Dialettosezione di |
Molto interessante è studiare come il
dialetto resti influenzato dai contatti con popoli e linguaggi
stranieri. Come nella storia ci siano stati delle relazioni che abbiano
inciso sulle parole, sulla costruzione della frase, sui significati.
Anche se non è qui la sede per analizzare a fondo tali cambiamenti,
pure avvenuti, si daranno alcuni spunti di partenza per una tale
indagine.
Per esempio è molto complicato risalire persino al tempo dei sanniti, ma pare che non ci debbano essere dubbi sulla parola che appare incisa sulla pietra osca ritrovata nell'attuale località della Madonna del Piano e conservata nel municipio del comune di Molise, in provincia di Campobasso. Ciò che attualmente significa il verbo pruff(e)dià, ossia ritenere di avere ragione, insistere nella propria tesi. Non traducibile meglio di così in italiano. Ebbene sulla suddetta pietra osca, risalente, quindi ad almeno duemilatrecento anni fa, è scolpita la parola prùffed, (scritto prùffer da pronunciarsi, appunto, prùffed), tradotta da alcuni con profferse, da altri con approva, oppure approvò. Ma molto più simile, appunto, all'attuale pruff(e)diatt(e) del dialetto frosolonese, (Frosolone è a pochi chilometri dal luogo del ritrovamento del reperto), verbo espresso alla terza persona dell'indicativo passato remoto. E, sempre per rimanere all'antico osco, bisogna considerare la trasformazione, rispetto all'italiano corrente, della consonante v in b. Proprio come era caratteristica dei sanniti che abitavano queste zone. Molte peculiarità si ritrovano pure nei dialetti di oggi di parti della Campania. Per esempio: B(e)cienz(o), Vincenzo ch(e) buo', che vuoi cap(e) a ball(e), capo a valle, ossia sotto. Nell'alfabeto degli osci non esistevano le due vocali a e o. Esse venivano sostituite, rispettivamente, dalla e e dalla u. E che succede nel dialetto di Frosolone? Troviamo che spesso la u si trova dove in italiano abbiamo una o. Per esempio nel verbo partito, che diventa partut(e) o nel verbo sentito, che diventa s(e)ntut(e). E la vocale e che, specie nel plurale dei nomi, sostituisce la a nella sillaba iniziale della parola. Ad esempio: lu casal(e) che diventa, al plurale l(e) chesial(e). Ossia il casale e i casali. Adesso è molto meno usato il termine crà, uguale al latino cras e che vuol significare domani. Ma molti anziani lo ricordano. Come pure p(e)scrà, ossia il latino post cras dopodomani e p(e)scrill(e), dopo dopodomani. Oppure pr(e)t(e)sen(e)r(e), in latino petroselinum. Pare inutile riferirsi direttamente, per esempio, al pronome is, lui con identico significato dallo stesso latino. Come evidente è la derivazione della parola c(e)rasc(e), cerasum, ciliegia. E ci sono le influenze derivate dalle dominazioni straniere, o dalle guerre sopportate dai popoli di questi terre. Per esempio uattill(e), gattino, oppure Ang(e)lill(e), Angelino e tutti i tali diminutivi e vezzeggiativi, derivati dallo spagnolo. Come la stessa parola m(e)sell(a), piccola tavola, sempre dallo spagnolo, dove mesa equivale proprio a tavola. E che in paese individua, nel diminutivo appena citato, il ripiano di legno con il quale si trasportavano sulla testa, una volta, le pagnotte di pane. Oppure la parola dialettale sctravis(o), da travieso, malizioso, sempre in spagnolo. Inoltre il francese e l'inglese. Esiste in dialetto la parola ruell(e), rouelle, piccola strada e con uguale significato, o musctiacc(i), moustache, baffi o buátt(e), boîte, barattolo sempre in francese. E, per esempio, il vocabolo sanguicc(e) che vuol dire panino, dall'inglese sandwich. Pure identico significato. Oppure sech(e)naenz, oggetto di infimo valore, dall'inglese second hands, di seconda mano. Infine l'arabo. Da cui deriva il termine taùt(e), bara. Che in quella lingua si dice ugualmente taut. Parola, peraltro usata in molti altri dialetti del sud, tra cui il barese e il napoletano, con alcune piccole sfumature di pronuncia. Torna all'indice del dialetto. |
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