|
SCENA PRIMA
FLAMMINIA e EUGENIA
EUG. Che cos'avete, signora sorella,
che mi guardate così di mal occhio?
FLA. Eugenia mia, compatitemi; mi
fate tanto venir la bile che oramai non vi posso più guardar con
amore.
EUG. Bella davvero! E che vi ho
fatto che non mi potete vedere?
FLA. Non posso sofferir quella maniera
aspra, litigiosa, indiscreta, con cui solete trattare il signor Fulgenzio.
Egli è innamorato di voi perdutamente; si vede, si conosce che spasima,
che vi adora... e voi non cercate che d'inquietarlo e corrispondergli con
mala grazia.
EUG. In verità mi fareste
ridere; avete tanta compassione per il signor Fulgenzio?
FLA. Ho per lui quella carità
ch'egli merita e che voi dovreste usargli per giustizia e per gratitudine.
E' un uomo civile, è un uomo ricco, è di buonissimo core!
Considerate che voi avete pochissima dote; che nostro zio, a forza di spendere
in corbellerie ha precipitata la casa; che io mi sono maritata come il
cielo ha voluto e che ho penato tre anni in povertà col marito e
quando è morto ho avuto scarsa occasione di piangere. Così
e peggio potrebbe capitare di voi che non siete nel migliore stato del
mio. Il signor Fulgenzio che vi ama tanto e che ha detto di volervi sposare,
è l'unico, forse, che possa fare la vostra fortuna: ma voi, sorella
cara, lo perderete, lo perderete senz'altro. E ci sommetto che iersera
si è più del solito disgustato, e starete un pezzo a vederlo!
EUG. Ed io scommetto che non passano
due ore che Fulgenzio è qui, e mi prega, e se voglio mi domanda
ancora il perdono.
FLA. Voi l'avete ingiuriato ed egli
vi domanderà il perdono?
EUG. Eh, non sarebbe la prima volta.
FLA. Vi fidate troppo della sua
bontà.
EUG. E anch'egli si può compromettere
dell'amor mio.
FLA. L'amate, dunque, e lo trattate
sì male?
EUG. Ma che cosa finalmente gli
ho fatto?
FLA. Niente! In tutto il tempo che
viene qui, è mai passato un giorno o una sera senza che voi l'abbiate
fatto inquietare?
EUG. Son sempre io quella che lo
fa inquietare? Parmi ch'egli sia sofistico e puntiglioso quanto me.
FLA. Non è vero.
EUG. Oh, voi sapete bene quello
che vi dite.
FLA. Specialmente poi lo tormentate
sempre sul proposito di sua cognata.
EUG. Sua cognata io non la posso
vedere.
FLA. Ma cosa vi ha fatto quella
povera donna?
EUG. Non m'ha fatto niente, ma io
non la posso vedere.
FLA. Quest'odio è cattivo,
sorella cara; il cielo vi castigherà.
EUG. Io non le porto odio, ma non
la posso vedere.
FLA. Eppure ella vi ha fatto delle
finezze.
EUG. Si tenga le sue finezze: meno
ch'io la vedo, sto meglio.
FLA. Ma che cosa vi siete cacciata
in testa? Che Fulgenzio sia impazzito per la cognata? Sapete pure ch'egli
la serve e l'assiste perchè gli fu raccomandata da suo fratello!
EUG. Sì? E che bisogno c'è
ch'egli vada a spasso con lei e pianti me qui sola come una bestia?
FLA. Orsù, sorella, io vi
consiglio, pel vostro meglio, abbandonare ogni cattivo pensiere e di quella
donna vi prego a non ne parlare.
EUG. Oh sì! Vi prometto di
non parlarne mai più!
FLA. Se lo farete, farete bene.
(dopo una pausa) Ma torno a dir, io dubito che il signor Fulgenzio,
per oggi almeno, non si lasci vedere.
EUG. Possibile? Non è mai
stato un giorno senza venire.
FLA. Se non fosse in collera, a
quest'ora sarebbe venuto.
EUG. Anzi, l'aveva detto di venir
questa mattina.
FLA. Oh, non viene assolutamente.
EUG. Quasi quasi gli manderei a
dir qualche cosa.
FLA. Vi dispiace, eh, che non venga?
EUG. Sicuro che me ne dispiace...
gli voglio bene davvero!
FLA. E sempre lo disgustate!
EUG. Ho questo temperamento! Per
altro lui lo sa che io gli voglio bene.
FLA. Un poco più d'umiltà,
sorella.
EUG. E voi che tenete sempre da
lui.
FLA. Io tengo dalla ragione! (guai
se non facessi così, è una vipera!).
EUG. Chi viene?
FLA. E' il servitore del signore
Fulgenzio.
EUG. Non ve l'avevo detto? Quanto
credete che sia lontano il padrone?
FLA. Aspettate prima che non mandi
qualche ambasciata che vi dispiaccia.
EUG. Ha della roba il servitore.
FLA. (Povero galant'uomo; è
di bonissimo core).
SCENA SECONDA
TOGNINO e dette
TOG. Servo di lor signore.
EUG. Addio, Tognino, che fa il padrone?
TOG. Sta bene, la riverisce e le
manda quel biglietto.
FLA. E qui che ci avete?
TOG. Un po' di frutta.
EUG. Sentite come mi scrive!
FLA. E' sdegnato?
EUG. Vorrebbe far lo sdegnato ma
non lo sa fare. Sentite come principia:"Crudelaccia...
FLA. Via, via, è parola d'amore.
EUG. ...mi prendo la libertà
di mandarvi due frutta perchè possiate raddolcirvi la bocca che
avete per solito amareggiata di fele...
FLA. E' amore, è amore!
EUG. ...sarei venuto in persona
se non avessi temuto accrescere i vostri sdegni".
FLA. Sentite?
EUG. Ma ci verrà! "Vi amo
teneramente e appunto per questo, stando da voi lontano intendo unicamente
di compiacervi".
FLA. Sentite?
EUG. Ma ci verrà! "Bramerei
due righe di vostra mano per assicurarmi se vi è rimasta nel cuore
qualche scintilla d'amor per me."
FLA. Suvvia, rispondetegli e usategli
un poco di carità.
EUG. Siete molto compassionevole.
FLA. Oh. io non posso veder a penare
nessuno.
EUG. Con questi uomini non bisogna
esser poi tanto corrive, e non è sempre ben fatto far loro conoscere
che si amano tanto.
FLA. Io non l'ho mai usata questa
politica e non la saprei usare.
EUG. Scrivetegli voi per me.
FLA. Volete che lo faccia davvero?
EUG. Sì, fatelo che mi farete
piacere.
FLA. Badate che io voglio scrivere
a modo mio.
EUG. Sì, scrivete come vi
pare.
FLA. Voglio scrivere per placarlo
e non per irritarlo di più.
EUG. Credete che io abbia piacere
a disgustarlo? Signora no. Fate anzi una bella lettera che lo consoli il
mio caro coruccio bello.
FLA. In nome vostro.
EUG. In nome mio, ci s'intende.
FLA. Aspettate, quel giovane, che
or ora vengo con la risposta.
TOG. Dove vuole ch'io posi questo
canestro?
FLA. Date qui, date qui... guardate,
Eugenia, che belle frutta; sa che vi piacciono e ve le manda. Invece di
star sulle sue vi manda le frutta! Un uomo come questo non lo trovate più.
Io so che se avessi un amante simile lo vorrei propriamente adorare. (esce)
SCENA TERZA
EUGENIA e TOGNINO
EUG. A che ora è venuto a casa,
iersera, il vostro padrone?
TOG. E' venuto prima del solito,
non erano ancor suonate le due.
EUG. Che ha detto sua cognata quando
l'ha veduto venir sì presto?
TOG. Ha mostrato di aver piacere.
EUG. Aveva compagnia la signora
Clorinda?
TOG. Oh. da lei non ci vien mai
nessuno; ella è di natural melanconico. Suo marito è anche
qualche poco geloso... è andato a Genova per affari, l'ha raccomandata
al fratello ed ella non tratta con nessun altro.
EUG. E le fa buona compagnia il
signor Fulgenzio?
TOG. Quando è in casa procura
di divertirla.
EUG. E la diverte bene?
TOG. La diverete, m'intendo, così:
mangiano insieme.
EUG. Ridono, a tavola?
TOG. Qualche volta.
EUG. E' grazioso veramente, il vostro
padrone... mi ha detto che gioca, qualche volta, con sua cognata: ed è
egli vero?
TOG. Sì signora, giocano,
qualche volta.
EUG. E vanno a spasso la sera.
TOG. Questo io non lo so, veramente.
EUG. Perchè me lo volete
negare? Persone mi han dato per certo che li han veduti a spasso ancor
ier sera.
TOG. Può essere.
EUG. Mi fareste venir la rabbia,
"può essere"? Dite che è di sicuro.
TOG. Lo sa di certo?
EUG. Fate conto ch'io l'abbia veduto.
TOG. Bene. Quando lo sa, perchè
me lo domanda?
EUG. (Come ci casca bene il baggiano!)
E a che ora son tornati?
TOG. A tre ore incirca.
EUG. Hanno cenato subito?
TOG. Subito.
EUG. E poi avranno giocato una partitina.
TOG. Hanno giocato una partitina.
EUG. (Venga da me che sta fresco).
SCENA QUARTA
FLAMMINIA e detti.
FLA. Ecco qui la lettera bell'e fatta.
La volete sentire?
EUG. Date qui, non preme.
FLA. Signora no, ve la voglio far
sentire. "Mio bene...
EUG. Ma bene!
FLA. Cosa vorreste significare?
EUG. Niente, dico che dite bene.
FLA. Sentite: "Mi hanno tanto consolato
le vostre righe, che non ho termini sufficienti per ispiegarvi il giubbilo
del mio cuore."
EUG. Eh, che giubbilo?
FLA. No, forse?
EUG. Sì!
FLA. "Mi pare un secolo che non
vi vedo, caro il mio bene: venite a consolare la vostra cara gioietta"...
EUG. Con quella bella grazietta!
FLA. Che modo è questo?
EUG. Ci fò la rima.
FLA. Mi fareste dir delle brutte
rime! Finiamola! "Vedrete ch'io non son la crudelaccia, ma la vostra fedele,
sincera amante. Eugenia Pandolfi". Vi pare che non abbia scritto a dovere?
EUG. Ottimamente. Date qui che la
voglio sigillar io.
FLA. Eh. la so sigillar da me.
EUG. La voglio consegnare io a Tognino
acciò possa dir che l'ha ricevuta da me.
FLA. Fin qui non avete torto...
eccola.
EUG. Venite qui, Tognino.
TOG. Eccomi.
EUG. Dite al vostro padrone che
mia sorella Flamminia in nome mio gli ha scritto una bella lettera, e che
io medesima, con le mie mani l'ho lacerata.
FLA. Che? Mi fate di queste scene??
Siete impazzita davvero?
EUG. E ditegli che venga qui. Gli
darò la risposta in voce.
TOG. Come comanda.
FLA. Non glielo dite che ha stracciata
la lettera.
EUG. Anzi, glielo deve dire! Tognino,
se glielo dite vi do un testone di mancia.
TOG. Sarà per sua grazia,
non mancherò di servirla.
FLA. Dico che non gli dite nulla!
TOG. Perdoni, la sua signora sorella
ha delle maniere obbliganti... un testone vale, in Milano, quarantacinque
soldi di buona moneta. (esce)
SCENA QUINTA
FLAMMINIA ed EUGENIA
FLA. E perchè avete fatto questa
baggianata?
EUG. L'avete mai letto il libro
del Perchè? Leggetelo e lo saprete.
FLA. Sguaiaterie, vi dico! Ne son
stucca, e ristucca.
EUG. Gran premura aveva ieri sera
il signor Fulgenzio di andare a casa.
FLA. E' andato via per la rabbia.
EUG. Eh, pensate...è andato
via perchè aveva un impegno.
FLA. E con chi?
EUG. Col diavolo, che se lo porti.
FLA. Sorella, voi vi volete precipitare.
EUG. Quando si tratta di quelle
maledette bugie, non le posso soffrire.
FLA. Vi ha detto qualcosa il servitore?
EUG. Niente.
FLA. Non istate a credere sì
facilmente...
EUG. O già, io non credo
a nessuno.
FLA. A Fulgenzio potete credere.
EUG. Peggio.
FLA. E a me?
EUG. Peggio.
FLA. Già, chi non dice a
modo vostro ha il torto, presso di voi. (voci esterne) Ecco qui
nostro zio.
EUG. Chi diavolo c'è con
lui?
FLA. Un forastiere, mi pare.
EUG. Ha sempre seco delle seccature.
FLA. Sì, chi sentirà
lui sarà qualche gran personaggio, sarà di costa di re; egli
magnifica tutte le cose e si fa burlare da tutti.
SCENA SESTA[154q
FABRIZIO, ROBERTO e dette.
FAB. Signore nipoti, ecco qui un cavaliere
che vi vuol conoscere e favorire, il conte d'Otricoli, una delle prime
famiglie d'Italia, di una ricchezza immensa.
ROB. Mi fa troppo onore il signor
Fabrizio; io non merito nessuno di questi elogi.
FAB. Eh, non serve dire e non dire:
questi è il primo cavalier del mondo. In materia di cavalleria non
c'è altrettanto in tutta l'Europa; fate il vostro dovere col signor
Conte.
FLA. Signore, attribuisco a mia
singolar fortuna l'onor di conoscere un cavaliere di tanta stima.
ROB. Posso il consolarmi...
FAB. Vede signor Conte? Questa è
Flamminia, mia nipote...è vedova, ma ha avuto per marito il primo
mercante di Milano.
FLA. (E' morto miserabile, il povero
disgraziato).
FAB. E' una donna che per una casa
non si dà la compagna. Non c'è in tutta Milano, non c'è
in tutta Italia una donna come Flamminia.
ROB. Mi rallegro infinitamente con
la signora.
FLA. Mio zio si diverte, non ho
questi meriti.
FAB. Via, signora Eugenia, ditegli
qualche cosa; fate conoscere il vostro spirito la vostra vivacità.
Non c'è, veda, non c'è in tutto il mondo una giovane come
lei. Balla in un modo che i primi ballerini sono rimasti storditi; canta
poi di un gusto, che chi la sente more; parla che non c'è stata
mai, da che mondo è mondo, una parlatrice compagna.
ROB. E' ammirabile la signora, per
la virtù e per il merito della bellezza.
EUG. Vi prego non secondare mio
zio nel piacer di mortificarmi.
ROB. E' ancora zittella la signora
Eugenia?
FAB. Sì signora. M'è
stata richiesta dalla prima nobiltà di Milano ma io non l'ho voluta
dare a nessuno. Ho delle idee grandiose sopra di lei.
ROB. In fatti ella merita una fortuna
corrispondente alle sue rare prerogative.
FAB. Al giorno d'oggi c'è
poco da compromettersi, ci sono più debiti che ricchezze. Dei Conti
d'Otricoli non ve n'è che uno solo al mondo.
ROB. Io vaglio molto meno degli
altri; le mie fortune sono assai limitate. Quelle di che mi pregio si è
la sincerità e l'onore.
FAB. Nipoti mie, questo è
l'esempio dei cavalieri onorati, è il libro aperto che insegna agli
uomini la sincerità.
FLA. Lo conoscerete da un pezzo,
questo signore. (a Fabrizio)
FAB. Quest'è la prima volta
che ho l'onor di vederlo.
FLA. (E pare sieno trent'anni che
lo conosce!)
FAB. E' stato diretto a me da un
amico mio di Bologna, che è il fior de' galantuomini, ed il più
bravo pittore che sia stato al mondo, dopo Zeusi e Apelle. Signor Conte,
ella si diletterà di pitture.
ROB. Certamente, me ne diletto assaissimo.
FAB. Eh, gli uomini grandi, gli
uomini dal talento sublime come quello del signor Conte, non possono non
intendersi di ogni cosa. Vedrà nella mia miserabile casa, nel povero
mio tugurio, nella mia capannuccia, dei tesori, in materia di quadri delle
cose stupende, cose che non le ha il Re di Francia. Originali dei primi
maestri dell'arte. Vedrà, signor cavaliere, un quadro spaventosissimo
del Tiziani di cui mi hanno offerto due mila doppie ed io l'ho avuto per
cento zecchini! Che dice, eh? Per cento zecchini un quadro che vale due
mila doppie. Cosa vuol dire intendersi delle cose! Oh io poi per conoscerla
non la cedo ai primi conoscitori del mondo.
EUG. (Poveri danari gettati! Ha
tutte copie e gliele fanno pagare per originali!).
ROB. Si vede che siete assai di
buon gusto... avrò occasion d'ammirare.
FAB. Eh. picciole cose. Compatirà
la miseria. Ehi, fategli vedere quei quattro pezzi stupendi del Wandich,
quelle due cene singolarissime insigni del Veronese, quella meraviglia
del Guercino, quell'aurora inimitabile di Michel'Angelo Buonarotti, quella
notte inestimabile del Correggio. Tesori, signor Conte, tesori.
ROB. Voi a quel che sento avete
una galleria da monarca.
FAB. Picciole cosarelle da pover'uomo.
Si serva, favorisca di andare con le mie nipoti.
FLA. Ma noi non ce n'intendiamo
di quadri e non sapremmo distinguere come voi...
FAB. Che serve? Se non ve n'intendete
voi se ne intende il signor Cavaliere. Ho un affare, per ora, che mi trattiene.
Servitelo intanto, che poi verrò io pure e gli faro vedere di quelle
cose che non avrà mai vedute.
ROB. Mi sarà carissima la
vostra compagnia (ma più quella delle sue nipoti).
FLA. Anderò io, sorella,
non c'è bisogno che voi ci venghiate! (a Eugenia)
EUG. Anzi io ci voglio venire. (a
Flamminia)
FLA. E se arriva il signor Fulgenzio?
EUG. Che importa a me ch'ei mi trovi
col forastiere! (Oh bella! Va egli a spasso con sua cognata? Voglio ancor
io trattar con chi m'aggrada!)
FLA. (Gran testa originale è
costei!) (escono)
FAB. Vada, signor Cavaliere, s'accomodi.
ROB. Mi prevalerò delle vostre
grazie. (in atto di partire)
FAB. Eh favorisca.
ROB. Che mi comandate?
FAB. Oggi avrà la bontà
di restare a mangiare una cattiva zuppa con noi.
ROB. Oh questo poi...
FAB. Oh, non c'è risposta.
ROB. No certo.
FAB. Per sicurissimo.
ROB. Ne parleremo.
FAB. Mi dà parola?
ROB. Contentatevi...
FAB. Mi dà parola?
ROB. Non so che dire.
FAB. Compatirà la miseria,
ma sentirà un paio di piatti, che i simili non li avrà la
tavola dell'Imperadore, e saranno fatti dalle mie mani.
ROB. Non posso ricusar le vostre
grazie. (Egli ingrandisce tutte le cose, ma non credo si dia un pazzo più
grande di lui). (esce)
SCENA SETTIMA
FABRIZIO e SUCCIANESPOLE
FAB. Sono in impegno di farmi onore.
Voglio che tutti possan dir bene di me. Se vado anch'io per il mondo mi
verranno incontro con le carrozze, coi tiri a sei, con le trombette. Mi
dispiace che non ci ho altri che un servitore solo, vecchio e stordito.
Ma farò io. I buoni piatti li farò io. Ehi, Succianespole.
SUC. Signore.
FAB. Come stiamo in cucina?
SUC. Bene.
FAB. E' acceso il foco?
SUC. Gnor no.
FAB. Perchè non è
acceso il foco?
SUC. Perchè non c'è
legna.
FAB. Non mi star a far lo scimunito
che oggi ho da dar da pranzo a un'Eccellenza.
SUC. Ci ho gusto.
FAB. Succianespole, che cosa daremo
oggi da pranzo a sua Eccellenza? (ridente con confidenza)
SUC. Tutto quello che vorrà
Vostra Eccellenza.
FAB. Qualche volta mi faresti arrabbiare
con questa tua flemmaccia maledetta.
SUC. Io son lesto.
FAB. Lo sai fare il pasticcio di
maccheroni?
SUC. Gnor sì.
FAB. Un fricandò alla francese?
SUC. Gnor sì.
FAB. Una zuppa con le erbucce?
SUC. Gnor sì.
FAB. Con le polpettine?
SUC. Gnor sì.
FAB. E coi fegatelli arrostiti?
SUC. Gnor sì.
FAB. Hai denari per ispendere?
SUC. Gnor no.
FAB. T'ho pur dato uno zecchino!
SUC. Quanto giorni sono?
FAB. L'hai speso?
SUC. Gnor sì.
FAB. Eh, il tuo salario, che ti
ho dato, l'hai speso?
SUC. Gnor sì.
FAB. E non hai più un quattrino?
SUC. Gnor no.
FAB. Maledetto sia il gnor sì
e il gnor no! Si sente altro da te che gnor sì e gnor no?
SUC. Insegnatemi che cosa ho da
dire.
FAB. Bisogna pensare a trovar denari.
SUC. Gnor sì.
FAB. Quante posate ci sono?
SUC. Sei, mi pare.
FAB. Sì, erano dodici. Sei
le ho impegnate, restano sei. Siamo in quattro, impegnamone due.
SUC. Và al monte e spicciati.
FAB. E non mi far aspettare due
ore.
SUC. Gnor no.
FAB. Andremo a spendere quando torni.
SUC. Gnor sì.
FAB. C'è pane?
SUC. Gnor no.
FAB. C'è vino?
SUC. Gnor no.
FAB. Che tu sia maledetto. Gnor
sì, che tu sia bastonato!
SUC. Gnor no.
FAB. Io non so come vada. In casa
mia non vi è mai il bisogno e ormai ho dato fine a tutto. Ma non
importa. Io ho da avere delle fortunaccie. I gran soggettoni ch'io tratto,
i principi, i cavalieri ch'io servo mi faran cavalcare con le staffe d'oro.
Semino per raccogliere e il grano della mia testa m'ha da rendere il cento
per uno.Che si impegni e che si spenda: e poi?... in carrozza, in carrozza.
SUC. In carretta.
FAB. Il diavolo che ti porti. (gli
corre dietro e parte)
SCENA OTTAVA
LISETTA e RIDOLFO
LIS. Che mi comanda il signor Ridolfo?
RID. Ho necessità di parlar
con una delle vostre padrone.
LIS. Dica pure a quale di esse ho
da far l'ambasciata.
RID. Veramete l'affare appartiene
alla signora Eugenia, ma io parlerei più volentieri alla signora
Flamminia.
LIS. Perdoni la curiosità.
So che V.S. è amico molto del signor Fulgenzio: ci sarebbe forse
qualche novità tra lui e la padroncina?
RID. Per l'appunto vi è una
novità non indifferente.
LIS. (La prima l'ho indovinata;
vo' un po' veder se indovino ancor la seconda).Viene forse per trattare
il come e il quando per concludere queste nozze?
RID. Tutto al contrario. Vi dirò
quel ch'io son per fare perchè Fulgenzio m'ha detto di dirlo pubblicamente:
l'amico, per mezzo mio, si licenzia dalla signora Eugenia. Desidera farlo
con civiltà, ma qui non lo vedrete mai più.
LIS. Ma perchè una risoluzione
di questa natura?
RID. Questo poi non l'abbiamo a
cercar nè voi nè io; Fulgenzio e la signora Eugenia sapranno
eglino la cagione.
LIS. Oh, è facile indovinare
il perchè... avranno gridato insieme.
RID. Può essere.
LIS. E se han gridato faranno la
pace.
RID. Mi par difficile.
LIS. L'hanno fatta tante altre volte!
RID. Questa volta l'amico è
risolutissimo. Per quanto gli abbia io suggerito di pensarvi, di star a
vedere, di non precipitare una risoluzione di questa natura ha battuto
sodo, mi ha risposto come un cane arrabbiato e fino con le lagrime agli
occhi mi ha pregato per carità ch'io venissi a disimpegnarlo.
LIS. Non ci credo e non ci crederò
mai... ne ho vedute tante di queste scene, che non ci credo.
RID. Ad ogni modo io mi vo' disimpegnar
dalla mia commissione: parlar con una di esse, spiegar l'intenzione dell'amico
Fulgenzio, e nasca quel che sa nascere, io non vò strolicar d'avvantaggio.
LIS. Se voi parlate di ciò
alla signora Eugenia, la fate cascar morta: almeno usatele carità.
Non le date il colpo tutto ad un tratto.
RID. Credetemi, io lo faccio mal
volentieri. Ho anche detto all'amico che mi lagnerei se, dopo di aver fatto
io questo passo, lo riconoscessi pentito. Ma tant'è, è costantissimo,
vuol ch'io lo faccia. Chiamatemi la signora Flamminia.
LIS. E' di là ora con un
forastiere che per ordine di suo zio gli fà veder certi quadri.
RID. E la signora Eugenia dov'è?
LIS. Ella pure si è messa
della partita. Oh, aspettate! Che il signor Fulgenzio abbia saputo del
forastiere e che si sia sdegnato per questo?
RID. Oibò, mi ha detto di
certa lettera, ma non l'ho capito. Orsù, fatemi un poco parlare
o coll'una o coll'altra.
LIS. Povera padrona. Andrò,
signore...oh! Chi è qui?
RID. Per bacco! E' qui Fulgenzio.
LIS. Non ve l'ho detto?
RID. Verrà a cercar di me.
LIS. Eh sì, verrà
a cercar di voi!
SCENA NONA
FULGENZIO e detti.
FUL. (Una parola). (a Ridolfo, chiamandolo
in disparte con ansietà)
RID. (Non l'ho ancora potuta vedere).
(piano a Fulgenzio)
FUL. (Non le avete parlato?)
RID. (No, vi dico).
FUL. (Non sa niente la signora Eugenia
di quello che vi avevo raccomandato?)
RID. Ma se non ho veduto nè
lei nè la sorella.
FUL. (Lisetta è informata
di nulla?)
RID. (Sì, qualche cosa le
ho detto).
FUL. Caro amico, compatitemi per
carità. Dopo che da me partiste mi sono sentito gelar il sangue.
Sarei caduto per terra se il sevitore non mi sosteneva. Ah, quell'indegno
del servitore è la causa di tutto. La povera Eugenia è gelosa,
e l'eccesso della sua gelosia è partorito da un eccesso di amore.
Buon per me che non le avete parlato. Lisetta, per l'amor del cielo, non
dite niente alla vostra padrona. Tenete queste poche monete, godetele per
amor mio, e voi, Ridolfo amatissimo, perdonate le mie debolezze, e ricevete
le mie suse in questo tenero sincero abbraccio.
LIS. (Mi pareva impossibile che
non avesse ad esser così).
RID. Amico, vi compatisco ma non
mi mettete più in tali impegni.
FUL. Avete ragione. Ringraziamo
il cielo che è andata bene. Lisetta, dovè la signora padrona?
LIS. E' di là che si veste
(non gli dico niente del forastiere).
FUL. Se volesse favorir di venire...
LIS. Glielo dirò, signore.
FUL. Ehi; è in collera?
LIS. Oh, non mi pare.
FUL. Via via, chiamatela.
LIS. (Oh, questi si amano daddovero!)
(esce)
SCENA DECIMA
FULGENZIO e RIDOLFO
RID. Amico, a rivederci.
FUL. Andate via?
RID. Volete ch'io resti?
FUL. No, no, se vi preme, andate
pure.
RID. Sì, vado. Conosco benissimo
che il restar solo non vi dispiace. Vi conpatisco, ma permettetemi che
qualche cosa vi dica, per amicizia. Seconoscete che la persona che amate
meriti l'amor vostro, disponete l'animo a sofferir qualche cosa. Tutti
in questo mondo ci dobbiamo compatire l'un l'altro, e specialmente la donna
merita di essere un poco più compatita. Se poi vi sembra aver giusto
motivo di dolervi di lei, pensateci prima di risolvere, ma quando avete
pensato, ma quando avete risolto, non fate che la ragion v'abbandoni, e
che l'affetto vi acciechi, vi trasporti, e vi avvilisca a tal segno.(parte)
SCENA UNDICESIMA
FULGENZIO, poi EUGENIA.
FUL. Dice bene l'amico, dice benissimo.
Dalle donne qualche cosa convien soffrire; quando si sa specialmente che
una donna vuol bene, non serve il sofisticare, non conviene pesare le parole
con la bilancia dell'oro, e guardare i moscherini col microscopio per ingrandirli.
Son troppo caldo, lo conosco da me; ma in avvenire voglio assolutamete
correggermi, vo' moderarmi. Già so che mi vuol bene. Se vuol dire,
lasciarla dire. Eccola. Voglia il cielo ch'ela sia di buon umore. Mi pare
ilare in volto. Ma qualche volta sa fingere. Non vorrei che dissimulasse.
Orsù, non principiamo a sofisticare.
EUG. Serva umilissima, signor Fulgenzio.(affettando
allegria)
FUL. Quest'umilissima si poteva
lasciar nella penna.
EUG. Mi scappò, non volendo.
La riverisco. Che fa? Sta bene?
FUL. Eh! Sto bene io. Ed ella come
sta? (intorbidandosi un poco)
EUG. Benissimo. Ottimamente.
FUL. Me ne consolo. E' molto allegra
questa mattina.
EUG. Quando sono in grazia sua sono
sempre allegrissima.
FUL. (C'è del torbido: non
mi vorrei inquietare, ma ho paura non potermi tenere). (da sè)
EUG. Che dice ella di queste belle
giornate?
FUL. Con questo ella, con questo
ella mi ha un pochino sturbato, signora mia.
EUG. Questa mattina sono stata in
complimenti, e mi è restato il lei fra le labbra.
FUL. In complimenti con chi?
EUG. Con certe amiche che son venute
a favorirmi. Anzi mi hanno detto, che vogliono venir questa sera, per condurmi
a spasso con loro.
FUL. E che cosa avete risposto?
EUG. Che ci anderò volentieri.
FUL. Senza di me?
EUG. Sicuro.
FUL. Mi piace. S'accomodi.
EUG. Oh bella! Mi avete mai condotta
una sera a spasso?
FUL. Non vi ho condotta, perchè
non mi avete comandato di farlo.
EUG. Eh, dite perchè avete
degli altri impegni.
FUL. Io? Che impegni?
EUG. Eh via, che serve? Se avete
in casa qualche mazzo di carte che vi avanzi, favorite portarmelo, che
mi divertirò un poco dopo cena a giocare una partita con mia sorella.
FUL. Che novità è
questa? Che discorso è questo? Cosa c'è sotto a questo vostro
ragionamento?
EUG. Niente, signore. Faccio per
non andare a letto sì presto. Voi avete fretta di partire la sera,
e vi compatisco, perchè avete i vostri interessi, avete degli affari
importanti, ed io starò a divertirmi con mia sorella, o anderò
a spasso con le mie amiche.
FUL. Eh, signora Eugenia, ci conosciamo.
EUG. Prendete anche ciò in
mala parte?
FUL. Ci conosciamo, vi dico, ci
conosciamo.
EUG. Sì, ci conosciamo e
ci conosciamo.
FUL. Ma il mio servitore in casa
vostra non ci verrà più.
EUG. Che importa a me che ci venga
nè il servitor, nè il padrone?
FUL. Eh già; queste sono
le solite sue buone grazie.
EUG. Ha tabacco?
FUL. Se sono andato a far quattro
passi con mia cognata...
EUG. Che cosa c'entra vostra cognata?
Che importa a me di vostra cognata?
FUL. So quel che dico; e non avrete
più il divertimento di tirar giù quel balordo del mio servitore.
EUG. Mi maraviglio di voi, che parliate
così. Vi torno a dire, non m'importa nè di lui, nè
di voi.
FUL. Nè di me? Non v'importa
di me? Nè di lui nè di me? Non ve n'importa?
EUG. Fermatevi, che mi fate girar
il capo.
FUL. Nè di lui, nè
di me? (si dà un pugno nella testa)
EUG. Facciamo scene?
FUL. Nè di lui. nè
di me?(si batte il capo a due mani)
EUG. Animo; finiamo queste sguaiaterie.
(fra lo sdegno e l'amore)
FUL. Non posso più. (si
abbandona sopra una sedia)
EUG. Avvertite che siete pazzo davvero.
FUL. Son pazzo, son pazzo?(seguita
a battersi)
EUG. Non la volete finire?(con
un poco di tenerezza)
FUL. Cagna! Crudele!
EUG. Bell'amore! A ogni menoma cosa
subito si sdegna, và in bestia, non può soffrir niente il
signor delicato. Finalmente chi vuol bene ha da compatire; e ad una donna
le si deve donar qualche cosa. Bella maniera di farsi amare!
FUL. Sì, avete ragione. (placato)
EUG. Ogni giorno siamo alle medesime.
FUL. Compatitemi, non farò
più.
EUG. Non mi fate di queste ragazzate,
che non ne voglio.
FUL. Andrete a spasso questa sera?(ridente
amoroso)
EUG. Se mi parerà.(scherzando
con amore)
FUL. Con chi anderete?
EUG. Eh!
FUL. Con me anderete.
EUG. Sicuro! (ironica)
FUL. Non volete venire con me? (un
poco sdegnato)
EUG. Se ci veniste volentieri.
FUL. Ma cara Eugenia, possibile
che ancora non siate certa dell'amor mio? In un anno incirca che ho la
consolazione della vostra cara amicizia, v'ho dato io scarse prove d'amore?
Ancora mi volete fare il torto di dubitarne? So che vi sta sul core quella
povera mia cognata. Ma sapete il debito che mi corre. Mio fratello, che
l'ama teneramente, me l'ha con calore raccomandata. Sono un galantuomo,
sono un uomo d'onore. Non posso abbandonarla, non posso trattarla con inciviltà;
se siete una donna ragionevole, appagatevi dell'onesto, compatite le mie
circostanze, e per l'amor del cielo, Eugenia mia, non mi tormentate.
EUG. Via, avete ragione. Non vi
tormenterò più. Compatitemi; conosco che ho fatto male...
FUL. Basta cosi, che mi si spezza
il core per la tenerezza.
EUG. Mi vorrete sempre bene?
FUL. Credetemi, che domandandomi
questa cosa, voi mi offendete.
EUG. Ve la domando, perchè
vorrei sentirmelo replicare ogn'ora, ogni momento.
FUL. Sì, cara, ve ne vorrò
in eterno; e se il cielo vuole, non passerà gran tempo che sarete
mia.
EUG. E che cosa aspettate?
FUL. II ritorno di mio fratello.
EUG. Non potete maritarvi senza
di lui?
FUL. La convenienza vuol ch'io l'aspetti.
EUG. Io lo so, perche differite.
FUL. E perchè?
EUG. Perchè avete paura di
disgustare vostra cognata?
FUL. Maladetta sia mia cognata;
maladetto sia quando parlo.
EUG. Eccolo qui, non si puo parlare.
FUL. Ma se sempre mi provocate.
EUG. Mi voglio mettere a non dir
più una parola.
FUL. Non potete parlare senza dire
delle sciocchezze?
EUG. Le sciocchezze le dite voi,
signor insolente.
FUL. Or ora vi faccio vedere un
qualche spettacolo.
EUG. Ehi, chi e di là?
FUL. Non chiamate. (arrabbiato)
EUG. Pazzo.
FUL. Anderò via
EUG. Andate.
FUL. Non ci tornerò piu.
EUG. Non m'importa.
FUL. Diavolo, portami. Portami,
diavolo. (parte correndo)
EUG. Che vita è questa? Che
amor maladetto! non posso resistere, non posso più. (parte)
Indice
- Atto 1° - Atto 2° - Atto
3° |
|