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Come per le parole
anche i verbi non
terminano quasi mai con una vocale, e le coniugazioni si ottengono
modificando le sillabe intermedie o la iniziale. A tal proposito si
vedano le pagine dedicate alle tre coniugazioni con tutti i modi e i
tempi disponibili nel dialetto frosolonese.
Molte azioni sono derivate da suoni onomatopeici o da fonetiche che andrebbero riscoperte in lingue lontane nel tempo e nello spazio. Un esempio si ha con il verbo allucquà, urlare. Che, per ora, non sappiamo da dove derivi. Altri sono modifiche di differenti significati esistenti in italiani: assiett(e)t(e), siediti. Assettare, in italiano, significa mettere in ordine. La forma del passato remoto con il suffisso ett deriva dall'osco nel quale molti verbi erano costruiti, al passato, in questa maniera. Vedi le pagine sull'archeologia in cui si parla anche dell'antica lingua dei Sanniti. I verbi che in italiano indicano ripetizione di un'azione, tramite l'iniziale sillaba ri, o le sue derivate, nel dialetto assumono la sillaba iniziale ar. Ad esempio: ar(e)damm, ridammi ar(e)dimm, ridimmi ar(e)port, riporta ar(e)dirr, ridigli ar(e)scriv(e), riscrivi ar(e)fà, rifai. Molti tempi non esistono, come il futuro indicativo. E nemmeno c'è il condizionale trasformato in verbi al congiuntivo. Ad esempio: t(e) d(e)cess(e) ca sci s(e) tu m(e) pieciss(e), ti direi di sì se tu mi piacessi. Anche gli ausiliari non sempre sono uniformi nella formazione dei verbi. A volte cominciano con essere e continuano, nello stesso tempo, con avere. Ad esempio: i songh(e) fatijat(e), io ho lavorato tu sci fatijat(e), tu hai lavorato is ha fatijat(e), lui ha lavorato però esiste anche la forma i agli(e) fatijat(e), io ho lavorato. Non alla seconda persona che resta con l'ausiliare essere. Questo fatto potrebbe generare qualche inconveniente di significato nell'uso del passivo. Ma vi è da rilevare come esso sia poco usato nella forma verbale e sostituito da altri modi espressivi. Ad esempio: m'jann(e) m(e)nat(e), mi hanno menato (invece che sono stato menato che in dialetto dovrebbe avere una forma i songh(e) sctat(e) menat(e) inusuale). Molto usato, viceversa, è il riflessivo, anche oltre ciò che è normale in italiano. Ad esempio: i m(e) magn(e) lu p(e)llasctr(e) ch(e) l(e) patat(e) a lu furn(e), io mangio il pollo con le patate al forno t(e) viv(e) l(e) vin(e), bevi il vino. I verbi all'infinito hanno l'accento sull'ultima vocale, con la quale terminano anche. Esempio: pazzijà, giocare. Nella seconda coniugazione, quando il verbo deriva dall’italiano di tre sillabe con l’accento sulla prima sillaba e in dialetto è formato da due sillabe soltanto, l’accento va sulla prima sillaba. Bisogna considerare anche la seconda sillaba con la vocale finale troncata. Esempio: lègg, leggere pàsc(e), pascere. Viceversa, in tempi non molto lontani, questo modo di accentare l'infinito si usava anche per altre coniugazioni e per verbi con più di due sillabe. Esempio: v'a zapp(a), vai a zappare v'a fatìj(a), vai a lavorare. Invece che il più usato, oggi: v'a zappà e v'a fatijà. Probabilmente si è evoluta la forma accentata per diversificare il verbo dal sostantivo relativo: pigli(e) la zapp(a), prendi la zappa tèngh(e) na bella fatij(a), ho un bel lavoro. Torna all'indice del dialetto. |
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