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Scrivere: i possessivi, l'appartenenza


Gli aggettivi e i pronomi possessivi ma senza possesso
Chi si accinge a scrivere un libro si trova di fronte a una infinità di regole ma anche di problemi del linguaggio. Spesso si generano equivoci e confusioni oppure si comunicano idee e pensieri errati o, perlomeno, non corrispondenti a quello che ha in mente lo stesso autore.
Analizziamo il caso dei possessivi, siano essi aggettivi o pronomi. L'italiano, per tali elementi del discorso, si riferisce al "possesso", un termine che nella giurisprudenza esprime un concetto ben chiaro e a esso ci dobbiamo allineare momentaneamente per capirci.
Ecco che dice il codice civile:
"Art. 1140 - Possesso.
Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale.
Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa."
Si dirà: ma che cosa c'entra?
Dal punto di vista letterario, però, abbiamo due diversi sensi attribuibili indifferentemente allo stesso termine "possesso". Ossia:
  • Il potere effettivo connesso alla ‘disponibilità’, ma non necessariamente alla ‘proprietà’ di un bene;
  • il dominio o padronanza relativamente a una disponibilità.
Dunque esiste la cosiddetta disponibilità o la proprietà. Con disponibilità possiamo intendere l'appartenenza. Per esempio "Il mio paese di origine", non significa che è mio come proprietario ma solamente come riferimento alla nascita.
Non si tratta di una sciocchezza perché spesso si sente dire dai genitori che si siano lasciati: "mio figlio" quasi che si fosse proprietari(?) escludendo l'altro coniuge.
Dopo questa breve premessa vediamo alcuni esempi chiarificatori.

Possessivi come appartenenza e come possesso
"Giacomo, quando studiò in collegio per otto lunghi anni, aveva il suo tavolo ben separato da quello degli altri, come gli era stato concesso dal vicerettore."
Che significa? Il tavolo era di Giacomo perché era particolare e lo aveva portato da casa sua, cioè il tavolo era di proprietà di Giacomo? E che cosa aveva concesso il vicerettore, di avere un tavolo separato o proprio un tavolo diverso o un tavolo portato dall'esterno?

Modifichiamo il periodo per renderlo più adatto alla situazione e meno equivoco:
"Giacomo, quando studiò in collegio per otto lunghi anni, aveva il tavolo che gli era stato assegnato dal vicerettore ben separato da quello degli altri."
Dunque il tavolo era del collegio e apparteneva a Giacomo solo per gli anni del collegio.

Esaminiamo un altro caso:
"Nel momento stesso in cui Gianni si sedette sulla sua poltrona, poté ascoltare la conferenza senza fastidi."
Chi era il proprietario della poltrona? Si dovrebbe capire dal contesto, ma non sempre è così.

Pertanto, vediamo una specificazione più chiara:
"Nel momento stesso in cui Gianni si sedette sulla poltrona che la mamma gli aveva appositamente comprato, poté ascoltare la conferenza senza fastidi."
Dunque la poltrona era di Gianni, proprietario.

Basta poco per evitare equivoci a cui il linguaggio, soprattutto secondo come si compone la frase o il periodo, spesso ci porta. Lo scrittore deve saperlo e non fidarsi del modo di dire del parlato. Se non ci fossero le riflessioni come sopra esaminate, non sarebbe necessaria alcuna operazione di revisione del testo che è affidata ad altri soggetti i quali non siano lo stesso autore.

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