933, n.1775, come modificato dal comma 1 dell’articolo 29
della legge 5 gennaio 1994, n. 36, è sostituito dal seguente:
-
"Salvo quanto disposto al comma seguente, tutte le
concessioni di derivazione sono temporanee. La durata delle concessioni,
ad eccezione di quelle di grande derivazione idroelettrica, per le quali
resta fermo quanto disposto dall’art.36 della legge del 24 aprile 1998,
n.128 e relativi decreti legislativi di attuazione della direttiva 96/92/CE,
non può eccedere i trenta anni ovvero quaranta per uso irriguo.";
Il comma 7 si applica anche alle concessioni di derivazione
già concesse. Ove le stesse, per effetto del medesimo comma 7 risultino
scadute, possono continuare ad essere esercitate sino alla data di scadenza
originaria, purché venga presentata domanda di rinnovo entro un
anno dall’entrata in vigore del presente decreto, e fatta salva l’applicazione
di quanto previsto all’articolo 22.
Dopo il comma 3 dell’articolo 21 del t.u. approvato
con R.d. 1775/1933 è inserito il seguente:
"3 bis. Le concessioni di derivazioni per uso
irriguo devono tener conto delle tipologie delle colture in funzione della
disponibilità della risorsa idrica, della quantità minima
necessaria alla coltura stessa, prevedendo se necessario specifiche modalità
di irrigazione; le stesse sono assentite o rinnovate solo qualora non risulti
possibile soddisfare la domanda d’acqua attraverso le strutture consortili
già operanti sul territorio.".
Articolo 24 - (Acque minerali naturali)
Le concessioni di utilizzazione delle acque minerali
naturali e delle acque di sorgente sono rilasciate tenuto conto delle esigenze
di approvvigionamento e distribuzione delle acque potabili e delle previsioni
del piano di tutela.
Articolo 25 - (Risparmio idrico)
Coloro che gestiscono o utilizzano la risorsa idrica
adottano le misure necessarie all’eliminazione degli sprechi ed alla riduzione
dei consumi e ad incrementare il riciclo ed il riutilizzo, anche mediante
l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili.
Il comma 1 dell’articolo 5 della legge 5 gennaio
1994, n. 36 è sostituito dal seguente:
-
"Le regioni prevedono norme e misure volte a favorire
la riduzione dei consumi e l’eliminazione degli sprechi ed in particolare
a:
-
migliorare la manutenzione delle reti di adduzione
e di distribuzione di acque a qualsiasi uso destinate al fine di ridurre
le perdite;
-
realizzare, in particolare nei nuovi insediamenti
abitativi, commerciali e produttivi di rilevanti dimensioni, reti duali
di adduzione al fine dell’utilizzo di acque meno pregiate per usi compatibili;
-
promuovere l’informazione e la diffusione di metodi
e tecniche di risparmio idrico domestico e nei settori industriale, terziario
ed agricolo;
-
installare contatori per il consumo dell’acqua in
ogni singola unità abitativa nonché contatori differenziati
per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel
contesto urbano;
-
realizzare nei nuovi insediamenti sistemi di collettamento
differenziati per le acque piovane e per le acque reflue."
All’articolo 5 della legge 5 gennaio 1994, n.
36 dopo il comma 1, è aggiunto il seguente comma:
"1 bis. Gli strumenti urbanistici, compatibilmente
con l’assetto urbanistico e territoriale e con le risorse finanziarie disponibili,
prevedono reti duali al fine dell’utilizzo di acque meno pregiate, nonché
tecniche di risparmio della risorsa. Il comune rilascia la concessione
edilizia se il progetto prevede l’installazione di contatori per ogni singola
unità abitativa, nonché il collegamento a reti duali, ove
già disponibili."
All’articolo 13, comma 3, della legge 5 gennaio
1994, n. 36, sono aggiunte in fine le seguenti parole:
"ed in funzione del contenimento del consumo".
Le regioni, sentita le autorità di bacino,
approvano specifiche norme sul risparmio idrico in agricoltura, basato
sulla pianificazione degli usi, sulla corretta individuazione dei fabbisogni
nel settore, e sui controlli degli effettivi emungimenti.
Articolo 26 - (Riutilizzo dell’acqua)
All’articolo 14 della legge 5 gennaio 1994, n.36,
dopo il comma 4, è aggiunto il seguente comma:
-
"Allo scopo di incentivare il riutilizzo di acqua
reflua o già usata nel ciclo produttivo, la tariffa per le utenze
industriali è ridotta in funzione dell’utilizzo nel processo produttivo
di acqua reflua o già usata. La riduzione si determina applicando
alla tariffa un correttivo che tiene conto della quantità di acqua
riutilizzata e della quantità delle acque primarie impiegate.".
L’articolo 6 della legge 5 gennaio 1994, n.36,
è sostituito dal seguente:
-
Con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto
con il Ministro per le politiche agricole, della sanità, dell’industria,
del commercio e dell’artigianato, dei lavori pubblici e d’intesa con la
Conferenza unificata per i rapporti fra lo Stato e le regioni sono definite
norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue".
-
"Le regioni adottano norme e misure volte a favorire
il riciclo dell’acqua e il riutilizzo delle acque reflue depurate mediante
le quali sono in particolare:
-
indicate le migliori tecniche disponibili per la
progettazione e l’esecuzione delle infrastrutture nel rispetto delle norme
tecniche emanate ai sensi del comma 1;
-
indicate le modalità del coordinamento interregionale
anche al fine di servire vasti bacini di utenza ove vi siano grandi impianti
di depurazione di acque reflue;
-
previsti incentivi e agevolazioni alle imprese che
adottano impianti di riciclo o riutilizzo.
Il decreto di cui all’articolo 6, comma 1, della
legge 5 gennaio 1994, n. 36, come sostituito dal comma 1 del presente articolo,
è emanato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente
decreto.
Con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di
concerto con i Ministri dell’ambiente e dell’industria, del commercio e
dell’artigianato e d’intesa la Conferenza Stato-regioni sono definite le
modalità per l’applicazione della riduzione di canone prevista dall’articolo
18, comma 1, lettere a) e d), della legge 5 gennaio 1994, n. 36.
Capo III
Tutela qualitativa della risorsa: disciplina
degli scarichi
Articolo 27 - (Reti fognarie)
Gli agglomerati devono essere provvisti di reti fognarie
per le acque reflue urbane:
-
entro il 31 dicembre 2000 per quelli con un numero
di abitanti equivalenti superiore a 15.000;
-
entro il 31 dicembre 2005 per quelli con un numero
di abitanti equivalenti compreso tra 2.000 e 15.000.
Per le acque reflue urbane che si immettono in acque
recipienti considerate "aree sensibili" gli agglomerati con oltre 10.000
abitanti equivalenti devono essere provvisti di rete fognaria.
La progettazione, la costruzione e la manutenzione
delle reti fognarie si effettuano adottando le tecniche migliori che non
comportino costi eccessivi, tenendo conto in particolare:
-
del volume e delle caratteristiche delle acque reflue
urbane;
-
della prevenzione di eventuali fuoriuscite;
-
della limitazione dell’inquinamento delle acque recipienti,
dovuto a tracimazioni causate da piogge violente.
Per i nuclei abitativi isolati ovvero laddove la
realizzazione di una rete fognaria non sia giustificata o perché
non presenterebbe vantaggi dal punto di vista ambientale o perché
comporterebbe costi eccessivi, le regioni identificano sistemi individuali
o altri sistemi pubblici e privati adeguati secondo i criteri di cui alla
delibera indicata al comma 7 dell’articolo 62, che raggiungano lo stesso
livello di protezione ambientale, indicando i tempi di adeguamento.
Articolo 28 - (Criteri generali della
disciplina degli scarichi)
Tutti gli scarichi sono disciplinati in funzione
del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e devono
comunque rispettare i valori limite di emissione previsti nell’allegato
5.
Ai fini di cui al comma 1, le regioni, nell’esercizio
della loro autonomia, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili, delle
migliori tecniche disponibili, definiscono i valori-limite di emissione,
diversi da quelli di cui all’allegato 5, sia in concentrazione massima
ammissibile sia in quantità massima per unità di tempo in
ordine ad ogni sostanza inquinante e per gruppi o famiglie di sostanze
affini. Per le sostanze indicate nelle tabelle 1, 2, 5 e 3/A dell’allegato
5, le regioni non possono stabilire valori limite meno restrittivi di quelli
fissati nel medesimo allegato 5.
Gli scarichi devono essere resi accessibili per il
campionamento da parte dell’autorità competente per il controllo
nel punto assunto per la misurazione. La misurazione degli scarichi, salvo
quanto previsto al comma 3 dell’articolo 34, si intende effettuata subito
a monte del punto di immissione in tutte le acque superficiali e sotterranee,
interne e marine, nonché in fognature, sul suolo e nel sottosuolo.
L’autorità competente per il controllo è
autorizzata ad effettuare all’interno degli stabilimenti tutte le ispezioni
che essa ritenga necessarie per l’accertamento delle condizioni che danno
luogo alla formazione degli scarichi. Essa può richiedere che scarichi
parziali contenenti le sostanze di cui ai numeri 2, 4, 5, 12, 15 e 16 della
tabella 5 dell’allegato 5, subiscano un trattamento particolare prima della
loro confluenza nello scarico generale.
I valori limite di emissione non possono in alcun
caso essere conseguiti mediante diluizione con acque prelevate esclusivamente
allo scopo. Non è comunque consentito diluire con acque di raffreddamento,
di lavaggio o prelevate esclusivamente allo scopo gli scarichi parziali
contenenti le sostanze indicate ai numeri 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 della
tabella 5 dell’allegato 5, prima del trattamento degli scarichi parziali
stessi per adeguarli ai limiti previsti dal presente decreto. L’autorità
competente, in sede di autorizzazione può prescrivere che lo scarico
delle acque di raffreddamento, di lavaggio, ovvero impiegate per la produzione
di energia, sia separato dallo scarico terminale di ciascun stabilimento.
Qualora le acque prelevate da un corpo idrico superficiale
presentino parametri con valori superiori ai valori-limite di emissione,
la disciplina dello scarico è fissata in base alla natura delle
alterazioni e agli obiettivi di qualità del corpo idrico ricettore,
fermo restando che le acque devono essere restituite con caratteristiche
qualitative non peggiori di quelle prelevate e senza maggiorazioni di portata
allo stesso corpo idrico dal quale sono state prelevate.
Salvo quanto previsto dall’articolo 38 e salva diversa
normativa regionale, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni,
sono assimilate alle acque reflue domestiche quelle che presentano caratteristiche
qualitative equivalenti, nonchè le acque reflue provenienti da:
-
imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del
fondo o alla silvicoltura;
-
imprese dedite ad allevamento di bestiame che dispongono
di almeno un ettaro di terreno agricolo funzionalmente connesso con le
attività di allevamento e di coltivazione del fondo, per ogni 340
chilogrammi di azoto presente negli effluenti di allevamento al netto delle
perdite di stoccaggio e distribuzione;
-
imprese dedite alle attività di cui ai punti
a) e b) che esercitano anche attività di trasformazione
o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di
normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo
aziendale e con materia prima lavorata proveniente per almeno due terzi
esclusivamente dall’attività di coltivazione dei fondi di cui si
abbia a qualunque titolo la disponibilità;
-
impianti di acquacoltura e di piscicoltura che diano
luogo a scarico e si caratterizzino per una densità di allevamento
pari o inferiore a 1 Kg per metro quadrato di specchio di acqua o in cui
venga utilizzata una portata d’acqua pari o inferiore a 50 litri al minuto
secondo.
Entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente
decreto, e successivamente ogni due anni, le regioni trasmettono all’Agenzia
nazionale per la protezione dell’ambiente le informazioni relative alla
funzionalità dei depuratori, nonché allo smaltimento dei
relativi fanghi, secondo le modalità indicate nel decreto di cui
all’articolo 3, comma 7.
Al fine di assicurare la più ampia divulgazione
delle informazioni sullo stato dell’ambiente le regioni pubblicano ogni
due anni una relazione sulle attività di smaltimento delle acque
reflue urbane nelle aree di loro competenza, secondo le modalità
indicate nel decreto di cui all’articolo 3, comma 7.
Le autorità competenti possono promuovere
e stipulare accordi e contratti di programma con i soggetti economici interessati,
al fine di favorire il risparmio idrico, il riutilizzo delle acque in scarico
ed il recupero come materia prima dei fanghi di depurazione, con la possibilità
di ricorrere a strumenti economici, di stabilire agevolazioni in materia
di adempimenti amministrativi e di fissare limiti agli scarichi in deroga
alla disciplina generale, nel rispetto comunque delle norme comunitarie
e delle misure necessarie al conseguimento degli obiettivi di qualità.
Articolo 29 - (Scarichi sul suolo)
E’ vietato lo scarico sul suolo o negli strati superficiali
del sottosuolo fatta eccezione:
-
per i casi previsti dall’articolo 27, comma 4;
-
per gli scaricatori di piena a servizio delle reti
fognarie;
-
per gli scarichi di acque reflue urbane e industriali
per i quali sia accertata l’impossibilità tecnica o l’eccessiva
onerosità a fronte dei benefici ambientali conseguibili, a recapitare
in corpi idrici superficiali, purché gli stessi siano conformi ai
criteri ed ai valori-limite di emissione fissati a tal fine dalle regioni
ai sensi dell’articolo 28, comma 2. Sino all’emanazione di nuove norme
regionali si applicano i valori limite di emissione della tabella 4 dell’allegato
5.0.
-
per gli scarichi di acque provenienti dalla lavorazione
di rocce naturali nonché dagli impianti di lavaggio delle sostanze
minerali, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente
da acqua e inerti naturali e non comportino danneggiamento delle falde
acquifere o instabilità dei suoli.
Al di fuori delle ipotesi previste al comma 1, gli
scarichi sul suolo autorizzati prima dell’entrata in vigore del presente
decreto in conformità alla normativa previgente devono, entro tre
anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, essere convogliati
in corpi idrici superficiali, in reti fognarie ovvero destinati al riutilizzo
in conformità alle prescrizioni fissate con il decreto di cui all’articolo
6, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, così come sostituito
dall’articolo 26, comma 2, del presente decreto. In caso di mancata ottemperanza
agli obblighi indicati, l’autorizzazione allo scarico si considera a tutti
gli effetti revocata.
Gli scarichi di cui alla lettera c) del comma 1,
autorizzati prima dell’entrata in vigore del presente decreto, devono conformarsi
ai limiti della tabella 4 dell’allegato 5 entro tre anni dalla data di
entrata in vigore del presente decreto. Sino a tale data devono essere
rispettati i limiti della tabella 3 dell’allegato 5 ovvero, se più
restrittivi, i limiti fissati dalle normative regionali vigenti. Resta
comunque fermo il divieto di scarico sul suolo delle sostanze indicate
al punto 2.1 dell’allegato 5.
Articolo 30 - (Scarichi nel sottosuolo
e nelle acque sotterranee)
E’ vietato lo scarico diretto nelle acque sotterranee
e nel sottosuolo.
In deroga a quanto previsto al comma 1 l’autorità
competente, dopo indagine preventiva, può autorizzare gli scarichi
nella stessa falda delle acque utilizzate per scopi geotermici, delle acque
di infiltrazione di miniere o cave o delle acque pompate nel corso di determinati
lavori di ingegneria civile, ivi comprese quelle degli impianti di scambio
termico.
In deroga a quanto previsto dal comma 1 il ministero
dell’ambiente per i giacimenti a mare e le regioni per i giacimenti a terra
possono altresì autorizzare lo scarico di acque risultanti dall’estrazione
di idrocarburi nelle unità geologiche profonde da cui gli stessi
idrocarburi sono stati estratti ovvero in unità dotate delle stesse
caratteristiche, che contengano o abbiano contenuto idrocarburi, indicando
le modalità dello scarico. Lo scarico non deve contenere altre acque
di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualità e quantità,
da quelle derivanti dalla separazione degli idrocarburi. Le relative autorizzazioni
sono rilasciate con la prescrizione delle precauzioni tecniche necessarie
a garantire che le acque di scarico non possano raggiungere altri sistemi
idrici o nuocere ad altri ecosistemi.
Per le perforazioni in mare con le quali è
svolta attività di prospezione, ricerca e coltivazione di giacimenti
di idrocarburi liquidi o gassosi, lo scarico delle acque diretto in mare
avviene secondo le modalità previste dal decreto del Ministro dell’ambiente
del 28 luglio 1994 pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 16 agosto 1994
n. 190 e successive modifiche, purché la concentrazione di idrocarburi
sia inferiore a 40 mg/l. Lo scarico diretto a mare é progressivamente
sostituito dalla iniezione o reiniezione in unità geologiche profonde,
non appena disponibili pozzi non più produttivi, e deve avvenire
comunque nel rispetto di quanto previsto ai commi 2 e 3.
Lo scarico diretto in mare delle acque di cui al
comma 4, è autorizzato previa presentazione di un piano di monitoraggio
volto a verificare l’assenza di pericoli per le acque e per gli ecosistemi
acquatici.
Al di fuori delle ipotesi previste dai commi 2, 3,
4 e 5, gli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, esistenti
e debitamente autorizzati alla data di entrata in vigore del presente decreto,
devono essere convogliati in corpi idrici superficiali ovvero destinati,
ove possibile, al riciclo, al riutilizzo o all’utilizzazione agronomica
entro tre anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. In
caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l’autorizzazione allo
scarico è a tutti gli effetti revocata.
Articolo 31 - (Scarichi in acque superficiali)
Gli scarichi di acque reflue industriali in acque
superficiali devono rispettare i valori-limite di emissione fissati ai
sensi dell’articolo 28, commi 1 e 2 in funzione del perseguimento degli
obiettivi di qualità.
Gli scarichi di acque reflue urbane che confluiscono
nelle reti fognarie, provenienti da agglomerati con meno di 2.000 abitanti
equivalenti e recapitanti in acque dolci ed in acque di transizione e gli
scarichi provenienti da agglomerati con meno di 10.000 abitanti equivalenti,
recapitanti in acque marino-costiere, sono sottoposti ad un trattamento
appropriato, in conformità con le indicazioni dell’allegato 5, entro
il 31 dicembre 2005.
Le acque reflue urbane devono essere sottoposte,
prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente
in conformità con le indicazioni dell’allegato 5 e secondo le seguenti
cadenze temporali:
-
entro il 31 dicembre 2000 per gli scarichi provenienti
da agglomerati con oltre 15.000 abitanti equivalenti;
-
entro il 31 dicembre 2005 per gli scarichi provenienti
da agglomerati con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 10.000
e 15.000;
-
entro il 31 dicembre 2005 per gli scarichi in acque
dolci ed in acque di transizione, provenienti da agglomerati con un numero
di abitanti equivalenti compreso tra 2.000 e 10.000.
Gli scarichi previsti ai commi 2 e 3 devono rispettare
altresì i valori-limite di emissione fissati ai sensi dell’articolo
28, commi 1 e 2.
Le regioni dettano specifica disciplina per gli scarichi
di reti fognarie provenienti da agglomerati a forte fluttuazione stagionale
degli abitanti, tenuto conto di quanto disposto ai commi 2 e 3 e fermo
restando il conseguimento degli obiettivi di qualità.
Gli scarichi di acque reflue urbane in acque situate
in zone d’alta montagna, al di sopra dei 1.500 metri sul livello del mare,
dove a causa delle basse temperature è difficile effettuare un trattamento
biologico efficace, possono essere sottoposti ad un trattamento meno spinto
di quello previsto al comma 3, purché studi dettagliati comprovino
che essi non avranno ripercussioni negative sull’ambiente.
Articolo 32
(Scarichi di acque reflue urbane in corpi
idrici ricadenti in aree sensibili)
Ferme restando le disposizioni dell’articolo
28, commi 1 e 2, le acque reflue urbane provenienti da agglomerati con
oltre 10.000 abitanti equivalenti, che scaricano in acque recipienti individuate
quali aree sensibili, devono essere sottoposte ad un trattamento più
spinto di quello previsto dall’articolo 31 comma 3, secondo i requisiti
specifici indicati nell’allegato 5.
Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano
nelle aree sensibili in cui può essere dimostrato che la percentuale
minima di riduzione del carico complessivo in ingresso a tutti gli impianti
di trattamento delle acque reflue urbane è pari almeno al 75% per
il fosforo totale ovvero per almeno il 75% per l’azoto totale.
Le regioni individuano (*), tra gli scarichi provenienti
dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane situati all’interno
dei bacini drenanti afferenti alle aree sensibili, quelli che, contribuendo
all’inquinamento di tali aree, sono da assoggettare al trattamento di cui
ai commi 1 e 2 in funzione del raggiungimento dell’obiettivo di qualità
dei corpi idrici ricettori.
Articolo 33 - (Scarichi in reti
fognarie)
Ferma restando l’inderogabilità
dei valori-limite di emissione per le sostanze della tabella 5 dell’allegato
5, gli scarichi di acque reflue industriali che recapitano in reti fognarie
sono sottoposti alle norme tecniche, alle prescrizioni regolamentari ed
ai valori-limite di emissione emanati dai gestori dell’impianto di depurazione
delle acque reflue urbane in conformità ai criteri emanati dall’autorità
d’ambito, in base alla caratteristiche dell’impianto ed in modo che sia
assicurato il rispetto della disciplina degli scarichi di acque reflue
domestiche definita ai sensi dell’articolo 28, commi 1 e 2.
Gli scarichi di acque reflue domestiche che recapitano
in reti fognarie sono sempre ammessi purché osservino i regolamenti
emanati dal gestore dell’impianto di depurazione delle acque reflue urbane.
Articolo 34 - (Scarichi di sostanze pericolose)
Tenendo conto della tossicità,
della persistenza e della bioaccumulazione della sostanza considerata nell’ambiente
in cui è effettuato lo scarico, l’autorità competente in
sede di rilascio dell’autorizzazione può fissare, in particolari
situazioni di accertato pericolo per l’ambiente anche per la conpresenza
di altri scarichi di sostanze pericolose, valori-limite di emissione più
restrittivi di quelli fissati ai sensi dell’articolo 28, commi 1 e 2.
Per le sostanze indicate ai numeri 2, 4, 5, 12,
15 e 16 della tabella 5 dell’allegato 5, le autorizzazioni stabiliscono
altresì la quantità massima della sostanza espressa in unità
di peso per unità di elemento caratteristico dell’attività
inquinante e cioè per materia prima o per unità di prodotto,
in conformità con quanto indicato nella stessa tabella.
Per le acque di processo contenenti le sostanze
delle tabelle 3/A e 5 dell’allegato 5, il punto di misurazione dello scarico
si intende fissato subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto
di trattamento che serve lo stabilimento medesimo. L’autorità competente
può richiedere che tali scarichi parziali siano tenuti separati
dallo scarico generale e trattati come rifiuti, ai sensi del decreto legislativo
5 febbraio 1997 n. 22, e successive modifiche e integrazioni.
L’autorità che rilascia l’autorizzazione per
le sostanze della tabella 3/A dell’allegato 5, redige un elenco delle autorizzazioni
rilasciate, degli scarichi e dei controlli effettuati, ai fini del successivo
inoltro alla Commissione europea.
Capo IV
Ulteriori misure per la tutela dei corpi
idrici
Articolo 35
(Immersione in mare di materiale derivante
da attività di escavo e attività di posa in mare di cavi
e condotte)
Al fine della tutela dell’ambiente marino
ed in conformità alle disposizioni delle convenzioni internazionali
vigenti in materia, è consentita l’immersione deliberata in mare
da navi ovvero aeromobili e da strutture ubicate nelle acque del mare o
in ambiti ad esso contigui, quali spiagge, lagune e stagni salmastri e
terrapieni costieri, dei seguenti materiali:
materiali di escavo di fondali marini o salmastri
o di terreni litoranei emersi;
inerti, materiali geologici inorganici e manufatti
al solo fine di utilizzo, ove ne sia dimostrata la compatibilità
ambientale e l’innocuità;
materiale organico e inorganico di origine marina
o salmastra, prodotto durante l’attività di pesca effettuata in
mare o laguna o stagni salmastri.
L’autorizzazione all’immersione in mare dei materiali
di cui al comma 1, lettera a), è rilasciata dall’autorità
competente solo quando è dimostrata, nell’ambito dell’istruttoria,
l’impossibilità tecnica o economica del loro utilizzo ai fini di
ripascimento o di recupero ovvero lo smaltimento alternativo in conformità
alle modalità stabilite con decreto del Ministro dell’ambiente di
concerto con i Ministri dei lavori pubblici, dei trasporti e per le politiche
agricole, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, da emanarsi entro
60 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto.
L’immersione in mare di materiale di cui al comma
1, lettera b), è soggetta ad autorizzazione (*), con esclusione
dei nuovi manufatti soggetti alla valutazione di impatto ambientale. Per
le opere di ripristino, che non comportino aumento della cubatura delle
opere preesistenti, è dovuta la sola comunicazione all’autorità
competente.
L’immersione in mare dei materiali di cui al comma
1, lettera c), non è soggetta ad autorizzazione.
L’attività di posa in mare di cavi e condotte
è soggetta ad autorizzazione regionale rilasciata, in conformità
alle modalità stabilite con decreto del Ministro dell’ambiente,
da emanarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente
decreto.
Articolo 36
(Autorizzazione al trattamento di rifiuti
costituiti da acque reflue)
Salvo quanto previsto ai commi 2 e 3
è vietato l’utilizzo degli impianti di trattamento di acque urbane
per lo smaltimento di rifiuti.
In deroga al comma 1, la competente autorità
in relazione a particolari esigenze e nei limiti della capacità
residua di trattamento può autorizzare il gestore di impianti di
trattamento di acque reflue allo smaltimento di rifiuti liquidi limitatamente
alle tipologie compatibili con il processo di depurazione.
Il gestore del servizio idrico integrato è,
comunque, autorizzato ad accettare rifiuti costituiti da acque reflue negli
impianti di trattamento di cui al comma 1 purché:
-
gli impianti abbiano caratteristiche e capacità
depurativa adeguata e rispettino comunque i valori limite di cui all’articolo
28 comma 1 e 2;
-
rispettino i valori limite stabiliti per lo scarico
in fognatura;
-
provengano da scarichi, di acque reflue domestiche
o industriali, prodotti nel medesimo ambito territoriale ottimale di cui
alla legge 5 gennaio 1994, n.36.
Allo smaltimento dei rifiuti costituiti da acque
reflue, di cui al presente articolo, si applica la tariffa prevista per
il servizio di depurazione di cui all’articolo 14 della legge 5 gennaio
1994, n.36.
Il produttore ed il trasportatore di rifiuti costituiti
da acque reflue sono tenuti al rispetto della normativa in materia di rifiuti
del decreto legislativo del 5 febbraio 1997, n.22 e successive modifiche
ed integrazioni. Il gestore dell’impianto di trattamento di rifiuti, costituiti
da acque reflue è soggetto agli obblighi di cui all’articolo 12
del decreto legislativo del 5 febbraio 1997, n.22.
Articolo 37 - (Impianti di acquacoltura
e piscicoltura)
Con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto
con i Ministri per le politiche agricole, dei lavori pubblici, dell’industria,
del commercio e dell’artigianato, della sanità e, previa intesa
con Conferenza Stato Regioni, sono individuati i criteri relativi al contenimento
dell’impatto sull’ambiente derivante dalle attività di acquacoltura
e di piscicoltura.
Articolo 38 - (Utilizzazione agronomica)
L’applicazione al terreno degli effluenti
di allevamento zootecnico è soggetta a comunicazione da effettuare
almeno trenta giorni prima dell’inizio di tali attività alle autorità
competenti che, nel medesimo termine, possono dare le opportune prescrizioni.
Fermo restando quanto previsto dall’articolo 19,
entro centottanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto il
Ministro per le politiche agricole, con proprio decreto, di concerto con
i Ministri dell’ambiente, dell’industria, del commercio e dell’artigianato,
della sanità e dei lavori pubblici, di intesa con la Conferenza
Stato regioni, stabilisce (*) le modalità per la comunicazione,
i criteri per il controllo, le norme tecniche per l’utilizzazione agronomica
degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi
oleari, sulla base di quanto previsto dalla legge 11 novembre 1996 n.574,
e delle acque reflue provenienti da allevamenti ittici e da aziende agricole
e agroalimentari. anche ai fini delle eventuali prescrizioni di cui al
comma 1.
Salvo diversa disciplina regionale, il comune ordina
la sospensione dell’attività di cui al comma 1 nel caso di mancata
comunicazione o mancato rispetto delle norme tecniche e delle prescrizioni
impartite.
Articolo 39 - (Acque di prima pioggia
e di lavaggio di aree esterne)
Le regioni disciplinano i casi in cui può
essere richiesto, che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree
esterne non recapitanti in reti fognarie siano convogliate e opportunamente
trattate in impianti di depurazione per particolari stabilimenti nei quali
vi sia il rischio di deposizione di sostanze pericolose sulle superfici
impermeabili scoperte.
Articolo 40 - (Dighe)
Le regioni adottano apposita disciplina
in materia di restituzione delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica,
per scopi irrigui e in impianti di potabilizzazione, nonché delle
acque derivanti da sondaggi o perforazioni diversi da quelli relativi alla
ricerca ed estrazione di idrocarburi, al fine di garantire il mantenimento
o il raggiungimento degli obiettivi di qualità di cui al Titolo
II.
Al fine di assicurare il mantenimento della capacità
di invaso e la salvaguardia sia della qualità dell’acqua invasata,
sia del corpo recettore, le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento
delle dighe sono effettuate sulla base di un progetto di gestione di ciascun
impianto. Il progetto di gestione è finalizzato a definire sia il
quadro previsionale di dette operazioni connesse con le attività
di manutenzione da eseguire sull’impianto sia le misure di prevenzione
e tutela del corpo ricettore, dell’ecosistema acquatico, delle attività
di pesca e delle risorse idriche invasate e rilasciate a valle dello sbarramento
durante le operazioni stesse.
Il progetto di gestione individua altresì
eventuali modalità di manovra degli organi di scarico, anche al
fine di assicurare la tutela del corpo ricettore. Restano valide in ogni
caso le disposizioni fissate tal decreto del Presidente della Repubblica
1° novembre 1959, n. 1363, volte a garantire la sicurezza di persone
e cose.
Il progetto di gestione di cui al comma 2, è
predisposto dal gestore sulla base dei criteri fissati con decreto del
Ministro dei lavori pubblici e del Ministro dell’ambiente di concerto con
i Ministri dell’industria del commercio e dell’artigianato e con quello
per le politiche agricole, previa intesa con la Conferenza Stato Regioni,
da emanarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente
decreto.
Il progetto di gestione è approvato dalle
regioni, con eventuali prescrizioni, entro sei mesi dalla sua presentazione,
sentiti, ove necessario, gli enti gestori delle aree protette direttamente
interessate; è trasmesso al Registro italiano dighe per l’inserimento
come parte integrante del foglio condizioni per l’esercizio e la manutenzione
di cui all’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 1°
novembre 1959, n.1363, e relative disposizioni di attuazione. Il progetto
di gestione si intende approvato e diviene operativo trascorsi sei mesi
dalla data di presentazione senza che sia intervenuta alcuna pronuncia
da parte della regione competente, fermo restando il potere di tali enti
di dettare eventuali prescrizioni, anche trascorso tale termine.
Con l’approvazione del progetto il gestore è
autorizzato ad eseguire le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento
in conformità ai limiti indicati nel progetto stesso e alle relative
prescrizioni.
Nella definizione dei canoni di concessione di inerti
ai sensi dell’articolo 89, comma 1, lettera d), del decreto legislativo
31 marzo 1998, n.112, le amministrazioni (*) determinano specifiche modalità
ed importi per favorire lo sghiaiamento e sfangamento degli invasi per
asporto meccanico. 8. I gestori degli invasi esistenti sono tenuti a presentare
il progetto di cui al comma 2 entro sei mesi dall’emanazione del decreto
di cui al comma 4. Fino all’approvazione o alla operatività del
progetto di gestione, e comunque non oltre dodici mesi dalla data di entrata
in vigore del decreto di cui al comma 4, le operazioni periodiche di manovre
prescritte ai sensi dell’articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica
1 novembre 1959 n. 1363 volte a controllare la funzionalità degli
organi di scarico, sono svolte in conformità ai fogli di condizione
per l’esercizio e la manutenzione. 9. Le operazioni di svaso, sghiaiamento
e sfangamento degli invasi non devono pregiudicare gli usi in atto a valle
dell’invaso, né il rispetto degli obiettivi di qualità ambientale
e degli obiettivi di qualità per specifica destinazione.
Articolo 41 - (Tutela delle aree di pertinenza
dei corpi idrici)
Ferme restando le disposizioni di cui
al Capo VII del Regio Decreto 25 luglio 1904, n. 523, al fine di assicurare
il mantenimento o il ripristino della vegetazione spontanea nella fascia
immediatamente adiacente i corpi idrici, con funzioni di filtro per i solidi
sospesi e gli inquinanti di origine diffusa, di stabilizzazione delle sponde
e di conservazione della biodiversità da contemperarsi con le esigenze
di funzionalità dell’alveo, entro un anno dalla data di entrata
in vigore del presente decreto, le regioni disciplinano gli interventi
di trasformazione e di gestione del suolo e del soprassuolo previsti nella
fascia di almeno 10 metri dalla sponda di fiumi, laghi, stagni e lagune
comunque vietando la copertura dei corsi d’acqua, che non sia imposta da
ragioni di tutela della pubblica incolumità e la realizzazione di
impianti di smaltimento dei rifiuti.
Gli interventi di cui al comma 1 sono comunque
soggetti all’autorizzazione prevista dal Regio Decreto 25 luglio 1904,
n. 523, salvo quanto previsto per gli interventi a salvaguardia della pubblica
incolumità. 3. Per garantire le finalità di cui al comma
1, le aree demaniali dei fiumi, dei torrenti, dei laghi e delle altre acque
possono essere date in concessione allo scopo di destinarle a riserve naturali,
a parchi fluviali o lacuali o comunque a interventi di ripristino e recupero
ambientale. Qualora le aree demaniali siano già comprese in aree
naturali protette statali o regionali inserite nell’elenco ufficiale di
cui all’articolo 3, comma 4, lettera c) della legge 6 dicembre 1991, n.
394, la concessione è gratuita.
Le aree del demanio fluviale di nuova formazione
ai sensi della legge 5 gennaio 1994, n. 37, non possono essere oggetto
di sdemanializzazione.
TITOLO IV
STRUMENTI DI TUTELA
Capo I - (Piani di tutela delle
acque)
Articolo 42
(Rilevamento delle caratteristiche del
bacino idrografico ed analisi dell’impatto esercitato dall’attività
antropica)
Al fine di garantire l’acquisizione delle
informazioni necessarie alla redazione del piano di tutela, le regioni
provvedono ad elaborare programmi di rilevamento dei dati utili a descrivere
le caratteristiche del bacino idrografico e a valutare l’impatto antropico
esercitato sul medesimo.
I programmi di cui al comma 1 sono adottati in
conformità alle indicazioni di cui all’allegato 3 e sono resi operativi
entro il 31 dicembre 2000 e sono aggiornati ogni sei anni.
Nell’espletamento dell’attività conoscitiva
di cui al comma 1, le amministrazioni sono tenute ad utilizzare i dati
e le informazioni già acquisite, con particolare riguardo a quelle
preordinate alla redazione dei piani di risanamento delle acque di cui
alla legge 10 maggio 1976, n. 319 nonché a quelle previste dalla
legge 18 maggio 1989, n.183.
Articolo 43 - (Rilevamento dello
stato di qualità dei corpi idrici)
Le regioni elaborano programmi per la
conoscenza e la verifica dello stato qualitativo e quantitativo delle acque
superficiali e sotterranee all’interno di ciascun bacino idrografico.
I programmi di cui al comma 1 sono adottati in
conformità alle indicazioni di cui agli allegato 1 (*) e resi operativi
entro il 31 dicembre 2000. Tali programmi devono devono essere integrati
con quelli già esistenti per gli obiettivi a specifica destinazione
stabiliti in conformità all’allegato 2.
Al fine di evitare sovrapposizioni e di garantire
il flusso delle informazioni raccolte e la loro compatibilità con
il Sistema informativo nazionale dell’ambiente, nell’esercizio delle rispettive
competenze, le regioni possono promuovere accordi di programma con le strutture
definite ai sensi dell’articolo 92 del decreto legislativo del 31 marzo
1998 n. 112, con l’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente, le
agenzie regionali e provinciali dell’ambiente, le province, le autorità
d’ambito, i consorzi di bonifica e gli altri enti pubblici interessati.
Nei programmi devono essere definite altresì le modalità
di standardizzazione dei dati e di interscambio delle informazioni.
Articolo 44 - (Piani di tutela delle acque)
Il piano di tutela delle acque costituisce
un piano stralcio di settore del piano di bacino ai sensi dell’articolo
17, comma 6 ter, della legge 18 maggio 1989, n. 183, ed è articolato
secondo le specifiche indicate nell’allegato 4.
Entro il 31 dicembre 2001 le autorità di
bacino di rilievo nazionale ed interregionale, sentite le province e le
autorità d’ambito, definiscono gli obiettivi su scala di bacino,
cui devono attenersi i piani di tutela delle acque, nonché le priorità
degli interventi. Entro il 31 dicembre 2003, le regioni, sentite le province
e previa adozione delle eventuali misure di salvaguardia, adottano il piano
di tutela delle acque e lo trasmettono alle competenti autorità
di bacino.
Il piano di tutela contiene, oltre agli interventi
volti a garantire il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di
cui al presente decreto, le misure necessarie alla tutela qualitativa e
quantitativa del sistema idrico.
A tal fine il piano di tutela contiene in particolare:
-
i risultati dell’attività conoscitiva;
-
l’individuazione degli obiettivi di qualità
ambientale e per specifica destinazione;
-
l’elenco dei corpi idrici a specifica destinazione
e delle aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall’inquinamento
e di risanamento;
-
le misure di tutela qualitative e quantitative tra
loro integrate e coordinate per bacino idrografico;
-
l’indicazione della cadenza temporale degli interventi
e delle relative priorità;
-
il programma di verifica dell’efficacia degli interventi
previsti;
-
gli interventi di bonifica dei corpi idrici;
Entro 60 giorni dalla trasmissione del piano di cui
al comma 2 le autorità di bacino nazionali o interregionali verificano
la conformità del piano agli obiettivi e alle priorità del
comma 2 esprimendo parere vincolante. Il piano di tutela è approvato
dalle regioni entro i successivi sei mesi e comunque non oltre il 31 dicembre
2004.
Per i bacini regionali le regioni approvano il piano
entro sei mesi dall’adozione e comunque non oltre il 31 dicembre 2004.
CAPO II
Autorizzazione agli scarichi
Articolo 45 - (Criteri generali)
Tutti gli scarichi devono essere preventivamente
autorizzati.
L’autorizzazione è rilasciata al titolare
dell’attività da cui origina lo scarico. Ove tra più stabilimenti
sia costituito un consorzio per l’effettuazione in comune dello scarico
delle acque reflue provenienti dalle attività dei consorziati, l’autorizzazione
è rilasciata in capo al consorzio medesimo, ferme restando le responsabilità
dei singoli consorziati e del gestore del relativo impianto di depurazione
in caso di violazione delle disposizioni del presente decreto. (*) Si applica
l’art.62 comma 11, secondo periodo, del presente decreto.
Il regime autorizzatorio degli scarichi di acque
reflue domestiche e di reti fognarie, servite o meno da impianti di depurazione
delle acque reflue urbane, è definito dalle regioni nell’ambito
della disciplina di cui all’articolo 28, commi 1 e 2.
In deroga al comma 1 gli scarichi di acque reflue
domestiche in reti fognarie sono sempre ammessi nell’osservanza dei regolamenti
fissati dal gestore del servizio idrico integrato. Per gli insediamenti
le cui acque reflue non recapitano in reti fognarie il rilascio della concessione
edilizia è comprensiva dell’autorizzazione dello scarico.
Le regioni disciplinano le fasi di autorizzazione
provvisoria agli scarichi degli impianti di depurazione delle acque reflue
per il tempo necessario al loro avvio.
Salvo diversa disciplina regionale, la domanda
di autorizzazione è presentata alla provincia ovvero al comune se
lo scarico è in pubblica fognatura. L’autorità competente
provvede entro novanta giorni dalla recezione della domanda.
L’autorizzazione è valida per quattro anni
dal momento del rilascio. Un anno prima della scadenza ne deve essere richiesto
il rinnovo. Lo scarico può essere provvisoriamente mantenuto in
funzione nel rispetto delle prescrizioni contenute nella precedente autorizzazione,
fino all’adozione di un nuovo provvedimento, se la domanda di rinnovo è
stata tempestivamente presentata. Per gli scarichi contenenti sostanze
pericolose di cui all’articolo 34, il rinnovo deve essere concesso in modo
espresso entro e non oltre sei mesi dalla data di scadenza; trascorso inutilmente
tale termine, lo scarico dovrà cessare immediatamente. La disciplina
regionale di cui al comma 3 può prevedere per specifiche tipologie
di scarichi di acque reflue domestiche, ove soggetti ad autorizzazione,
forme di rinnovo tacito della medesima.
Per gli scarichi in un corso d’acqua che ha portata
naturale nulla per oltre 120 giorni ovvero in un corpo idrico non significativo,
l’autorizzazione tiene conto del periodo di portata nulla e della capacità
di diluizione del corpo idrico e stabilisce prescrizioni e limiti al fine
di garantire le capacità autodepurative del corpo ricettore e la
difesa delle acque sotterranee. 9. In relazione alle caratteristiche tecniche
dello scarico, alla sua localizzazione e alle condizioni locali dell’ambiente
interessato, l’autorizzazione contiene le ulteriori prescrizioni tecniche
volte a garantire che gli scarichi, ivi comprese le operazioni ad esso
funzionalmente connesse, siano effettuati in conformità alle disposizioni
del presente decreto e senza pregiudizio per il corpo ricettore, per la
salute pubblica e l’ambiente. 10. Le spese occorrenti per effettuare i
rilievi, gli accertamenti, i controlli e i sopralluoghi necessari per l’istruttoria
delle domande d’autorizzazione previste dal presente decreto sono a carico
del richiedente. L’autorità competente determina, in via provvisoria,
la somma che il richiedente è tenuto a versare, a titolo di deposito,
quale condizione di procedibilità della domanda. L’autorità
stessa, completata l’istruttoria, provvede alla liquidazione definitiva
delle spese sostenute.
Per gli insediamenti soggetti a diversa destinazione,
ad ampliamento, a ristrutturazione o la cui attività sia trasferita
in altro luogo deve essere richiesta una nuova autorizzazione allo scarico,
ove prevista.
Articolo 46
(Domanda di autorizzazione agli scarichi
di acque reflue industriali)
La domanda di autorizzazione agli scarichi
di acque reflue industriali deve essere accompagnata dall’indicazione delle
caratteristiche quantitative e qualitative dello scarico, della quantità
di acqua da prelevare nell’anno solare, del corpo ricettore e del punto
previsto per il prelievo al fine del controllo, dalla descrizione del sistema
complessivo di scarico, ivi comprese le operazioni ad esso funzionalmente
connesse, dall’eventuale sistema di misurazione del flusso degli scarichi,
ove richiesto, dalla indicazione dei mezzi tecnici impiegati nel processo
produttivo e nei sistemi di scarico, nonchè dall’indicazione dei
sistemi di depurazione utilizzati per conseguire il rispetto dei valori
limite di emissione.
Nel caso di scarichi di sostanze di cui alla tabella
3/A dell’allegato 5 (*), la domanda di cui al comma 1 deve altresì
indicare:
-
la capacità di produzione del singolo stabilimento
industriale che comporta la produzione ovvero la trasformazione ovvero
l’utilizzazione delle sostanze di cui alla medesima tabella, ovvero la
presenza di tali sostanze nello scarico. La capacità di produzione
deve essere indicata con riferimento alla massima capacità oraria
moltiplicata per il numero massimo di ore lavorative giornaliere e per
il numero massimo di giorni lavorativi;
-
il fabbisogno orario di acque per ogni specifico
processo produttivo;
Articolo 47
(Approvazione degli impianti di trattamento
delle acque reflue urbane)
Salve le disposizioni in materia di valutazione di
impatto ambientale, le regioni disciplinano le modalità di approvazione
dei progetti degli impianti di depurazione di acque reflue urbane che tengono
conto dei criteri di cui all’allegato 5 e della corrispondenza tra la capacità
dell’impianto e le esigenze delle aree asservite, nonché delle modalità
delle gestioni che devono assicurare il rispetto dei valori limite degli
scarichi, e definiscono le relative fasi di autorizzazione provvisoria
necessaria all’avvio dell’impianto ovvero in caso di realizzazione per
lotti funzionali.
Articolo 48 - (Fanghi derivanti dal trattamento
delle acque reflue)
Ferma restando la disciplina di cui al
decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 e successive modifiche, i fanghi
derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina
(*) dei rifiuti. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta ciò
risulti appropriato.
E’ comunque vietato lo smaltimento dei fanghi
nelle acque superficiali dolci e salmastre.
Lo smaltimento dei fanghi nelle acque marine mediante
immersione da nave, scarico attraverso condotte ovvero altri mezzi è
autorizzato ai sensi dell’articolo 18, comma 2, lettera p-bis) del decreto
legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e deve comunque cessare entro il 2003.
Fino a tale data le quantità totali di materie tossiche, persistenti
ovvero bioaccumulabili, devono essere progressivamente ridotte. In ogni
caso le modalità di smaltimento devono rendere minimo l’impatto
negativo sull’ambiente.
Capo III
Controllo degli scarichi
Articolo 49 - (Soggetti tenuti al controllo)
L’autorità competente effettua
il controllo degli scarichi sulla base di un programma che assicuri un
periodico, diffuso, effettivo ed imparziale sistema di controlli preventivi
e successivi.
Fermo restando quanto stabilito al comma 1, per
gli scarichi in pubblica fognatura l’ente gestore, ai sensi dell’articolo
26 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, organizza un adeguato servizio di
controllo secondo le modalità previste nella convenzione di gestione.
Articolo 50 - (Accessi ed ispezioni)
Il soggetto incaricato del controllo è autorizzato
a effettuare le ispezioni, i controlli e i prelievi necessari all’accertamento
del rispetto dei valori limite di emissione, delle prescrizioni contenute
nei provvedimenti autorizzatori o regolamentari e delle condizioni che
danno luogo alla formazione degli scarichi. Il titolare dello scarico è
tenuto a fornire le informazioni richieste e a consentire l’accesso ai
luoghi dai quali origina lo scarico.
Articolo 51
(Inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione
allo scarico)
Ferma restando l’applicazione delle norme sanzionatorie
di cui al Titolo V, in caso di inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione
allo scarico, l’autorità competente al controllo procede, secondo
la gravità dell’infrazione:
-
alla diffida, stabilendo un termine entro il quale
devono essere eliminate le irregolarità;
-
alla diffida e contestuale sospensione dell’autorizzazione
per un tempo determinato, ove si manifestano situazioni di pericolo per
la salute pubblica e per l’ambiente;
-
alla revoca dell’autorizzazione in caso di mancato
adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate
violazioni che determinano situazione di pericolo per la salute pubblica
e per l’ambiente.
Articolo 52 - (Controllo degli scarichi
di sostanze pericolose)
Per gli scarichi contenenti le sostanze di cui alla
tabella 3/A e alla tabella 5 dell’allegato 5 l’autorità competente
nel rilasciare l’autorizzazione può prescrivere, a carico del titolare,
l’installazione di strumenti di controllo in automatico, nonché
le modalità di gestione degli stessi e di conservazione dei relativi
risultati, che devono rimanere a disposizione dell’autorità competente
al controllo per un periodo non inferiore a tre anni dalla data di effettuazione
dei singoli controlli.
Articolo 53 - (Interventi sostitutivi)
Nel caso in cui non vengano effettuati i controlli
ambientali previsti dal presente decreto, il Ministro dell’ambiente diffida
la regione a provvedere nel termine di sei mesi ovvero nel termine imposto
dalle esigenze di tutela sanitaria e ambientale. In caso di persistente
inadempienza provvede il Ministro dell’ambiente, previa delibera del Consiglio
dei ministri, in via sostitutiva, con oneri a carico dell’Ente inadempiente.
Nell’esercizio dei poteri sostitutivi, il Ministro
dell’ambiente nomina un commissario ad acta che pone in essere gli atti
necessari agli adempimenti previsti dalla normativa vigente a carico delle
regioni al fine dell’organizzazione del sistema dei controlli.
TITOLO V
SANZIONI
Capo I
Sanzioni amministrative e danno ambientale
Articolo 54 - (Sanzioni amministrative)
Chiunque, salvo che il fatto costituisca
reato, nell’effettuazione di uno scarico ovvero di una immissione occasionale,
supera i valori limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all’allegato
5, ovvero i diversi valori limite stabiliti dalle regioni a norma dell’articolo
28, comma 2, ovvero quelli fissati dall’autorità competente a norma
dell’articolo 34, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa
da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni. Se l’inosservanza dei
valori limite riguarda scarichi ovvero immissioni occasionali recapitanti
nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 236
così come modificato dall’articolo 21 ovvero in corpi idrici posti
nelle aree protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, si applica
la sanzione amministrativa non inferiore a lire trenta milioni.
Chiunque apre o comunque effettua scarichi di
acque reflue domestiche o di reti fognarie, servite o meno da impianti
pubblici di depurazione, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 45,
ovvero continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione
sia stata sospesa o revocata, è punito con la sanzione amministrativa
da lire dieci milioni a lire centro milioni. Nell’ipotesi di scarichi relativi
ad edifici isolati adibiti ad uso abitativo la sanzione è da uno
a cinque milioni.
Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato,
effettua o mantiene uno scarico senza osservare le prescrizioni indicate
nel provvedimento di autorizzazione, ovvero per gli scarichi di cui all’articolo
33, comma 1, le prescrizioni regolamentari e le altre norme tecniche fissate
dall’ente gestore, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria
da lire due milioni a lire venticinque milioni.
Si applica la stessa sanzione prevista dal comma
3 a chi effettuando al momento all’entrata in vigore del presente decreto
scarichi di acque reflue domestiche autorizzati in base alla normativa
previgente, non ottempera alle disposizioni di cui all’articolo 62, comma
12.
Chiunque viola le prescrizioni concernenti l’installazione
e la gestione dei controlli in automatico ovvero l’obbligo di conservazione
dei risultati degli stessi, di cui al primo comma dell’articolo 52, è
punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire
venticinque milioni. 6. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato,
effettua l’immersione in mare dei materiali indicati all’articolo 35, comma
1, lettere a) e b), ovvero svolge l’attività di posa in mare cui
al comma 5 dello stesso articolo, senza autorizzazione, è punito
con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire due milioni a lire venti
milioni.
Chiunque applica al terreno degli effluenti zootecnici
senza aver effettuato tempestivamente la comunicazione prescritta dall’articolo
38, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria,
da lire un milioni a lire cinque milioni. Si applica la sanzione amministrativa
pecuniaria da lire un milione a lire dieci milioni a chiunque non osserva
le prescrizioni impartite dalle autorità competente ai sensi dell’articolo
38, comma 1, ovvero non ottempera all’ordine di sospensione dell’attività
impartito a norma dell’articolo 38, comma 3.
Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato
non osserva il divieto di smaltimento dei fanghi previsto dall’articolo
48, comma 2, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria
da lire dieci milioni a lire cento milioni. 9. Il titolare di uno scarico
che non consente l’accesso agli insediamenti da parte del soggetto incaricato
del controllo ai fini di cui all’articolo 28, comma 3, e 4, è punito
con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire sei
milioni.
Salvo che il fatto costituisca reato, è punito
con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire cinque milioni a lire
cinquanta milioni, chiunque:
-
nell’effettuazione delle operazioni di svaso, sghiaiamento
o sfangamento delle dighe, supera i limiti o non osserva le altre prescrizioni
contenute nello specifico progetto di gestione dell’impianto di cui all’articolo
40, comma 2;
-
effettua le medesime operazioni prima dell’approvazione
del progetto di gestione.
Articolo 55
(Modifiche al decreto del Presidente della
Repubblica 24 maggio 1988, n. 236)
Il comma 3 dell’articolo 21, del decreto del Presidente
della Repubblica 24 maggio 1988, n. 236, è così modificato:
"L’inosservanza delle disposizioni relative alle
attività e destinazioni vietate nelle aree di salvaguardia e nei
piani di intervento di cui all’articolo 18 è punita con la sanzione
amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire dieci milioni."
Il comma 4 dell’articolo 21 del decreto del Presidente
della repubblica 24 maggio 1988 n.236 è così modificato:
"I contravventori alle disposizioni di cui all’articolo
15 sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione
a lire sei milioni."
Articolo 56 - (Competenza e giurisdizione)
Fatte salve le altre disposizioni della legge 24
novembre 1981, n. 689, in materia di accertamento degli illeciti amministrativi,
all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede la regione
o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione,
ad eccezione delle sanzioni previste dall’articolo 54, commi 8 e 9 per
le quali è competente il comune, salve le attribuzioni affidate
dalla legge ad altre pubbliche autorità.
Avverso le ordinanze-ingiunzione relative alle sanzioni
amministrative di cui al comma 1 è esperibile il giudizio di opposizione
di cui all’articolo 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689.
Per i procedimenti penali pendenti alla entrata in
vigore del presente decreto l’autorità giudiziaria, se non deve
pronunziare decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento, dispone
la trasmissione degli atti agli enti indicati al comma 1 ai fini dell’applicazione
delle sanzioni amministrative. 4. Alle sanzioni amministrative pecuniarie
previste dal presente decreto non si applica il pagamento in misura ridotta
di cui all’art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.
Articolo 57 - (Proventi delle sanzioni
amministrative pecuniarie)
Le somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative
previste dal presente decreto, sono versate all’entrata del bilancio regionale
per essere riassegnate ai capitoli di spesa destinati alle opere di risanamento
e di riduzione dell’inquinamento dei corpi idrici. Le regioni provvedono
alla ripartizione delle somme riscosse fra gli interventi di prevenzione
e di risanamento.
Articolo 58
(Danno ambientale, bonifica e ripristino
ambientale dei siti inquinati)
Chi con il proprio comportamento omissivo
o commissivo in violazione delle disposizioni del presente decreto provoca
un danno alle acque, al suolo, al sottosuolo e alle altre risorse ambientali,
ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di inquinamento ambientale,
è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in
sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate
e degli impianti dai quali è derivato il danno ovvero deriva il
pericolo di inquinamento, ai sensi e secondo il procedimento di cui all’art.
17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.
Ai sensi dell’articolo 18 della legge 8 luglio
1986, n. 349, è fatto salvo il diritto ad ottenere il risarcimento
del danno non eliminabile con la bonifica ed il ripristino ambientale di
cui al comma 1.
Nel caso in cui non sia possibile una precisa quantificazione
del danno di cui al comma 2, lo stesso si presume, salvo prova contraria,
di ammontare non inferiore alla somma corrispondente alla sanzione pecuniaria
amministrativa, ovvero alla sanzione penale, in concreto applicata. Nel
caso in cui sia stata irrogata una pena detentiva, solo al fine della quantificazione
del danno di cui al presente comma, il ragguaglio fra la stessa e la pena
pecuniaria, ha luogo calcolando quattrocentomila lire, per un giorno di
pena detentiva. In caso di sentenza di condanna in sede penale o di emanazione
del provvedimento di cui all’art.444 del codice di procedura penale., la
cancelleria del giudice che ha emanato il provvedimento trasmette copia
dello stesso al Ministero dell’ambiente. Gli enti di cui al comma 1 dell’art.
56 danno prontamente notizia dell’avvenuta erogazione delle sanzioni amministrative
al Ministero dell’ambiente al fine del recupero del danno ambientale. 4.
Chi non ottempera alle prescrizioni di cui al comma 1, è punito
con l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda da lire cinque milioni
a lire cinquanta milioni.
CAPO II
Sanzioni penali
Articolo 59 - (Sanzioni penali)
Chiunque apre o comunque effettua nuovi
scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, ovvero continua
ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia
stata sospesa o revocata, è punito con l’arresto da due mesi a due
anni o con l’ammenda da lire due milioni a lire quindici milioni.
Alla stessa pena stabilita al comma 1, soggiace
chi - effettuando al momento di entrata in vigore della presente decreto
scarichi di acque reflue industriali autorizzati in base alla normativa
previgente - non ottempera alle disposizioni di cui all’art. 62, comma
12.
Quando le condotte descritte ai commi 1 e 2 riguardano
gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose
comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle
5 e 3A dell’allegato 5, la pena è dell’arresto da tre mesi a tre
anni.
Chiunque effettua uno scarico di acque reflue
industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e
nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3A dell’allegato 5 senza
osservare le prescrizioni dell’autorizzazione, ovvero le altre prescrizioni
richieste dall’autorità competente a norma dell’articolo 34, comma
3, è punito con l’arresto sino a due anni.
Chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di
acque reflue industriali, ovvero da una immissione occasionale, supera
i valori limite fissati nella tabella 3 dell’allegato 5 in relazione alle
sostanze indicate nella tabella 5 ovvero i limiti più restrittivi
fissati dalle regioni o delle province autonome, è punito con l’arresto
fino a due anni e con l’ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta
milioni. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze
contenute nella tabella 3A dell’allegato 5, si applica l’arresto da sei
mesi a tre anni e l’ammenda a lire dieci milioni a lire duecento milioni.
Le sanzioni di cui al comma precedente si applicano
altresì al gestore di impianti di depurazione che, per dolo o per
grave negligenza, nell’effettuazione dello scarico supera i valori limite
previsti dallo stesso comma.
Chiunque non ottempera al provvedimento adottato
dall’autorità competente ai sensi dell’articolo 10, comma 5, ovvero
dell’articolo 12, comma 2, è punito con l’ammenda da lire due milioni
a lire venti milioni.
Chiunque non osservi i divieti di scarico previsti
dagli articoli 29 e 30, è punito con l’arresto sino a tre anni.
Chiunque non osserva le prescrizioni regionali
assunte a norma dell’articolo 15, commi 2 e 3, dirette ad assicurare il
raggiungimento ovvero il ripristino degli obiettivi di qualità delle
acque designate ai sensi dell’articolo 14, ovvero non ottempera ai provvedimenti
adottati dall’autorità competente ai sensi dell’articolo 14, comma
3, è punito con l’arresto sino a due anni o con l’ammenda da lire
sette milioni a lire settanta milioni.
Nei casi previsti dal comma 7, il Ministro della
sanità e dell’ambiente nonché la regione e la provincia autonoma
competente, ai quali sono inviati copia delle notizie di reato, possono
indipendentemente dall’esito del giudizio penale, disporre, ciascuno per
quanto di competenza, la sospensione in via cautelare dell’attività
di molluschicoltura e, a seguito di sentenza di condanna o di decisione
emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale definitive,
valutata la gravità dei fatti, disporre la chiusura degli impianti.
Si applica sempre la pena dell’arresto da due mesi
a due anni se lo scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili
contiene sostanze o materiali per i quali è imposto il divieto assoluto
di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni
internazionali vigenti in materia e ratificate dall’Italia, salvo che siano
in quantità tali da essere resi rapidamente innocui dai processi
fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare. Resta
fermo, in quest’ultimo caso l’obbligo della preventiva autorizzazione da
parte dell’autorità competente.
Articolo 60 - (Obblighi del condannato)
Con la sentenza di condanna per i reati previsti
nel presente decreto, o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo
444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale
della pena può essere subordinato al risarcimento del danno e all’esecuzione
degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino di cui all’articolo
58.
Articolo 61 - (Circostanza attenuante)
Nei confronti di chi, prima del giudizio penale o
dell’ordinanza-ingiunzione, ha riparato interamente il danno, le sanzioni
penali e amministrative previste nel presente titolo sono diminuite dalla
metà a due terzi.
TITOLO VI
DISPOSIZIONI FINALI
Articolo 62 - (Norme transitorie e finali)
Il presente decreto contiene le norme di recepimento
delle seguenti direttive comunitarie:
a.
|
direttiva 75/440/CEE relativa alla qualità
delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile; |
b.
|
direttiva 76/464/CEE concernente l’inquinamento
provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico; |
c.
|
direttiva 78/659/CEE relativa alla qualità
delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere
idonee alla vita dei pesci; |
d.
|
direttiva 79/869/CEE relativa ai metodi di misura,
alla frequenza dei campionamenti e delle analisi delle acque superficiali
destinate alla produzione di acqua potabile; |
e.
|
direttiva 79/923/CEE relativa ai requisiti di
qualità delle acque destinate alla molluschicoltura; |
f.
|
direttiva 80/68/CEE relativa alla protezione
delle acque sotterranee dall’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose; |
g.
|
direttiva 82/176/CEE relativa ai valori limite
ed obiettivi di qualità per gli scarichi di mercurio del settore
dell’elettrolisi dei cloruri alcalini; |
h.
|
direttiva 83/513/CEE relativa ai valori limite
ed obiettivi di qualità per gli scarichi di cadmio; |
i.
|
direttiva 84/156/CEE relativa ai valori limite
ed obiettivi di qualità per gli scarichi di mercurio provenienti
da settori diversi da quello dell’elettrolisi dei cloruri alcalini; |
l.
|
direttiva 84/491/CEE relativa ai valori limite
e obiettivi di qualità per gli scarichi di esaclorocicloesano; |
m.
|
direttiva 88/347/CEE relativa alla modifica dell’allegato
II della direttiva 86/280/CEE concernente i valori limite e gli obiettivi
di qualità per gli scarichi di talune sostanze pericolose che figurano
nell’elenco I dell’allegato della direttiva 76/464/CEE; |
n.
|
direttiva 90/415/CEE relativa alla modifica della
direttiva 86/280/CEE concernente i valori limite e gli obiettivi di qualità
per gli scarichi di talune sostanze pericolose che figurano nell’elenco
I della direttiva 76/464/CEE; |
o.
|
direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento
delle acque reflue urbane; |
p.
|
direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione
delle acque da inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti
agricole; |
q.
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direttiva 98/15/CE recante modifica della direttiva
91/271/CEE per quanto riguarda alcuni requisiti dell’allegato I. |
Le previsioni del presente decreto possono essere
derogate solo temporaneamente e in caso di comprovate circostanze eccezionali,
per motivi di sicurezza idraulica volti ad assicurare l’incolumità
delle popolazioni.
Le regioni definiscono, in termini non inferiori
a due anni, i tempi di adeguamento alle prescrizioni, ivi comprese quelle
adottate ai sensi dell’articolo 28, comma 2, contenute nella legislazione
regionale attuativa del presente decreto e nei piani di tutela di cui all’articolo
44, comma 3.
Resta fermo quanto disposto dall’articolo 36 della
legge 24 aprile 1998, n. 128 e relativi decreti legislativi di attuazione
della direttiva 96/92/CE.
L’abrogazione degli articoli 16 e 17 della legge
10 maggio 1976, n. 319 così come modificato ed integrato, quest’ultimo,
dall’articolo 2, commi 3 e 3 bis, del decreto legislativo 17 marzo 1995,
n. 79, convertito con modificazioni nella legge 17 maggio 1995, n. 172,
ha effetto dall’applicazione della tariffa del servizio idrico integrato
di cui agli articoli 13 e seguenti della legge 5 gennaio 1994, n. 36.
Il canone o diritto di cui all’articolo 16 della
legge 10 maggio 1976, n. 319 e successive modificazioni continua ad applicarsi
in relazione ai presupposti di imposizione verificatisi anteriormente all’abrogazione
del tributo ad opera del presente decreto. Per l’accertamento e la riscossione
si osservano le disposizioni relative al tributo abrogato.
Per quanto non espressamente disciplinato dal
presente decreto, continuano ad applicarsi le norme tecniche di cui alla
delibera del Comitato interministeriale per la tutela delle acque del 4
febbraio 1977 e successive modifiche ed integrazioni, pubblicata sulla
Gazzetta ufficiale n. 48 in data 21 febbraio 1977.
Le norme regolamentari e tecniche emanate ai sensi
delle disposizioni abrogate con l’articolo 63 restano in vigore, ove compatibili
con gli allegati al presente decreto e fino all’adozione di specifiche
normative in materia.
Le aziende agricole esistenti tenute al rispetto
del codice di buona pratica agricola ai sensi dell’articolo 19, comma 5
devono provvedere all’adeguamento delle proprie strutture entro due anni
dalla data di designazione delle zone vulnerabili da nitrati di origine
agricola.
Fino all’emanazione del decreto di cui all’articolo
38, le attività di utilizzazione agronomica sono effettuate secondo
le disposizioni regionali vigenti alla data di entrata in vigore del presente
decreto.
Fatte salve le disposizioni specifiche previste
dal presente decreto, i titolari degli scarichi esistenti devono adeguarsi
alla nuova disciplina entro tre anni dall’entrata in vigore del presente
decreto, anche nel caso di scarichi per i quali l’obbligo di autorizzazione
è stato introdotto dalla presente normativa. I titolari degli scarichi
esistenti e autorizzati procedono alla richiesta di autorizzazione in conformità
alla presente normativa allo scadere dell’autorizzazione e comunque non
oltre quattro anni dall’entrata in vigore del presente decreto.
Coloro che effettuano scarichi già esistenti
di acque reflue, sono obbligati, fino al momento nel quale devono osservare
i limiti di accettabilità stabiliti dal presente decreto, ad adottare
le misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell’inquinamento.
Essi sono comunque tenuti ad osservare le norme tecniche e le prescrizioni
stabilite dalle regioni, dall’ente gestore delle fognature e dalle altre
autorità competenti in quanto compatibili con le disposizioni relative
alla tutela qualitativa e alle scadenze temporali del presente decreto
e, in particolare, con quanto già previsto dalla normativa previgente.
Dall’attuazione del presente decreto non devono
derivare maggiori oneri o minori entrate a carico del bilancio dello Stato,
fatto salvo quanto previsto dal successivo comma 14;
Le regioni, e le provincie autonome e gli enti
attuatori provvedono agli adempimenti previsti dal presente decreto anche
sulla base di risorse finanziarie definite da successive disposizioni di
finanziamento nazionali e comunitarie.
All’art.8, comma 2, della Legge 8 ottobre 1997,
n.344 sostituire al comma 1 così come modificato, il periodo: "tenendo
conto della direttiva 91/271/CEE del Consiglio del 21 maggio 1991 concernente
il trattamento delle acque reflue urbane" con il seguente periodo "tenendo
conto del decreto legislativo recante disposizioni sulla tutela delle acque
dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente
il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa
alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti
dalle fonti agricole".
Articolo 63 - (Abrogazione di norme)
Fermo restando quanto previsto dall’articolo 3, comma
2, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono
abrogate le norme contrarie o incompatibili con esso, ed in particolare:
legge 10 maggio 1976, n.319;
legge 8 ottobre 1976, n.690, di conversione con modificazioni
del decreto legge 10 agosto 1976, n.544;
legge 24 dicembre 1979, n.650;
legge 5 marzo 1982, n.62, di conversione con modificazioni
del decreto legge 30 dicembre 1981, n.801;
decreto del Presidente della Repubblica 3 luglio
1982, n.515;
legge 25 luglio 1984, n.381 di conversione con modificazioni
del decreto legge 29 maggio 1984, n.176;
gli articoli 4 e 5 della legge 5 aprile 1990, n.71
di conversione in legge del decreto legge 5 febbraio 1990, n.16;
decreto legislativo 25 gennaio, 1992, n.130;
decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n.131;
decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n.132;
decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n.133;
articolo 2, comma 1, della legge 6 dicembre 1993,
n. 502, di conversione con modificazione del decreto legge 9 ottobre 1993,
n. 408;
articolo 9 bis della legge 20 dicembre 1996, n. 642,
di conversione con modificazioni del decreto legge 23 ottobre 1996, n.
552;
legge 17 maggio 1995, n. 172, di conversione del
decreto legge 17 marzo 1995, n.79.
Sono fatti salvi, in ogni caso, gli effetti finanziari
derivanti dai provvedimenti di cui al comma 1.
ELENCO ALLEGATI
All. 1 - Monitoraggio e classificazione delle
acque in funzione degli obiettivi di qualità ambientale
All. 2 - Criteri per la classificazione dei
corpi idrici a destinazione funzionale
All. 3 - Rilevamento delle caratteristiche
dei bacini idrografici e analisi dell’impatto esercitato dall’attività
antropica
All. 4 - Contenuti dei piani di tutela dei
bacini idrografici
All. 5 - Limiti di emissione degli scarichi
idrici
All. 6 - Criteri per la definizione delle
aree sensibili
All. 7 - Zone vulnerabili
(gli allegati sono riportati in apposite pagine:
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