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Macerata
 


Ricordi di MACERATA 
In collegio a Macerata arrivai di domenica, tanti anni fa: ero poco più di un bambino, anzi proprio un bambino, visto che avevo solo 11 anni. Avevo vinto una borsa di studio, ma non ero molto convinto che per me fosse una cosa buona. Quel giorno mi lasciò mio padre che pioveva. Ci portarono al cinema e non mi accorsi per un po’ come doveva essere forte il sentimento della nostalgia: non l’avevo mai provato e non lo conoscevo affatto, ma il giorno dopo mi avrebbe fatto un brutto scherzo, molto più della malinconia che mi assalì quando tornammo in collegio dopo il cinema. Un po’ la gioia di aver visto un film, cosa che a me era successo solo quando ero piccino e mi portavano in braccio in una saletta organizzata da Filippetto, un pioniere in queste cose, al mio paese, un po’ per la novità di vedere facce nuove e sentire dialetti diversi quella sera passò così, senza troppi traumi per me. 
Il mattino seguente andammo a scuola, tutti insieme ed in fila, al piano superiore senza bisogno di uscire da quel monumentale fabbricato che aveva una particolarità nella facciata: una sorta di frontone in alto, una parete triangolare che faceva da asse di simmetria. Eravamo in tanti alla prima media, forse una trentina, ed i nomi li ricordo ancora a memoria, dal 1962. A dire il vero ne rammento una decina, per gli altri ho il vuoto. Quello che più mi è rimasto nella mente, però è Angelo di Pescara. Ho trovato il suo nome e la sua data di nascita su internet: ora dovrebbe lavorare nei tribunali, a L’Aquila, ma non sono riuscito a scoprire il suo numero di telefono o il suo indirizzo. Quando ho scritto nessuno mi ha risposto. Mi dispiace perché con Angelo nacque una bella amicizia di un anno, il tempo che rimasi al Giacomo Leopardi di Macerata. La notte ci svegliavamo e ci mettevamo sotto il letto a mangiare le cose buone portate da casa dopo le feste, oppure andavamo nei bagni a studiare fino ad imparare a memoria i compiti per il giorno dopo. Poi le giocate a pallone nel cortile, le risate, le raccolte delle figurine dei calciatori. 
Quel primo giorno di scuola mi fece capire il dolore che può provocare la nostalgia: il rimedio forse è solo la sofferenza ed il tempo che passa. La professoressa si accorse che qualcosa avevo dentro, ma forse pensava che fossi solo un po’ spaesato o timido e mi chiese se voleva uscire. “Come no?” pensavo dentro di me, e me ne andai fuori dall’aula. Ma non mi passò nemmeno lontanamente nella testa di andare al bagno: presi direttamente la strada verso la camerata e mi sedetti sul letto a piangere. Quella mattina ci misero un bel po’ per ritrovarmi: a scuola non vedendomi rientrare lanciarono l’allarme. Mi trovò il cameriere, mi pare un certo Latini, che mi stava vicino per aver capito che ero come un pesce fuor d’acqua, mi imbucava le lettere, le cartoline agli amici, mi comperava qualcosa fuori, sempre dopo che gli avessi dato i soldi, era sempre gentile. Quel giorno non tornai a scuola, ma il vice-rettore mi tenne con sé nel suo ufficio cercando di consolarmi. Tutto passò quando le urla dei bambini coetanei si sparsero nel cortile dove, dopo pranzo, andavamo (ed allora era la prima volta) a calciare un pallone. 
Lì vicino c’era il campo della maceratese di basket e tutte le domeniche vedevamo gratis le partite quando, non di rado, succedevano scontri fisici oltre lo sport, specialmente quando c’era la squadra di Montegranaro, un paesino dove tutti facevano scarpe (e forse ancora le fanno). 
Macerata mi apparse come una bella città, come le ho sempre pensate e le penso tuttora da architetto: una zona storica ben mantenuta, un’area circostante ricca di verde ed ampia. Ritenevo allora che il nome derivasse dalla forma planimetrica della città, non compatta, con ville sparse, alberi, strade larghe, colli e vegetazione, insomma come un corpo macerato. 
Passò solo un anno scolastico, ma lo ricordo come quei racconti di De Amicis del libro Cuore: la grandezza di quegli scritti è proprio nell’aver scoperto e rivissuto, come in un sogno, l’ambiente della nostra mente in cui sono riposti gli amici, le storie, le giornate, gli avvenimenti di un tempo. Quel luogo è l’area dei nostri ricordi dove ci si accede per uno stretto cunicolo, ma che poi ci appare vasto, grande, chiaro, presente. 
Dal mio paese, 16-01-2006 
Raffaele 
 
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