(Prime pagine del romanzo,
come inviate dall'autore)
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Capitolo 1 –
L’incredibile processo
La sentenza
sarebbe stata emessa da lì a poco e anche se lo sguardo del giudice del
tribunale penale di Castrovillari lasciava intendere una sorta di
comprensione
nei confronti di quel gruppetto di artisti accusati di calunnia
aggravata,
questi non si aspettavano un’impossibile clemenza, soprattutto dopo che
i loro
tre avvocati avevano sottolineato che quel tipo di reato, comportava
alcuni
mesi di prigione, anche se una buona parte sarebbero stati condonati,
visto che
tutti erano incensurati.
I tredici
accusati, più colui che era stato il loro impresario artistico, si
trovavano
davanti a un giudice del tribunale penale di Castrovillari dopo aver
subito
tutte le indagini preliminari a Roma e a Cosenza, a causa di infrazioni
gravi
al codice penale italiano commesse nell’ambito dello spettacolo
itinerante che
faceva da cornice all’artista attrazione che era Guido Renzi.
L’incredulità
e lo stupore apparivano evidentissimi negli occhi di tutti tranne forse
in
quelli di quest’ultimo e non tanto perché non ne fosse altrettanto
stupito, ma
perché in quel momento sembrava distratto, lontano col pensiero, come
se stesse
rivivendo quei burrascosi avvenimenti attraverso un film velocissimo
che
ritornava immancabilmente a quell’incredibile situazione che aveva
visto i
tredici artisti passare da accusatori ad accusati, in attesa di un
ineluttabile
verdetto che comunque avrebbe potuto imprigionarli per dei lunghi,
terribili e
ingiusti mesi.
Come
lui,
anche tutti gli accusati stavano provando un sentimento di smarrimento
oltre
che di profonda preoccupazione, poiché quello che la logica faceva
presagire,
non lasciava molti dubbi. Tutti avrebbero subito una condanna penale.
Forse
per
tale terribile realtà quel piccolo gruppo di artisti sembrava
allucinato,
assente, lontano nel tempo e nei ricordi, e ognuno, contemporaneamente
e nello
spazio di pochi secondi, stava pensando al perché si trovava in quel
tribunale
rivivendo le tappe cruciali che lo avevano portato a far parte del
gruppo
artistico di Guido e in conseguenza nel tribunale penale di
Castrovillari.
Guido
era
stato un cantante che aveva conosciuto una buona popolarità qualche
anno prima,
ma non ci aveva mai creduto profondamente e ne era ancora stupito. Non
che non
gli piacesse la popolarità con tutto ciò che essa comporta, ma riteneva
esagerati sia i suoi ammiratori che tutti gli invasati del divismo e
ora che il
verdetto di condanna quasi certa si avvicinava, sentiva ancora di più
il peso
di essere un artista che come tale è una sorta di proprietà pubblica,
un
individuo che a causa della popolarità, diventa automaticamente
responsabile,
quasi come un politico che, pur restando un uomo fra i tanti, è stato
eletto,
scelto a prendere decisioni a nome di tutti e anche a subirne le
conseguenze
dirette in prima persona.
La
mattina del diciotto luglio millenovecentosettantacinque, alle sei del
mattino,
due pulmini carichi di strumenti musicali e di artisti di vario genere
partivano alla volta di una località in provincia di Cosenza per
rappresentare
uno spettacolo nella piazza di un paesino sconosciuto a tutta quella
compagnia.
Guido
doveva essere l’attrazione di quella serata. L’attesa da parte del
pubblico per
ascoltare certe sue canzoni era sempre stata notevole poiché in
generale il
pubblico lo ammirava in maniera evidente e anche i suoi colleghi ne
avevano una
grande considerazione.
Il
viaggio si presentava lungo e faticoso. Svegliarsi alle cinque del
mattino, per
poi percorrere circa quattrocento chilometri dentro un pulmino, con
l’afa
asfissiante dell’estate, non sarebbe stato piacevole, ma quando si è
giovani e
artisti tutto appare bello, soprattutto per quelli che avevano
consolidato una
sorta di relazione amorosa all’interno del gruppo all’inizio della
stagione
estiva degli spettacoli, quando questi tipi di compagnie si formano.
Tutti
sapevano comunque che con la fine degli spettacoli, quelle relazioni
sarebbero
finite.
Anche
Alberto e Gloria lo sapevano, ma per loro era diverso. Loro erano in
coppia sia
nello spettacolo che nella vita privata da oltre trent’anni e tutti e
due
avevano deciso di concludere la loro carriera alla fine di quella
stagione.
Si
sarebbero ritirati nella loro casetta al mare per godere un po’ della
vita e
dei loro nipotini che non avevano troppe occasioni di coccolare in
quanto, come
moltissimi artisti del vecchio avanspettacolo, lavoravano tutto l’anno;
in
autunno e in inverno in teatro e durante l’estate, in gruppi musicali
come
quello formata dall’impresario di Guido.
Seppure
apparentemente sereno, nonostante aspettasse di conoscere il verdetto
che il
giudice avrebbe emesso ben presto, Alberto tornò indietro nel tempo per
qualche
istante e rivisse alcuni momenti culminanti della sua carriera. Da
giovanissimo
era stato uno dei primi ballerini italiani di tip tap, quando, dopo la
guerra
gli americani e il sogno americano avevano affascinato i giovani di
tutto il
mondo. L’Italia usciva da una guerra disastrosa e in tutti c’era tanta
voglia
di cambiare di divertirsi, di vivere e Alberto si era lasciato
affascinare dal
“mondo americano” dalla sua frenesia, le sue follie, la sua musica, dai
balli e
soprattutto dal tip tap. In breve ne era diventato un autentico
specialista.
Fu
appunto durante una sua magnifica esibizione che conobbe la compagna
della sua
vita.
Gloria si
affacciava allo spettacolo timidamente, era graziosa ma le mancava
oltre che l’esperienza,
anche quella grinta istrionica indispensabile a un artista della scena,
quella
grinta che Alberto possedeva in abbondanza e che gli permetteva di
essere
acclamato dal pubblico. Gloria era diversa da tutte le altre aspiranti
dive. Un
autentico pesce fuor d’acqua.
Riservata,
gelosa della propria vita privata non aveva praticamente nulla per
ambire a
diventare una stella della canzone, a parte un bell’aspetto e una voce
intonata
e quella sera, accompagnata dal suo vecchio maestro di canto e con una
partitura
musicale che le sue mani nervose stavano strapazzando, poteva essere la
sua
grande occasione di farsi notare e chissà, col tempo, di diventare una
professionista.
Il
presentatore, un piccolo guitto che aveva prestato la sua
collaborazione
artistica in tutta Italia senza infamia e senza lode, avrebbe
annunciato il suo
nome al tumultuoso pubblico dell’Ambra Jovinelli, un vecchio cinema
varietà nei
dintorni della stazione Termini di Roma.
Gloria
aveva le gambe molli e la sua partitura musicale rischiava di non
essere
leggibile tanto l’aveva maltrattata.
Che cosa
non avrebbe fatto per ritornare a casa con un contratto, anche di solo
qualche
settimana. La cosa le avrebbe procurato un po’ di soldi che avrebbero
alleviato
la miseria della sua famiglia da quando una paralisi aveva privato suo
padre
sia della capacità di parlare che di quella deambulatoria.
L’artista
che la precedeva sul palcoscenico era quasi giunta alla fine della sua
esibizione. Anche lei era giovane come Gloria e si stava meritando
l’ammirazione
di un folto gruppo di giovani militari che forse ne ammiravano più le
belle
gambe lunghe e vellutate, piuttosto che le sue doti di ballerina.
Quanto al
ragazzo che ballava il rock con lei, sarebbe passato certamente
inosservato se
non fosse stato il fortunato compagno che poteva prendere fra le mani
quel
corpo giovane e attraente.
Gloria
non riusciva a capire quei ragazzi scalmanati. Per lei l’arte era sacra
e non
aveva alcuna relazione con i sensi e ora che il suo momento stava
arrivando,
era imbarazzata al solo pensiero di come quel pubblico fosse tanto
diverso e
lontano da quello che aveva lungamente sognato.
Forse fu
anche a causa di questi suoi preconcetti che la sua esibizione fu un
mezzo
fiasco. E forse fu il suo viso intelligente e pieno di personalità che
la
salvarono da commenti volgari che spesso dovevano subire taluni artisti
dell’avanspettacolo.
Sta di fatto che guadagnò solo qualche applauso di commiato col quale
quel suo
primo pubblico la congedava.
Quei
pochi secondi furono lunghissimi per Gloria che guardava la platea
chiaramente
indispettita. I suoi sogni lungamente cullati erano crollati.
Non
avrebbe certamente avuto un’altra occasione dato che questa era stata
ottenuta
grazie all’insistenza del suo vecchio maestro di canto che aveva
esercitato una
certa pressione sullo impresario teatrale approfittando della loro
trentennale
amicizia e spinto dal dovere di insistere per giustificare in parte i
soldi
spesi a costo di enormi sacrifici dalla mamma di Gloria per pagargli le
lezioni
di canto.
L’aria
profondamente delusa di Gloria non era sfuggita agli occhi di Alberto
che era
rimasto affascinato da quello sguardo tanto carico di una dignità che
non si
piegava. Avrebbe voluto parlarle, sentiva che avrebbe voluto averla tra
le
braccia per consolarla, ma dopo qualche convenevole con l’aggiunta di
auguri
per la prossima volta, il presentatore che l’aveva liquidata, stava già
annunciando
con enfasi il suo nome.
Il tempo
di sistemare bene le speciali scarpette da tip tap e Alberto era già in
scena,
accolto da quel calore che Gloria aveva sognato per mesi.
L’esibizione
di Alberto stava avendo il consueto successo, soprattutto perché da
vero
istrione della scena, alternava alla velocità e alla precisione dei
suoi
movimenti, dei numeri di acrobazia che gli permettevano di continuare a
scandire i suoi colpi di taccopunta.
Proprio
subito dopo un tale volteggio, il rumoroso pubblico aveva applaudito
freneticamente e qualcuno aveva perfino fischiato all’americana,
scuotendo
Gloria che era rimasta in un angolo assorta nei suoi pensieri.
Tale
frastuono l’aveva riportata alla realtà e in quel momento, dopo
l’ennesima
acrobazia e il conseguente rumoroso consenso del pubblico, Alberto
concludeva
la sua esibizione.
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