|
Quando il contratto tra un professionista
e la pubblica amministrazione non è corretto, ossia non ha la forma
scritta di una convenzione, per cui non basta la sola delibera d'incarico,
allora sorge il problema del pagamento degli onorari. Se l'ente riconosce
il debito non sussistono problemi. Ma quando sorge un contenzioso e bisogna
dimostrare, da parte del professionista, di aver lavorato in buona fede,
allora è molto facile che si perda la causa per il pagamento della
parcella.
La legge prevede, in questi casi, mediante l'art.2041 del c.c. che si possa ricorrere contro l'illecito o indebito arricchimento, (chiamato anche arricchimento senza causa), dell'altra parte. E ottenere un indennizzo che non sarà un compenso come previsto in tariffa professionale ma comunque un pagamento per il lavoro svolto. L'articolo successivo (2042) dice che si può ricorrere in base a tale norma solo quando non sia possibile altra azione. Ossia vi è un carattere di sussidiarietà: che equivale a dire prima bisogna ottenere una risposta negativa di essere compensato secondo l'onorario e poi si può agire nel modo.
L'indennizzo deve riguardare il tempo, le spese ed eventuali paghe ad aiutanti, ma non il guadagno oltre tutto ciò. Meno, allora, di un calcolo secondo tariffa. Bene è però sottolineare che l’indennizzo previsto dall’art. 2041 c.c. è configurato dalla giurisprudenza quale debito di valore e non di valuta (Cass., 6 febbraio 1998 n. 1287). Da ciò si deduce che sono applicabili sulle somme da versare sia gli interessi anche la rivalutazione monetaria. Naturalmente
non bisogna attendere oltre i dieci anni per non vedere prescritto il credito
e la possibilità di impostare una causa.
L'azione legale ha una sua validità se la pubblica amministrazione ha riconosciuto in qualche modo l'utilità del lavoro del professionista. Ossia se abbia almeno approvato il progetto, se si tratta di un tecnico, o i documenti presentati. Diversamente si resta all'asciutto. |
|