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Sentenza Corte Costituzionale n.
167 del
29 aprile-10 maggio 1999
(
pubblicata nella G.U. prima serie speciale n. 20 del 19 maggio 1999
)
Nel
giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1052, secondo
comma, del codice civile promosso con ordinanza emessa il 19 settembre
1997 dal Pretore di La Spezia sul ricorso proposto da Sturlese Giorgio
contro Ferrando Santino ed altri, iscritta al n. 532 del registro
ordinanze
1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29,
prima
serie speciale, dell'anno 1998.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1999 il Giudice
relatore
Annibale Marini.
Ritenuto
in fatto
1.
- Nel corso di un procedimento ex art. 700 del codice di procedura
civile promosso da un portatore di handicap, invalido civile al 100%,
proprietario
di un appartamento in condominio, al fine di ottenere l'autorizzazione
ad esercitare, in via d'urgenza, il passaggio sino alla via pubblica su
un orto confinante con lo stabile condominiale, il Pretore di La Spezia
ha sollevato - sospendendo il procedimento cautelare - questione di
legittimità
costituzionale dell'art. 1052, secondo comma, del codice civile, in
riferimento
agli artt. 2, 3, secondo comma, 32 e 42, secondo comma, della
Costituzione,
"nella parte in cui non consente di costituire la servitù di cui
al primo comma in favore di edifici di civile abitazione, al fine di
garantire
un adeguato accesso alla via pubblica per mutilati ed invalidi con
difficoltà
di deambulazione".
Deduce il giudice rimettente - quanto alla rilevanza della questione
- che il ricorrente agisce in via d'urgenza, quale proprietario di un
appartamento
facente parte di un condominio avente accesso alla via pubblica
solamente
attraverso una scalinata di settantacinque gradini, al fine di ottenere
l'anticipazione degli effetti di una sentenza costitutiva di servitù
coattiva di passaggio su di un orto di proprietà di taluni condomini
dell'edificio stesso, posto sul retro dello stabile, attraverso il
quale
sarebbe possibile raggiungere agevolmente la via pubblica con percorso
in piano. Ritiene il rimettente che la proposta domanda cautelare sia
ammissibile
e che sussista, nella fattispecie, il presupposto del pericolo nel
ritardo,
in quanto la tutela invocata dal ricorrente è strettamente connessa
al suo interesse ad una accettabile vita di relazione, nelle more
pregiudicato,
stante la sua condizione di invalido totale, dalla situazione di
difficoltoso
accesso alla via pubblica, non adeguabile se non con eccessivo
dispendio
e disagio.
Osserva tuttavia lo stesso rimettente che, poiché il fondo a
favore del quale dovrebbe chiedersi nel giudizio di merito la
costituzione
di servitù non è intercluso, la norma da prendere in considerazione
ai fini della valutazione del fumus boni iuris risulta quella di cui
all'art.
1052 cod. civ. (Passaggio coattivo a favore di fondo non intercluso),
secondo
la quale la servitù di passaggio a favore di un fondo avente un
accesso alla via pubblica che sia inadatto o insufficiente ai bisogni
del
fondo stesso e non sia ampliabile può essere concessa dall'autorità
giudiziaria "solo quando questa riconosce che la domanda risponde alle
esigenze dell'agricoltura o dell'industria". Ne dovrebbe dunque
conseguire
il rigetto della domanda cautelare, non ricorrendo nella fattispecie le
esigenze di tipo produttivo considerate in via esclusiva dalla
norma.
Ritiene tuttavia il giudice a quo che la norma stessa, per la parte
in cui consente appunto la costituzione della servitù solo in vista
delle esigenze dell'agricoltura e dell'industria e non anche in
considerazione
delle esigenze di vita di mutilati ed invalidi con difficoltà di
deambulazione, sia in contrasto con gli artt. 2, 3, secondo comma, 32 e
42, secondo comma, della Costituzione.
L'interesse del disabile ad ottenere un passaggio sul fondo altrui al
fine di accedere agevolmente alla via pubblica sarebbe infatti
ricollegabile
al diritto inviolabile ad una normale vita di relazione, tutelato
dall'art.
2 Cost., ed al diritto alla salute - inteso come interesse del singolo
e della collettività alla eliminazione delle discriminazioni dipendenti
dalle situazioni invalidanti - tutelato dall'art. 32 Cost. Il diritto
di
proprietà, ai sensi dell'art. 42, secondo comma, Cost., può
d'altro canto subire limitazioni al fine di assicurarne la funzione
sociale
e ciò giustificherebbe la sua sottomissione ai doveri di solidarietà
enunciati dall'art. 2 Cost., anche in relazione all'esistenza di un
principio
inteso a consentire l'adeguato svolgimento della personalità rimuovendo
gli ostacoli che si frappongono al superamento di situazioni di
diseguaglianza
(art. 3, secondo comma, Cost.).
La vigente legislazione in tema di eliminazione delle barriere
architettoniche
offrirebbe poi - ad avviso del rimettente - ulteriori elementi a
sostegno
del dubbio di legittimità, sia perché essa ha già
introdotto limitazioni speciali al diritto di proprietà al fine
di garantire l'accessibilità dei disabili agli edifici (quali le
deroghe al regime ordinario delle distanze ed a quello delle delibere
condominiali)
sia soprattutto in quanto l'intero impianto normativo dimostra che
l'accessibilità
a fini abitativi costituisce non solo un interesse del disabile ma
un'utilità
ed un carattere intrinseco dell'immobile, non diversamente dalle
possibilità
di sfruttamento agricolo ed industriale considerate dall'art. 1052 del
codice civile.
L'esistenza di una normativa intesa a favorire l'eliminazione delle
barriere architettoniche non escluderebbe, d'altro canto, l'interesse
alla
costituzione della servitù coattiva di passaggio in tutti quei casi
in cui - come nella fattispecie sottoposta all'esame del giudice a quo
- il passaggio esistente non possa adeguarsi se non con dispendio o
disagio
eccessivo o comunque notevolmente superiore al pregiudizio che, con
l'imposizione
della servitù, verrebbe arrecato al fondo limitrofo.
2.
- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per
l'inammissibilità
della questione.
Secondo quanto dedotto dall'Avvocatura la norma denunciata sarebbe
inapplicabile
alla fattispecie oggetto del giudizio, sia perché diretta a
regolamentare
(secondo la tradizione romanistica delle servitù prediali) situazioni
inerenti alla qualitas dei fondi più che alle contingenti e soggettive
esigenze dei proprietari, sia soprattutto perché dal suo ambito
di applicazione risultano escluse, in base al disposto dell'art. 1051,
ultimo comma, espressamente richiamato dall'art. 1052, primo comma, "le
case, i cortili, i giardini e le aie" e tale esclusione dovrebbe
estendersi,
sempre ad avviso dell'Avvocatura, anche agli orti.
Considerato
in diritto
1.
- Il Pretore di La Spezia dubita della legittimità costituzionale
dell'art. 1052, secondo comma, del codice civile, in riferimento agli
artt.
2, 3, secondo comma, 32 e 42, secondo comma, della Costituzione, "nella
parte in cui non consente di costituire la servitù di cui al primo
comma in favore di edifici di civile abitazione, al fine di garantire
un
adeguato accesso alla via pubblica per mutilati ed invalidi con
difficoltà
di deambulazione".
La norma denunciata contrasterebbe infatti, ad avviso del rimettente,
con il principio di eguaglianza in senso sostanziale e sarebbe altresì
lesiva, nei confronti dei portatori di handicap, sia del diritto
inviolabile
ad una normale vita di relazione, sia del diritto alla salute, inteso
come
interesse del singolo e della collettività alla eliminazione delle
discriminazioni dipendenti dalle situazioni invalidanti. Essa inoltre,
consentendo la costituzione di servitù coattiva di passaggio a favore
di fondo non intercluso solo per finalità produttive e non anche
in relazione alle esigenze di vita degli invalidi, si porrebbe in
contrasto
con la funzione sociale del diritto di proprietà.
2.
- Va preliminarmente disattesa l'eccezione di irrilevanza e, quindi,
di inammissibilità della questione sollevata dall'Avvocatura generale
in base all'assunto che l'orto, su cui dovrebbe nella specie
costituirsi
la servitù coattiva di passaggio, sarebbe, come le "case, i cortili,
i giardini e le aie ad esse attinenti", un bene esente da siffatta
servitù
ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1051 cod. civ.
Contrariamente a quanto ritenuto dall'Avvocatura, l'esenzione stabilita
da tale norma, essendo intesa ad evitare l'eccessiva onerosità che,
avuto riguardo alla destinazione abitativa degli immobili, deriverebbe
dall'imposizione del passaggio a carico di essi, va, infatti,
rigorosamente
circoscritta alle case e a quegli immobili, come appunto i cortili, i
giardini
e le aie, che alle case sono legati da un vincolo pertinenziale. Mentre
del tutto estranei allo scopo ed alla previsione della norma devono
considerarsi
gli orti, intendendosi per tali, secondo il significato comune del
termine,
quei fondi agricoli, di modeste dimensioni, destinati a soddisfare le
esigenze
alimentari del coltivatore e dei suoi familiari e privi, in relazione
alla
loro vocazione tipicamente agricola, del carattere di accessorietà
alla casa di abitazione.
La qualificazione in concreto del fondo come orto nel senso precisato,
piuttosto che come giardino o aia, costituisce poi questione di fatto
rimessa
alla esclusiva valutazione del giudice a quo. Sicché, anche sotto
tale aspetto, l'eccezione d'inammissibilità della questione risulta
priva di fondamento.
3.
- Nel merito, la questione è fondata.
4.
- L'art. 1052 cod. civ. disciplina l'ipotesi di costituzione di
passaggio
coattivo a favore di fondo non intercluso, che cioè abbia un proprio
accesso alla via pubblica, tuttavia inadatto o insufficiente ai bisogni
del fondo e non ampliabile.
Va premesso che l'"ampliabilità" di cui alla citata disposizione
deve essere intesa, secondo la giurisprudenza di legittimità, non
in senso letterale, cioè con riferimento alla sola larghezza del
passaggio, ma nel più ampio e generico significato di riducibilità
a sufficienza e adeguatezza. L'accesso alla pubblica via va, d'altro
canto,
considerato non ampliabile non soltanto quando il suo adeguamento sia
materialmente
impossibile, ma anche quando risulti eccessivamente oneroso o
difficoltoso,
secondo la disposizione di cui al primo comma dell'art. 1051 cod. civ.,
ritenuta dalla giurisprudenza applicabile alla fattispecie disciplinata
dall'art. 1052 in virtù dell'espresso richiamo contenuto in
quest'ultima
norma e della evidente identità di situazione e di ratio
giustificatrice.
La concessione del passaggio coattivo è subordinata, dalla norma
denunciata, non solo alla inadeguatezza dell'accesso alla via pubblica
e alla sua non ampliabilità, ma anche alla sussistenza di una ulteriore
condizione, rappresentata dalla circostanza che la domanda risponda
"alle
esigenze della agricoltura o dell'industria".
Con tale disposizione - ignota al codice civile previgente - il
legislatore,
per il caso di fondo non intercluso, ha inteso ricollegare la
costituzione
della servitù coattiva di passaggio non soltanto alle necessità
del fondo (come nel caso di costituzione di servitù a favore di
fondo intercluso), ma anche alla sussistenza in concreto di un
interesse
generale, all'epoca identificato nelle esigenze dell'agricoltura o
dell'industria.
Mentre estranee alla previsione della norma e prive, pertanto, di ogni
rilievo ai fini della costituzione del passaggio coattivo risultano le
esigenze abitative, pur se riferibili a quegli interessi fondamentali
della
persona la cui tutela è indefettibile.
Ed è in relazione a quest'ultimo aspetto che la norma si pone,
come si vedrà, in contrasto con i principi costituzionali evocati
dal rimettente.
5.
- Va in proposito ricordato che la più recente legislazione
relativa ai portatori di handicap - in particolare la legge 9 gennaio
1989,
n. 13 (Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle
barriere architettoniche negli edifici privati), e la legge 5 febbraio
1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i
diritti delle persone handicappate) - non si è limitata ad innalzare
il livello di tutela in favore di tali soggetti, ma ha segnato, come la
dottrina non ha mancato di sottolineare, un radicale mutamento di
prospettiva
rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette
da invalidità, considerati ora quali problemi non solo individuali,
ma tali da dover essere assunti dall'intera collettività.
Di tale mutamento di prospettiva è segno evidente l'introduzione
di disposizioni generali per la costruzione degli edifici privati e per
la ristrutturazione di quelli preesistenti, intese alla eliminazione
delle
barriere architettoniche, indipendentemente dalla effettiva
utilizzazione
degli edifici stessi da parte delle persone handicappate.
Risulta, allora, chiaro come la tutela di queste ultime sia potuta
divenire
uno dei motivi di fondo della vigente legislazione abitativa attraverso
anche (ma non esclusivamente) la fissazione delle caratteristiche
necessarie
all'edificio abitativo considerato nella sua oggettività ed astraendo
dalla condizione personale del singolo utilizzatore.
Così, l'accessibilità - che l'art. 2 del d.m. 14 giugno
1989, n. 236 (Prescrizioni tecniche necessarie a garantire
l'accessibilità,
l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e
di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini
del
superamento e della eliminazione delle barriere architettoniche),
definisce
come "la possibilità, anche per persone con ridotta o impedita capacità
motoria o sensoriale, di raggiungere l'edificio e le sue singole unità
immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e
attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia" - è
divenuta una qualitas essenziale degli edifici privati di nuova
costruzione
ad uso di civile abitazione, quale conseguenza dell'affermarsi, nella
coscienza
sociale, del dovere collettivo di rimuovere, preventivamente, ogni
possibile
ostacolo alla esplicazione dei diritti fondamentali delle persone
affette
da handicap fisici.
Per quanto riguarda poi gli edifici privati già esistenti, vengono
in considerazione, come espressione dello stesso indirizzo legislativo,
gli interventi previsti dall'art. 2 della citata legge n. 13 del 1989,
in virtù dei quali è possibile apportare all'immobile condominiale,
a spese dell'interessato ed anche in deroga alle norme sul condominio
negli
edifici, le modifiche necessarie per renderlo più comodamente
accessibile.
E' peraltro evidente come la citata normativa possa in concreto
risultare
del tutto insufficiente rispetto al fine perseguito, ove le innovazioni
necessarie alla piena accessibilità dell'immobile risultino in concreto
impossibili o, come nella specie, eccessivamente onerose o comunque di
difficile realizzazione.
Ed è appunto in relazione a tali ipotesi che la non inclusione
della accessibilità dell'immobile tra le esigenze che, ai sensi
dell'art. 1052, secondo comma, cod. civ., possono legittimare la
costituzione
della servitù coattiva di passaggio, risulta lesiva di quei principi
costituzionali che, come si è accennato, l'accessibilità
dell'abitazione è intesa a realizzare.
6.
- Più specificamente, la impossibilità di accedere
alla pubblica via, attraverso un passaggio coattivo sul fondo altrui,
si
traduce nella lesione del diritto del portatore di handicap ad una
normale
vita di relazione, che trova espressione e tutela in una molteplicità
di precetti costituzionali: evidente essendo che l'assenza di una vita
di relazione, dovuta alla mancanza di accessibilità abitativa, non
può non determinare quella disuguaglianza di fatto impeditiva dello
sviluppo della persona che il legislatore deve, invece,
rimuovere.
L'omessa previsione della esigenza di accessibilità, nel senso
già precisato, della casa di abitazione, accanto a quelle,
produttivistiche,
dell'agricoltura e dell'industria rende, pertanto, la norma denunciata
in contrasto sia con l'art. 3 sia con l'art. 2 della Costituzione,
ledendo
più in generale il principio personalista che ispira la Carta
costituzionale
e che pone come fine ultimo dell'organizzazione sociale lo sviluppo di
ogni singola persona umana.
7.
- Sotto un diverso aspetto, poi, questa Corte ha già avuto
modo di affermare come debba ritenersi ormai superata la concezione di
una radicale irrecuperabilità dei portatori di handicap e come la
socializzazione debba essere considerata un elemento essenziale per la
salute di tali soggetti sì da assumere una funzione sostanzialmente
terapeutica assimilabile alle pratiche di cura e riabilitazione
(sentenza
n. 215 del 1987).
S'intende allora come la norma denunciata, impedendo od ostacolando
la accessibilità dell'immobile abitativo e, quale riflesso necessario,
la socializzazione degli handicappati, comporti anche una lesione del
fondamentale
diritto di costoro alla salute intesa quest'ultima nel significato,
proprio
dell'art. 32 della Costituzione, comprensivo anche della salute
psichica
la cui tutela deve essere di grado pari a quello della salute
fisica.
8.
- Avverso l'affermata incostituzionalità della norma denunciata,
non vale opporre, come fa l'Avvocatura, che l'accessibilità propria
degli edifici abitativi farebbe riferimento alla persona dei
proprietari
più che ad una qualitas dei fondi, cosicché difetterebbe,
nella specie, il carattere della predialità, proprio delle servitù.
Si è già visto, infatti, che la legislazione in tema di eliminazione
delle barriere architettoniche ha configurato la possibilità di
agevole accesso agli immobili, anche da parte di persone con ridotta
capacità
motoria, come requisito oggettivo quanto essenziale degli edifici
privati
di nuova costruzione, a prescindere dalla loro concreta appartenenza a
soggetti portatori di handicap. Mentre dottrina e giurisprudenza hanno,
per altro verso, chiarito come la predialità non sia certo
incompatibile
con una nozione di utilitas che abbia riguardo - specie per gli edifici
di civile abitazione - alle condizioni di vita dell'uomo in un
determinato
contesto storico e sociale, purché detta utilitas sia inerente al
bene così da potersi trasmettere ad ogni successivo proprietario
del fondo dominante.
Né, d'altronde, la previsione della servitù in parola
può trovare ostacolo nella garanzia accordata al diritto di proprietà
dall'art. 42 della Costituzione. Come osservato dal rimettente,
infatti,
il peso che in tal modo si viene ad imporre sul fondo altrui può
senz'altro ricomprendersi tra quei limiti della proprietà privata
determinati dalla legge, ai sensi della citata norma costituzionale,
allo
scopo di assicurarne la funzione sociale.
Per
questi motivi la Corte Costituzionale
dichiara
l'illegittimità costituzionale dell'art. 1052, secondo
comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede che il
passaggio
coattivo di cui al primo comma possa essere concesso dall'autorità
giudiziaria quando questa riconosca che la domanda risponde alle
esigenze
di accessibilità - di cui alla legislazione relativa ai portatori
di handicap - degli edifici destinati ad uso abitativo.
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