Una
ipotesi di tecnologia per le mura sannitiche
Le costruzioni
E' convinzione comune che le mura megalitiche sannitiche fossero
costruite a secco, cioè senza alcun tipo di legante. Lo dice lo stesso
professor Lugli e nessuno ha mai pensato diversamente. Dunque è
diventata una legge, una verità indiscutibile. Più che altro si tratta
di qualcosa di indiscusso perché non ci sono state ipotesi
contrarie.
Come potrebbe essere che i Sanniti avessero utlizzato della malta
ventiquattro secoli fa? Ammesso che le mura risalgano al IV secolo
avanti Cristo, datazione niente affatto certa. Dunque bisogna spiegare questa
ipotesi di legante possibile a quell'epoca.
Occorre considerare le case prima di tutto. Cioè come facessero a non
far passare spifferi e pioggia durante la pessima stagione che, alle
altitudini dove si trova la stragrande maggioranza di mura di
cinta, è piuttosto pesante da sopportare. C'era il camino dentro, ma il
vento non consente un riscaldamenro adeguato oppure uniforme. Per questo
motivo i conci di pietra dovevano essere sigillati in qualche modo e
diventare, almeno come parete, un corpo unico. Non dal punto di vista
strutturale, quanto da quello funzionale.
Il materiale che si poteva usare a questo scopo era l'argilla,
chiamiamolo pure fango in quanto si trattava di terra non cotta se non
al sole o alla temperatura ambiente. Per tale ragione si spandeva lungo
il muro, internamente, forse anche esternamente, una sorta di intonaco
fatto di fango e paglia, il tutto prima ben amalgamato. Mescolato con i piedi. La paglia era
l'armatura del composto, un po' con la stessa funzione che oggi ha
l'acciaio nel cemento armato. In modo tale che con il calore, e con la
successiva essiccazione del materiale, non ci fossero spaccature e
lesioni che avrebbero annullato il beneficio dell'intonaco.
Questa soluzione ipotizzata per le abitazioni, dove si vive anche di
notte e con le basse temperature, portò in seguito, forse anche prima,
ma poco importa, all'utilizzo dello stesso composto pestato come
legante per i conci di pietra dei muri stessi. In questo modo c'era una
maggiore resistenza, almeno durante la fase costruttiva, delle pietre.
Esse, ben assestate con questo tipo di malta, avrebbero formato uno
strato capace di supportare il peso successivo senza sbandamenti,
all'avanzare della parete. Ovvio che bisognava attendere l'asciugatura.
Ma se ciò avveniva nella stagione buona, si poteva aspettare un giorno
e poi si continuava l'edificio.
Adesso vediamo come spostare questa tecnica alle mura di cinta degli
abitati.
I massi non erano
posti a secco
Sarebbe già facile, a questo punto, dedurre che
anche i massi megalitichi delle mura di cinta non dovessero essere
posti in opera a secco. Bastava utilizzare la medesima tecnica anche se
i pesi erano di gran lunga differenti. E qui vediamo come fecero,
secondo questa ipotesi, a sorreggere in equilibrio i massi così grandi.
Si trattava di una modalità che usava sia pietre di appoggio, più
piccole, che malta del tipo suddetto. Bastava formare lo strato su cui
poggiare il grosso concio e poi infilare, mediante spostamenti con leve di
legno, le pietre piccole nelle zone che non facevano restare in assetto il masso stesso,
fino a ottenere una posizione il più possibile equlibrata e piana.
Chi osserva le mura di cinta sannitiche spesso nota che, fra masso e
masso, esistono delle vere e proprie caverne dentro le quali si può
inserire la mano e anche il braccio. E si vedono pochi punti di appoggio. La
geometria ci dice che bastano tre punti per individuare un piano, ma
qui si tratta di conci senza forma precisa che, al momento della posa
in opera, potevano facilmente rotolare a valle se non ben sistemati.
Perciò ci doveva essere un piano di appogio sufficientemente morbido da
adattarsi alla conformazione del masso e opportune pietre piccole per tenerlo
bloccato definitivamente. Quando questa specie di malta di fango e
paglia si fosse asciugata, il tutto sarebbe diventato un muro amalgamato e
compatto, come quello delle case di cui si è detto. Del resto qui non
occorreva aspettare che il tempo facesse indurire
il fango. Si poteva continuare in lunghezza il ricorso e tornare al
momento opportuno sul luogo del precedente. Si è spiegato altrove che occorevano anni, decenni e secoli per completare tutta la struttura delle mura di una certa importanza.
Come mai non vi è traccia, al giorno d'oggi, di questo tipo di legante? Semplice. Il fango
non resiste a lungo se è cotto, per modo di dire, al sole. Non si
tratta di mattoni, soltanto di terra impastata e resa dura
dell'essiccatura naturale, quando l'acqua evapora e lascia soltanto le
molecole di terra. Dopo secoli e secoli di acqua, vento, sole, ghiaccio
non è possibile trovare alcunché di ciò che pure c'era all'inizio, sciolto dal tempo.
Si potrà osservare che i Sanniti sapevano che quel tipo di fango si
sarebbe sgretolato con le piogge e le cinte murarie sarebbero
rimaste prive di ogni tipo di legante, perciò "a secco". Certo che lo
sapevano. Ma la funzione della tale malta era soltanto quella di far
rimanere fermi i blocchi durante la costruzione e di non far scivolare
le pietre di minore dimensione e di chiusura fra masso e masso. Con il gravare del carico dei
pesi propri successivi e superiori, le zeppe interposte non potevano più
muoversi, costrette da quando sopra avevano da sopportare.