La
datazione con la ricerca di resti fra i massi megalitici
Le varie ipotesi
Uno dei problemi che affligge la ricerca archeologica sulle
mura megalitiche, e in questo campo anche di quelle innalzate dai
Sanniti, riguarda la datazione della costruzione. O almeno a quale
epoca possa risalire la posa della prima pietra, perché è evidente come
siano state edificate nel corso di numerosi anni, per non dire secoli.
Gli
studiosi si affannano a fornire prove che le mura appartengano a una
determinata epoca, con le più svariate argomentazioni. Anche noi, in
queste pagine, abbiamo descritto gli indizi che dovrebbero essere
inattaccabili sotto alcuni profili. Tuttavia esiste sempre il dubbio
finché non vi sia la certezza scientifica. Quella che si ottiene
solamente con esami di laboratorio. E, com'è noto, le pietre non hanno
subito lavorazioni tali per cui sia possibile risalire a un'età
precisa. Così ci si avvicina mediante metodi che richiamano fatti
storici, più o meno documentati, oppure tipologie che riguardano esami
stilistici e tecnologici.
E
non si tratta di qualcosa di poca importanza perché le datazioni si
discostano di parecchi secoli l'una dall'altra, e queste differenze
incidono anche sulla ricostruzione della vita di quei popoli cui le
mura megalitiche si riferiscono. A ogni modo si tratta della ricerca
della verità e ognuno che analizza il passato, specie molto antico, si
appassiona fino a che non si raggiunga un punto fermo.
Come poter raggiungere lo scopo
Sul fatto che i massi delle mura megalitiche fossero posti in opera
mediante l'ausilio di funi, non ci dovrebbero essere dubbi. Non è
possibile, diversamente, essere piuttosto precisi nel costruire a secco
con conci dal peso insoppprtabile per le poche persone che potevano
operare nei pressi. Dunque anche a distanza con il tiro di corde
le quali, una volta poggiata la pietra nella posizione finale, dovevano
essere ritirate.
Il
fatto è che quando un peso di svariati quintali,
per non parlare delle tonnellate che è ancora peggio, grava sulla fune,
non è facile e nemmeno logico cercare di recuperarla. A parte che ci
vorrebbero leve inadeguate a spostare l'intero masso senza provocare
rotolamenti, si sarebbero salvate, comunque, solamente le corde che
reggevano il volume verso le due estremità. Per il resto
l'operazione poteva risultare, alla fine,
infruttuosa e pericolosa. Perciò l'ipotesi è che almeno una parte della
cima, quella della fune centrale sotto il masso, venisse tagliata e
lasciata sotto la stessa grossa pietra, a
perdere. E che lì sotto sia rimasta per secoli, per millenni.
Qualcuno
potrebbe obiettare che il tempo l'avrà corrosa, distrutta e dispersa
nell'ambiente con le piogge. Ma a ciò si può obiettare che sono state
trovare, in Egitto, precisamente nell'area del Wadi al-Jarf, 180
km a sud di Suez, proprio dei resti di funi datate al regno di Cheope,
da alcune iscrizioni sulle pietre. La scoperta è di Pierre Tallet, (Université de Paris IV Sorbonne), egittologo e direttore della missione archeologica.
Dunque
se ci sono residui di corde di 4500 anni fa, perché mai non si
potrebbero trovare parti dello stesso materiale, anche molto più
piccole di quelle egizie, nel Sannio, per esempio? Basterebbero
poche fibre per utilizzarle in laboratorio: esame al cabonio 14.
Come ritrovare le fibre di funi
E' difficile che si possano smontare i massi megalitici dalle mura
per cercare pochi grammi di corda antica. Tuttavia si può procedere con
sistemi non invasivi. Esistono strumenti che sono in grado di
radiografare ciò che si ha davanti. E questo sistema può essere usato
per controllare dove, sotto un masso, si possa nascondere un pezzo di
fune. Forse occorre pazienza e fortuna, ma l'ipotesi è
da prendere in considerazione se si vuole, definitivamente,
svelare il mistero dell'epoca delle costruzioni megalitiche e, fra
esse, quelle sannitiche.