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Scrivere: non penso che sia totalmente pazzo, quanto allora e chi?


Non penso che sia totalmente pazzo
Una frase che si sente spesso pronunciare, anche da chi dovrebbe avere una certa misura delle parole e della composizione verbale del linguaggio, è la seguente:

"Non penso che sia totalmente pazzo."

Ma se ne potrebbero aggiungere molte altre dello stesso tenore, ossia con equivoci che, come vedremo, sono assolutamente da evitare se si scrive per pubblicare un libro.
In primo luogo la persona. Chi sarebbe totalmente pazzo? Io che parlo o lui di cui si parla? Se non esiste un chiaro contesto, o se non sia deducibile apertamente il personaggio, è meglio indicare chi.
Poi il resto che riguarda la logica. Se penso che non sia totalmente pazzo, posso far dedurre a chi ascolta che, ammettiamo che si parli di una terza persona, quella possa essere pazza a metà, non del tutto. Difatti non lo è completamente.
Ma potrebbe anche significare che non è per niente pazza. Sempre la terza persona di cui si tratta.
Quale la verità? Ma perché mai bisogna lasciare all'ascoltatore o al lettore una simile incombenza quando esiste un modo molto più chiaro di parlare e scrivere?

"Penso che lui non sia affatto pazzo."

E' una frase molto più corta, meno preoccupante, semplice e per niente difficile da capire. E allora che si usi una simile espressione quando si scrive per un manoscritto da pubblicare e da far diventare libro. Le parti oscure dell'autore fanno lavorare molto di più l'editore e la sua squadra per capire i pensieri inespressi di chi dovrebbe amare la lingua italiana.
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