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L'aggettivo possessivo mio
Per tutti coloro che usano la narrazione in prima persona bisogna valutare le insidie di una tale scelta. Certo che ha, comunque, dei vantaggi, come l'essere molto aderente alla realtà, soprattutto se si racconta ciò che è davvero accaduto. Ma costringe l'autore a fare un uso frequente di un aggettivo possessivo che, come dice, il nome, esprime possesso. Ed è questo concetto che, inconsciamente, crea fastidi negli altri. Succede nella vita di tutti i giorni e nel linguaggio parlato, dove le parole volano, figuriamoci negli scritti dove esse restano e si possono leggere quante volte si desidera. Per tale motivo si adoperi mio, o mia o miei o mie, soltanto dov'è indispensabile, preferendo altre parole per esprimere lo stesso significato. Vediamo un esempio: "Ero sul punto di cedere, lo avvertivo sentendo il mio cuore battere veloce. La paura mi aveva bloccato le gambe. Frugai nelle mie tasche alla ricerca di qualcosa che mi salvasse. La mia vita era appesa a un filo." Chi parla sono io, quindi è pleonastico aggiungere che il cuore fosse proprio il mio. Come è superfluo dire che le tasche fossero esattamente le mie. E di chi altri? Trasformiamo: "Ero sul punto di cedere. Lo avvertivo sentendo il cuore battere veloce. La paura mi aveva bloccato le gambe. Frugai nelle tasche alla ricerca di qualcosa che mi salvasse la vita che era appesa a un filo." Funziona uguale e avremo eliminato ciò che parla anche di altro, cioè di padronanza e di potere. Quasi che questo stesso potere si esercitasse, involontariamente, sul lettore. Oppure che fosse importante, nel libro, trattare di sé: non solo protagonista di una storia, quanto di autore al centro del mondo. Egoismo infantile. Ed è tutto da evitare. Qualora ti piacesse avere un esempio di romanzo, che ti aiuti nella stesura del tuo, vai a questa pagina. Se, invece, già hai un manoscritto e ti occorre un'operazione di correzione o di editing, o ti servono altri consigli, visita questi servizi. Torna all'indice di scrivere. |