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La vita solitaria
 
Torna la luna alla quale il poeta parla come ad una confidente: il tema della solitudine non può che portare a personificare le cose (come in altre poesie e non solo del Leopardi). La descrizione delle situazioni è, come sempre, precisa, romantica, dolce, ricca di sentimento: espressiva aldilà dei concetti trattati (come deve essere l'opera d'arte).
 
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 La vita solitaria 

La mattutina pioggia, allor che l'ale 
Battendo esulta nella chiusa stanza 
La gallinella, ed al balcon s'affaccia 
L'abitator de' campi, e il Sol che nasce 
I suoi tremuli rai fra le cadenti 
Stille saetta, alla capanna mia 
Dolcemente picchiando, mi risveglia; 
E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo 
Degli augelli susurro, e l'aura fresca, 
E le ridenti piagge benedico: 
Poiché voi, cittadine infauste mura, 
Vidi e conobbi assai, là dove segue 
Odio al dolor compagno; e doloroso 
Io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna 
Benché scarsa pietà pur mi dimostra 
Natura in questi lochi, un giorno oh quanto 
Verso me più cortese! E tu pur volgi 
Dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando 
Le sciagure e gli affanni, alla reina 
Felicità servi, o natura. In cielo, 
In terra amico agl'infelici alcuno 
E rifugio non resta altro che il ferro. 
Talor m'assido in solitaria parte, 
Sovra un rialto, al margine d'un lago 
Di taciturne piante incoronato. 
Ivi, quando il meriggio in ciel si volve, 
La sua tranquilla imago il Sol dipinge, 
Ed erba o foglia non si crolla al vento, 
E non onda incresparsi, e non cicala 
Strider, né batter penna augello in ramo, 
Né farfalla ronzar, né voce o moto 
Da presso né da lunge odi né vedi. 
Tien quelle rive altissima quiete; 
Ond'io quasi me stesso e il mondo obblio 
Sedendo immoto; e già mi par che sciolte 
Giaccian le membra mie, né spirto o senso 
Più le commova, e lor quiete antica 
Co' silenzi del loco si confonda. 
Amore, amore, assai lungi volasti 
Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno, 
Anzi rovente. Con sua fredda mano 
Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto 
Nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo 
Che mi scendesti in seno. Era quel dolce 
E irrevocabil tempo, allor che s'apre 
Al guardo giovanil questa infelice 
Scena del mondo, e gli sorride in vista 
Di paradiso. Al garzoncello il core 
Di vergine speranza e di desio 
Balza nel petto; e già s'accinge all'opra 
Di questa vita come a danza o gioco 
Il misero mortal. Ma non sì tosto, 
Amor, di te m'accorsi, e il viver mio 
Fortuna avea già rotto, ed a questi occhi 
Non altro convenia che il pianger sempre. 
Pur se talvolta per le piagge apriche, 
Su la tacita aurora o quando al sole 
Brillano i tetti e i poggi e le campagne, 
Scontro di vaga donzelletta il viso; 
O qualor nella placida quiete 
D'estiva notte, il vagabondo passo 
Di rincontro alle ville soffermando, 
L'erma terra contemplo, e di fanciulla 
Che all'opre di sua man la notte aggiunge 
Odo sonar nelle romite stanze 
L'arguto canto; a palpitar si move 
Questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna 
Tosto al ferreo sopor; ch'è fatto estrano 
Ogni moto soave al petto mio. 
O cara luna, al cui tranquillo raggio 
Danzan le lepri nelle selve; e duolsi 
Alla mattina il cacciator, che trova 
L'orme intricate e false, e dai covili 
Error vario lo svia; salve, o benigna 
Delle notti reina. Infesto scende 
Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro 
A deserti edifici, in su l'acciaro 
Del pallido ladron ch'a teso orecchio 
Il fragor delle rote e de' cavalli 
Da lungi osserva o il calpestio de' piedi 
Su la tacita via; poscia improvviso 
Col suon dell'armi e con la rauca voce 
E col funereo ceffo il core agghiaccia 
Al passegger, cui semivivo e nudo 
Lascia in breve tra' sassi. Infesto occorre 
Per le contrade cittadine il bianco 
Tuo lume al drudo vil, che degli alberghi 
Va radendo le mura e la secreta 
Ombra seguendo, e resta, e si spaura 
Delle ardenti lucerne e degli aperti 
Balconi. Infesto alle malvage menti, 
A me sempre benigno il tuo cospetto 
Sarà per queste piagge, ove non altro 
Che lieti colli e spaziosi campi 
M'apri alla vista. Ed ancor io soleva, 
Bench'innocente io fossi, il tuo vezzoso 
Raggio accusar negli abitati lochi, 
Quand'ei m'offriva al guardo umano, e quando 
Scopriva umani aspetti al guardo mio. 
Or sempre loderollo, o ch'io ti miri 
Veleggiar tra le nubi, o che serena 
Dominatrice dell'etereo campo, 
Questa flebil riguardi umana sede. 
Me spesso rivedrai solingo e muto 
Errar pe' boschi e per le verdi rive, 
O seder sovra l'erbe, assai contento 
Se core e lena a sospirar m'avanza. 

(Giacomo Leopardi 19° secolo)