La
leggenda di Teodorico
Su 'l
castello di Verona
batte
il sole a mezzogiorno,
da
la Chiusa al pian rintrona
solitario
un suon di corno,
mormorando
per l'aprico
verde
il grande Adige va;
ed
il re Teodorico
vecchio
e triste al bagno sta.
Pensa
il dí che a Tulna ei venne
di
Crimilde nel conspetto
e il
cozzar di mille antenne
ne
la sala del banchetto,
quando
il ferro d'Ildebrando
su
la donna si calò
e dal
funere nefando
egli
solo ritornò.
Guarda
il sole sfolgorante
e il
chiaro Adige che corre,
guarda
un falco roteante
sovra
i merli de la torre;
guarda
i monti da cui scese
la
sua forte gioventú,
ed
il bel verde paese
che
da lui conquiso fu.
Il gridar
d'un damigello
risonò
fuor de la chiostra:
— Sire,
un cervo mai sí bello
non
si vide a l'età nostra.
egli
ha i pié d'acciaro a smalto,
ha
le corna tutte d'òr.
— Fuor
de l'acque diede un salto
il
vegliardo cacciator.
— I
miei cani, il mio morello,
il
mio spiedo — egli chiedea;
e il
lenzuol quasi un mantello
a le
membra si avvolgea.
i donzelli
ivano. In tanto
il
bel cervo disparí,
e d'un
tratto al re da canto
un
corsier nero nitrí.
Nero
come un corbo vecchio,
e ne
gli occhi avea carboni.
era
pronto l'apparecchio,
ed
il re balzò in arcioni.
Ma
i suoi veltri ebber timore
e si
misero a guair,
e guardarono
il signore
e no
'l vollero seguir.
In quel
mezzo il caval nero
spiccò
via come uno strale
e lontan
d'ogni sentiero
ora
scende e ora sale:
via
e via e via e via,
valli
e monti esso varcò.
Il
re scendere vorría,
ma
staccar non se ne può.
Il più
vecchio ed il più fido
lo
seguía de' suoi scudieri,
e mettea
d'angoscia un grido
per
gl'incogniti sentieri:
— O
gentil re de gli Amali,
ti
seguii ne' tuoi be' dí,
ti
seguii tra lance e strali,
ma
non corsi mai cosí.
Teodorico
di Verona,
dove
vai tanto di fretta?
tornerem,
sacra corona,
a la
casa che ci aspetta? —
— Mala
bestia è questa mia,
mal
cavallo mi toccò:
sol
la Vergine Maria
sa
quand'io ritornerò. —
Altre
cure su nel cielo
ha
la Vergine Maria:
sotto
il grande azzurro velo
Ella
i martiri covría,
Ella
i martiri accoglieva
de
la patria e de la fé;
e terribile
scendeva
Dio
su 'l capo al goto re.
Via
e via su balzi e grotte
va
il cavallo al fren ribelle:
ei
s'immerge ne la notte,
ei
s'aderge in vèr' le stelle.
Ecco,
il dorso d'Appennino
fra
le tenebre scompar,
e nel
pallido mattino
mugghia
a basso il tosco mar.
Ecco
Lipari, la reggia
di
Vulcano ardua che fuma
e tra
i bòmbiti lampeggia
de
l'ardor che la consuma:
quivi
giunto il caval nero
contro
il ciel forte springò
annitrendo;
e il cavaliero
nel
cratere inabissò.
Ma dal
calabro confine
che
mai sorge in vetta al monte?
non
è il sole, è un bianco crine;
non
è il sole, è un'ampia fronte
sanguinosa,
in un sorriso
di
martirio e di splendor:
di
Boezio è il santo viso,
del
romano senator.
(Giosuè Carducci 19° secolo) |