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La
verità non mi fa paura: decimo romanzo pubblicato da Raffaele
Castelli.
Storia di una ragazza che scopre di avere una mamma adottiva e vuole conoscere quella vera. Senza alcuna paura della verità, che sarà diversa da come riteneva. Libro di 296 pagine ambientato ad Assisi. E' possibile acquistarlo in ogni libreria d'Italia, con il codice ISBN 978-88-488-09992-4, oppure direttamente via internet cliccando qui. IntervistaQuesta volta ti sei orientato verso il giallo?Non direi, mi vengono sempre dei romanzi non esageratamente paurosi. Poi non c'è niente da temere a conoscere la verità. E qui bisogna scoprire chi è una certa persona. Anzi due persone. Non ti sbilanci. Ma se è scritto nella quarta di copertina! Sì, è vero. Ma sono sempre un po' timoroso a svelare la trama o anche solo una parte di essa. Allora parliamo dei personaggi e dell'ambiente. Assisi. Una ragazza adolescente con una predisposizione per la pittura. Poi il lavoro che la famiglia non ha un'economia particolarmenmte florida. Perciò subito a lavorare al forno di fronte alla propria casa. E lì ne succedono di tutti i colori per un certo fratello del proprietario. O per altri simpatici personaggi che girano attorno all'attività. C'è anche una maestra. Rita. Un omaggio alla mia, quella delle elemenari che alcuni anni fa, quasi centenaria, se ne andò. Ma ha lasciato un buon ricordo e io l'ho scolpita nel mio libro. (Ride.) Tutto ruota, dunque, attorno a questo fatto della ricerca, come tu dici, dell'anima persa, nel sottotitolo. Sì, è non è difficile quando ci si mette con passione. Si gira il mondo e si trova sempre qualcosa. Con sentimento. La protagonista cresce con il suo dramma e sente il richiamo della verità. La deve cercare, fino al nord dell'Europa. Tra studenti italiani all'estero. C'è un po' di tristezza nel raccointo. Un po', che non guasta. Ma tutto si combina con ciò che accade alla gente tutti i giorni, senza andare oltre e immaginare situazioni complesse, che non esistono quasi mai. Mi piace lavorare sul mondo che noi vivamo. Mi sono preso solo una licenza alla fine, quando la ragazza diventa anche elemento di studio del suo datore di lavoro. Non mi far parlare troppo. Non sia mai. Diciamo allora del linguaggio. Che mi pare sempre più personale, a giudicare dal primo romanzo. Be', credo di avere fatto strada, in quel senso. Ho capito che ci vuole libertà espressiva e coraggio, senza temere di sbagliare. Che altri possano dire di errori nella lingua, che bisogna essere maggiormente regolari e seguire il modo di scrivere della maggior parte di chi si dedica a raccontare. Non è così'. Bisogna seeguire il proprio istinto e lasciare che ciò che si crede venga fuori, a costo di corrodere qualche regola della sintassi. Ammesso che siano delle leggi che non si possano cambiare. Per esempio? Non so. Quando scrivo frasi senza verbo, oppure continuo il pensiero dopo il punto. Questo l'ho già notato in altri tuoi scritti precedenti. Oppure la grammatica. Sé stesso: accentato o no? Tutti usano senza accento. Come se fosse possibile distinguere dal contesto ciò che significa. Ma allora dicendo "se stesse" che significa? é un verbo oppure no? Non si sa. Perciò io dico accento o meno, secondo il significato, non secondo il contesto. Non è obbigatorio stare attenti a ciò che si dice nel periodo. Qui andiamo verso il solito discorso che il linguaggio scritto è ridicolo, secondo me. Ma non approfondiamo, per favore, che poi mi si dice: guarda chi parla! (Ride e partecipo anch'io.) Ma lo stile, volevo dire... Be', anche quello si affina con l'andare oltre. Con le situazioni e le caratteristiche dei personaggi, oppure con le descrizioni di ciò che il tale, in quel momento, pensa. A proposito, uso far pensare, anche se c'è la terza persona, sempre chi allora è sulla scena. Come se fossero le sue riflessioni e non le mie, autore. Anche questo l'ho notato e mi pare una buona idea. Sì, mi venne dopo una critica di mia figlia al libro Zanna bianca, in cui, disse, si trattava di un fatto raccontato dalla parte del cane. E mi stupì, che lei aveva appena undici anni. Infinre la copertina. Questa volta è una pittura. Sì, ma sempre a partire da una foto. Perchè è stata trattata con il computer e con un software di grafica. Sempre da me. (La moglie ha preparato delle pizze fritte, ce ne offre in quantità con un buon bicchiere di vino. Genuino e delle loro parti. Poi un brindisi e alla prossima.) |
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