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Vetrina di narrativa: Africa e non più nulla di Giorgio Bonfatti

(Scheda inviata dall'autore)

Presentazione opera:

Sinossi, sguardo d’insieme

(…) Un viaggio nella selvaggia Africa, iniziato come un gioco tra amici per poi divenire un vero e proprio viaggio all’interno di se stessi.
Giorgio è un giovane uomo alla ricerca dell’avventura, ma certamente non si aspettava di imbattersi nell’avventura più difficile, coinvolgente e struggente che esista: l’amore per Haziza.
Si troverà a vivere un amore travolgente e una passione che culminerà purtroppo nell’epilogo meno sperato:nella separazione. Gli anni passano, la vita continua… e a fare da sfondo alla nuova realtà di Giorgio… il ricordo vivo di quella donna tanto amata, che niente e nessuno potrà cancellare. (…)

Quando avventura e amore si fondono assieme. L'amore impossibile per una donna impossibile in una terra altrettanto impossibile. "Impossibile" è il comune denominatore di questa storia, l'impossibile affrontato con l'irruenza e l'incoscienza dei miei trent’anni.
Questa autobiografia narra di un raid sahariano 4x4 in terra d'Africa nei mitici anni '80; doveva durare un mese, per me durò quattro anni, quattro anni di avventure e delusioni, quattro anni di sabbia, sole e sete, quattro anni della mia esistenza consumati sulle piste sahariane alla ricerca di un amore perduto e non più ritrovato, custode di un segreto mai rivelato.
Divenne il raid della mia vita.

>Titolo: Africa e non più nulla
>Tipologia: Narrativa autobiografica
>Adatto a: Adulti
>Genere: Avventuroso – Sentimentale in IV Parti 

Indice
-L’idea, il viaggio
-Haziza
-La promessa
-Incontri

Pagg. 144

In vendita online a € 19,96 sul sito www.lulu.com                 
Per info o contatti: 
bonfatti.giorgio.alfonso@gmail.com                                                   

Le prime pagine della prima parte:

Persi (AL) , inverno 1982
Poteva essere un qualsiasi sabato sera, ma non fu così.
Il “trio lescano”, così soprannominati dai locali di Persi, io, Fausto e Luciana, eravamo agli sgoccioli di una truculenta cena attorno al caminetto nella villa dei miei nonni materni, l'odore acre e pungente della legna che allegra crepitava si diffondeva nel salone accompagnato dal delizioso aroma di bistecche alla brace fatte da Lù.
Eravamo accaldati non tanto per le calorie sviluppate dal fuoco, ma dall'accesa discussione in atto.
Era partita la Parigi - Dakar e ne stavamo discutendo i risultati, ognuno di noi diceva la sua da bravi fuori stradisti praticanti e convinti, quando io esordii, forse in preda ai fumi della troppa birra:
>Fausto, perché non prepariamo la jeep e andiamo in Africa?<
La frase rimase scolpita a mezz'aria, un mutismo innaturale attorno a noi, Fausto ruppe il silenzio:
>Che cazzo dici?<
Le labbra di Lù rimasero inchiodate in una frase che mai uscì.
>Potremmo provare, un giro facile, magari in Marocco che è vicino< ripetei io.
Aria tesa.
Mai più dimenticherò l'espressione tra il drogato e lo sgomento dei miei amici, e sì che li conoscevo da anni.
Erano preoccupati, nel mare di cazzate che sparavo a raffica nei nostri incontri di fine settimana alcol-culinari, capivano che parlavo seriamente.
>Sì, un giro breve, per provare... <, affermai, ma non terminai la frase.
Mi aggredirono, entusiasti e pazzi, Lù e Fausto approvarono all'unisono.
Che amici! Una valanga di come e quando mi sommerse, il resto della serata passò, tra birra e grappa, nello stilare un programma di massima e stabilire i propri compiti. 
Erano le due passate della notte, Fausto doveva tornare a casa e fuori nevicava forte, l'impegno di rivederci il mattino seguente per l'aperitivo, pranzare assieme e discutere del “misfatto” fu tassativo.
Restammo io e Lù, l'eccitazione era altissima, si fece sesso in modo speciale, rabbioso, dando il meglio di noi stessi, i nostri corpi godevano lussuriosi, già nella nostra linfa scorreva la sabbia del deserto.
Lei si addormentò profondamente, io eccitato non prendevo sonno, nudo, andai alla finestra, nevicava ancora più forte di prima, una vera tormenta, mi versai un mezzo bicchiere di Jack Daniels assaporandolo lungamente con voluttuosità, l'occhio andò alla mia “piccola” che sonnecchiava nel viale sommerso dalla neve. 
Non sapeva cosa la attendeva. 
Socchiusi gli occhi ed ero in Africa.
Era fatta cazzo e ancora stracazzo, io Jones, il ”dakariano” (così mi chiamavano perché rompevo i coglioni a tutti con Dakar), forse a Dakar non arriverò mai, ma sì, mettevo i piedi in Africa. 
Il grande Sahara mi, anzi, ci aspettava.
Quella domenica fredda e nevosa fu elettrizzante, gli aperitivi svolsero a dovere il loro compito, preparando lo stomaco per una favolosa polenta in salmì e cinghiale. 
Restammo al ristorante Ridella a lungo, bevendo grappa e discutendo del viaggio mentre orecchie indiscrete captavano le nostre voci eccitate. 
A Persi, il viaggio in Africa del “trio lescano” stava diventando leggenda. 
Eravamo appena all'inizio.
Le mansioni, di comune accordo furono così ripartite: Fausto, preparazione, allestimento e controllo meccanico generale della jeep.
Lù, rifornimenti e amministrazione.
Io, pianificazione logistica del viaggio. 
La parte mia e di Luciana fu relativamente semplice, rispetto a Fausto, che da solo dovette allestire tutta la jeep, ma questo merita un discorso a parte.
La raccolta dati sul Marocco iniziò col comprare le più disparate guide turistiche, ben fatte e ricche d'informazioni se ti limitavi ai centri turistici da sempre blasonati, tipo Agadir e Casablanca, ma poco o nulla sul profondo sud, sulle regioni sahariane e le sue piste, proprio i luoghi che interessavano a noi.
Decisi così di provvedere diversamente, interpellando il consolato di competenza, ottenendo buone informazioni, anche se non rapidissime, e la lieta notizia che non serviva il visto d'entrata sul
passaporto fece tirare un profondo sospiro di sollievo a tutti noi.
Eravamo già alla fine d'aprile, la partenza prevista per i primi d'agosto incalzava, ma non era facile procurarsi tutto l'occorrente, vista anche la nostra inesperienza.
Difficile e problematica la scelta delle gomme, quale usare?
Dovevamo affrontare un lungo trasferimento via strada tra Francia e Spagna, fino ad Algeciras porto d'imbarco, per sbarcare a Ceuta in Marocco, quindi oltre duemila km d'asfalto, impensabile farlo con gomme artigliate da fuoristrada, pena un'usura precoce, rendendole inservibili una volta giunti a destinazione.
La dritta sulla scelta me la diede “Cavallari Gomme”, noto gommista di Genova, montandomi quattro BF Goodrich All Terrain, coperture mediamente tassellate per uso stradale e off-road non estremo. 
Mai scelta fu più felice, si rivelarono ottime e longeve su ogni tipo di terreno, delle vere gomme da raid.
Sempre sotto consiglio di Cavallari montai quattro cerchi a canale allargato per ospitare le BF e l'opera fu compiuta.
Nel frattempo dal”Safari Market” di Milano arrivarono la *“binda”, due *slitte da sabbia corte in alluminio, dieci taniche da venti litri per carburante e due contenitori da quaranta litri, sempre d'alluminio, per alimenti liquidi.
Le conoscenze di Lù all’Ospedale S. Martino di Genova si rivelarono particolarmente utili.
Medicinali di vario tipo, ad ampio spettro d'applicazione e disinfettante per l'acqua nonchè una profilassi antimalarica, furono mirati e insostituibili nel viaggio.
Sempre sotto consiglio medico, scartammo tutti gli alimenti in scatola che non fossero rigorosamente sott'olio, per evitare il pericolo del *”botulismo”, quindi semaforo verde per tonno, sarde, acciughe, sottaceti, pacchi di spaghetti e minestre liofilizzate, fette biscottate, gallette Santa Maria, olio, zucchero, sale, caffè e un'immancabile scorta di J&B per un viaggio che sarebbe durato circa un mese. 
Fausto lavorò alacremente sulla 4x4 e fece un'opera degna di lui. 
La *bagagliera, rigorosamente artigianale, svettava sul tetto della jeep come una torretta d'avvistamento.
Nera, in tondino quadro e lunga quanto il tetto, fissata alla cornice da quattro robusti piedi per lato e sormontata dal cassone posteriore porta attrezzi, terminava con la scaletta d'accesso al tetto.
Sull'anteriore della stessa, montati a sbalzo, facevano capolino quattro *Cibiè alogeni da cento watt ciascuno, capaci di bucare la notte più buia.
Semplicemente fantastica.
Ma l'opera magna fu il *bullbar anteriore, costruito con tubi Dalmine per ponteggi da cinque cm. di diametro.
Esagerato. 
Seguiva il profilo della vettura, dal paraurti al cofano, proteggendo fanaleria e radiatore con una barra sporgente a mo' di rostro di oltre quindici cm., solidissimo, era saldato allo chassis tramite piastre altrettanto mastodontiche.
L'impatto visivo della jeep fu sbalordente, un misto fra carro armato sfonda tutto e un rompighiaccio, questa volta Fausto aveva veramente superato se stesso! 
Mai visto niente di simile, manco sulle riviste specializzate del settore. 
“Ronfolona”, così chiamavo il mio fedele fuoristrada, per il pulsare rotondo e pieno dei sei cilindri a V da 3.500 cc. a benzina, marca “Jeep Cheeroke Chef”, cambio automatico con blocchi a entrambi i ponti. 
Un incrocio tra camion medio e un'enorme station wagon da oltre centosettanta cavalli di potenza. 
Eravamo a metà giugno, Ronfolona totalmente assemblata era pronta per il collaudo finale.
Quale terreno migliore se non il letto del fiume Borbera per il nostro test: ciottoli piccoli e grandi, gradini e guadi naturali si alternavano in uno scenario a me caro, da sempre, di quest'immenso canyon che si snodava lungo la Val Borbera. 
Positivo al cento per cento, lei si comporta benissimo, sale, scende, si arrampica con agilità in punti impervi, corre veloce sul letto del fiume come se fosse in autostrada, nessun tremolio o cedimento alle sovrastrutture aggiunte.
Siamo tutti al settimo cielo e dire gasati è poco.

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