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DEI
DELITTI
E
DELLE PENE
In rebus quibuscumque difficilioribus
non expectandum, ut quis simul, et ferat, et me.at, sed praeparatione opus
est, ut per gradus maturescant.
Bacon. Serm. Fidel. Num.
XLV.
MDCCLXIV
Introduzione
[pag. 3] Gli uomini lasciano
per lo più in abbandono i più importanti regolamenti alla
giornaliera prudenza, o alla discrezione di quelli, l'interesse de' quali
è di opporsi alle più provide Leggi, che per natura rendono
universali i vantaggi, e resistono a quello sforzo, per cui tendono a condensarsi
in pochi, riponendo da una parte il colmo della potenza e della felicità,
e dall'altra tutta la debolezza e la miseria. Perciò se non dopo
esser passati frammezzo mille errori nelle cose più essenziali alla
vita, ed alla libertà, dopo una stanchezza di soffrire i mali giunti
all'estremo, non s'inducono a rimediare ai disordini, che gli opprimono,
e a riconoscere le più palpabili verità, le quali appunto
sfuggono per la semplicità loro dalle menti volgari non avvezze
ad analizzare gli oggetti, ma a riceverne le impressioni tutte di un pezzo,
più per tradizione, che per esame.
Apriamo le storie, e vedremo,
che le Leggi, che pur sono, o dovrebbon esser patti di uomini liberi, non
sono state per lo più che lo stromento delle passioni di alcuni
pochi, o nate da una fortuita e passaggiera necessità, non già
dettate da un freddo esaminatore della natura [pag. 4] umana, che in un
sol punto concentrasse le azioni di una moltitudine di uomini, e le considerasse
in questo punto di vista =La massima felicità divisa nel maggior
numero= Felici sono quelle pochissime Nazioni, che non aspettarono, che
il lento moto delle combinazioni e vicissitudini umane facesse succedere
all'estremità de' mali un avviamento al bene, ma ne accelerarono
i passaggi intermedi con buone Leggi; e merita la gratitudine degli uomini
quel Filosofo, che ebbe il coraggio dall'oscuro e disprezzato suo gabinetto
di gettare nella moltitudine i primi semi lungamente infruttuosi delle
utili verità.
Si sono conosciute le vere
relazioni fra il Sovrano e i sudditi, e fralle diverse Nazioni; il commercio
si è animato all'aspetto delle verità Filosofiche rese comuni
colla Stampa, e si è accesa fralle Nazioni una tacita guerra d'industria
la più umana, e la più degna di uomini ragionevoli. Questi
sono frutti, che si devono alla luce di questo secolo; ma pochissimi hanno
esaminata, e combattuta la crudeltà delle pene, e l'irregolarità
delle procedure criminali, parte di legislazione così principale
e così trascurata in quasi tutta l'Europa; pochissimi rimontando
ai principj generali annientarono gli errori accumulati di più secoli,
frenando almeno, con quella sola forza, che hanno le verità conosciute,
il troppo libero corso della mal diretta potenza, che ha [pag. 5] dato
fin'ora un lungo ed autorizzato esempio di fredda atrocità. E pure
i gemiti dei deboli, sacrificati alla crudele ignoranza, ed alla ricca
indolenza; i barbari tormenti con prodiga e inutile severità moltiplicati
per delitti o non provati, o chimerici; la squallidezza e gli orrori d'una
prigione, aumentati dal più crudele carnefice dei miseri l'incertezza,
doveano scuotere quei primi Magistrati, che guidano le opinioni delle menti
umane.
L'immortale Presidente di
Montesquieu ha rapidamente scorso su di questa materia. L'indivisibile
verità mi ha forzato a seguire le tracce luminose di questo grand'Uomo,
ma gli uomini pensatori, per i quali scrivo, sapranno distinguere i miei
passi dai suoi. Me fortunato, se potrò ottenere, com'esso, i segreti
ringraziamenti degli oscuri e pacifici seguaci della ragione, e se potrò
inspirare quel dolce fremito, con cui le anime sensibili rispondono a chi
sostiene gl'interessi della umanità.
Origine delle Pene
Le Leggi sono le condizioni,
colle quali uomini liberi, ed isolati di questo globo si unirono in società,
stanchi di vivere in un continuo stato di guerra, e di godere una libertà
resa inutile dall'incertezza di conservarla. Essi ne sacrificarono una
parte per goderne il restante con sicurezza, e tranquillità. La
somma di tutte queste porzioni di libertà sacrificate al bene di
[pag. 6] ciascheduno forma la Sovranità di una Nazione, ed il Sovrano
è il legittimo depositario, ed amministratore di quelle; ma non
bastava il formare questo deposito, bisognava difenderlo dalle private
usurpazioni di ciascun uomo in particolare, il quale cerca sempre di togliere
dal deposito non solo la propria porzione, ma usurparsi ancora quella degli
altri. Vi volevano de' motivi sensibili, che bastassero a distogliere il
dispotico animo di ciascun uomo dal risommergere nell'antico Caos le Leggi
della società. Questi motivi sensibili sono le Pene stabilite contro
agl'infrattori delle Leggi. Dico sensibili motivi, perchè la sperienza
ha fatto vedere, che la moltitudine non adotta stabili principj di condotta,
nè si allontana da quel principio universale di dissoluzione, che
nell'Universo Fisico e Morale si osserva, se non con motivi, che immediatamente
percuotono i sensi, e che di continuo si affacciano alla mente per contrabilanciare
le forti impressioni delle passioni parziali, che si oppongono al bene
universale: nè l'eloquenza, nè le declamazioni, nemmeno le
più sublimi verità, sono bastate a frenare per lungo tempo
le passioni eccitate dalle vive percosse degli oggetti presenti.
Diritto di punire.
Ecco dunque sopra di, che
è fondato il diritto del Sovrano di punire i delitti: la necessità
di difendere il Deposito della salute pubblica dalle usurpazioni particolari;
e tanto più giuste [pag. 7] sono le pene, quanto più sacra,
ed inviolabile è la sicurezza, e maggiore la libertà, che
il Sovrano conserva ai sudditi. Consultiamo il cuore umano, e in esso troveremo
i principj fondamentali del vero diritto del Sovrano di punire i delitti;
poichè non è da sperarsi alcun vantaggio durevole dalla Politica
Morale, se ella non sia fondata su i sentimenti indelebili dell'uomo. Qualunque
Legge devii da questi, troverà sempre una resistenza contraria,
che vince alla fine; in quella maniera, che una forza, benchè minima,
se sia continuamente applicata, vince qualunque violento moto comunicato
ad un corpo.
Nessun uomo ha fatto il dono
gratuito di parte della propria libertà in vista del ben pubblico:
questa chimera non esiste, che nei Romanzi; se fosse possibile, ciascuno
di noi vorrebbe, che i patti, che legano gli altri, non ci legassero; ogni
uomo si fa centro di tutte le combinazioni del Globo. Fu dunque la necessità,
che costrinse gli uomini a cedere parte della propria libertà: egli
è adunque certo, che ciascuno non ne vuol mettere nel pubblico Deposito,
che la minima porzion possibile, quella sola, che basti a indurre gli altri
a difenderlo. L'aggregato di queste minime porzioni possibili forma il
diritto di punire; tutto il di più è abuso e non giustizia;
è Fatto, ma non già Diritto. Osservate, che la parola Diritto
non è contradittoria alla parola Forza; ma la prima [pag. 8] è
piuttosto una modificazione della seconda, cioè la modificazione
più utile al maggior numero. E per Giustizia io non intendo altro,
che il vincolo necessario per tenere uniti gl'interessi particolari, che
senz'esso si scioglierebbono nell'antico stato d'insociabilità;
tutte le pene, che oltrepassano la necessità di conservare questo
vincolo sono ingiuste di lor natura. Bisogna guardarsi di non attaccare
a questa parola Giustizia l'idea di qualche cosa di reale, come di una
forza fisica, o di un essere esistente; ella è una semplice maniera
di concepire degli uomini, maniera, che influisce infinitamente sulla felicità
di ciascuno: nemmeno intendo quell'altra sorta di Giustizia, che è
emanata da Dio, e che ha i suoi immediati rapporti colle pene e ricompense
della vita avvenire.
Conseguenze.
La prima conseguenza di questi
principj è, che le sole Leggi possono decretar le pene su i delitti,
e quest'autorità non può risedere, che presso il Legislatore,
che rappresenta tutta la società unita per un contratto sociale;
nessun Magistrato (che è parte di società) può con
giustizia infligger pene contro ad un altro membro della società
medesima. Ma una pena accresciuta al di là dal limite fissato dalle
Leggi è la pena giusta più un'altra pena; dunque non può
un Magistrato, sotto qualunque pretesto di zelo, o di ben pubblico accrescere
la pena stabilita ad un delinquente Cittadino.
[pag. 9] La seconda conseguenza
è, che se ogni membro particolare è legato alla società,
questa è parimente legata con ogni membro particolare per un contratto,
che di sua natura obbliga le due parti. Il Sovrano, che rappresenta la
società medesima, non può formare che Leggi generali, che
obblighino tutt’i membri, ma non già giudicare, che uno abbia violato
il contratto sociale, poichè allora la Nazione si dividerebbe in
due parti, una rappresentata dal Sovrano, che asserisce la violazione del
contratto, e l'altra dall'accusato, che la nega. Egli è dunque necessario,
che un terzo giudichi della verità del fatto. Ecco la necessità
di un Magistrato, le di cui sentenze sieno inappellabili e consistano in
mere asserzioni o negazioni di fatti particolari.
La terza conseguenza è,
che quando si provasse, che l'atrocità delle pene fosse se non immediatamente
opposta al ben pubblico, ed al fine medesimo d'impedire i delitti, almeno
inutile, essa sarebbe non solo contraria a quelle virtù benefiche,
che sono l'effetto d'una ragione illuminata, che preferisce il comandare
ad uomini felici più che a una greggia di schiavi, nella quale si
faccia una perpetua circolazione di timida crudeltà, ma lo sarebbe
alla giustizia, ed alla natura del contratto sociale medesimo.
[pag. 10]
Interpetrazione delle Leggi.
Quarta conseguenza: nemmeno
l'autorità d'interpetrare le Leggi Penali può risedere presso
i Giudici criminali per la stessa ragione, che non sono Legislatori. I
Giudici non hanno ricevuto le Leggi dagli antichi nostri padri come una
tradizione domestica ed un testamento, che non lasciasse ai Posteri, che
la cura d'ubbidire, ma le ricevono dalla vivente società, o dal
Sovrano rappresentatore di essa, come legittimo depositario dell'attuale
risultato della volontà di tutti; le ricevono non come obbligazioni
d'un antico giuramento, nullo, perchè legava volontà non
esistenti, iniquo, perchè riduceva gli uomini dallo stato di società
allo stato di mandra, ma come effetti di un tacito, o espresso giuramento,
che le volontà riunite dei viventi sudditi hanno fatto al Sovrano,
come vincoli necessarj per frenare e reggere l'intestino fermento degl'interessi
particolari. Quest'è la fisica e reale autorità delle leggi.
Chi sarà dunque il legittimo interpetre della Legge? Il Sovrano,
cioè il depositario delle attuali volontà di tutti; o il
Giudice, il di cui ufficio è solo l'esaminare, se il tal uomo abbia
fatto, o no un'azione contraria alle leggi?
In ogni delitto si deve fare
dal Giudice un sillogismo perfetto: la maggiore dev'essere la Legge generale:
la minore l'azione conforme, o no alla legge: la conseguenza la libertà,
o la pena. [pag. 11] Quando il Giudice sia costretto, o voglia fare anche
soli due sillogismi, si apre la porta all'incertezza.
Non v'è cosa più
pericolosa di quell'assioma comune, che bisogna consultare lo spirito della
legge. Questo è un argine rotto al torrente delle opinioni. Questa
verità, che sembra un paradosso alle menti volgari più percosse
da un piccol disordine presente, che dalle funeste, ma rimote conseguenze,
che nascono da un falso principio radicato in una Nazione, mi sembra dimostrata.
Le nostre cognizioni e tutte le nostre idee hanno una reciproca connessione;
quanto più sono complicate, tanto più numerose sono le strade,
che ad esse arrivano, e partono: Ciascun uomo ha il suo punto di vista,
ciascun uomo in differenti tempi ne ha un diverso. Lo spirito della Legge
sarebbe dunque il risultato di una buona, o cattiva logica di un Giudic,
di una facile, o malsana digestione; dipenderebbe dalla violenza delle
sue passioni, dalla debolezza di chi soffre, dalle relazioni del Giudice
coll'offeso, e da tutte quelle minime forze, che cangiano le apparenze
di ogni oggetto nell'animo fluttuante dell'uomo. Quindi vediamo la sorte
di un Cittadino cambiarsi spesse volte nel passaggio, che fa a diversi
Tribunali, e le vite de' miserabili essere la vittima dei falsi raziocinj,
o dell'attuale fermento degli umori [pag. 12] d'un Giudice, che prende
per legittima interpetrazione il vago risultato di tutta quella confusa
serie di nozioni, che gli muove la mente. Quindi vediamo gli stessi delitti
dallo stesso Tribunale puniti diversamente in diversi tempi per aver consultato
non la costante e fissa voce della legge, ma l'errante instabilità
delle interpetrazioni.
Un disordine, che nasce dalla
rigorosa osservanza della lettera di una Legge penale non è da mettersi
in confronto coi disordini, che nascono dalla interpetrazione. Un tal momentaneo
inconveniente spinge a fare la facile, e necessaria correzione alle parole
della legge; ma impedisce i fatali ragionamenti, dai quali nascono le arbitrarie,
e venali controversie. Quando un codice fisso di leggi, che si debbono
osservare alla lettera non lascia al Giudice altra incombenza, che di esaminare
le azioni de' Cittadini, e giudicarle conformi, o difformi alla legge scritta,
quando la norma del giusto, e dell'ingiusto, che deve dirigere le azioni
sì del Cittadino ignorante, che del Cittadino Filosofo, non è
un affare di controversia, ma di fatto; allora i sudditi non sono soggetti
alle piccole tirannie di molti, più fatali, che quelle di un solo
(perchè il dispotismo di molti non è correggibile, che dal
dispotismo di un solo, e la crudeltà di un Dispotico è proporzionata
non alla forza, ma agli ostacoli) [pag. 13] tanto più crudeli, quanto
è minore la distanza tra chi soffre, e fa soffrire. Così
acquistano i cittadini quella sicurezza di loro stessi, che è giusta,
perchè è lo scopo per cui gli uomini stanno in società,
che è utile, perchè gli mette nel caso di esattamente calcolare
gl'inconvenienti di un misfatto. Egli è vero altresì, che
acquisteranno uno spirito d'indipendenza; ma non già scuotitore
delle leggi, e ricalcitrante ai supremi Magistrati, bensì a quelli,
che hanno osato chiamare col sacro nome di virtù la debolezza di
cedere alle loro interessate o capricciose opinioni. Egli è cvero,
che questi principj spiaceranno a coloro, che si sono fatto un diritto
di trasmettere agl'inferiori i colpi della tirannia, che hanno ricevuto
dai Superiori. Dovrei tutto temere, se lo spirito di tirannia fosse componibile
collo spirito di lettura.
Oscurità delle leggi.
Se l'interpetrazione delle
Leggi è un male; egli è evidente esserne un altro l'oscurità,
che strascina seco necessariamente l'interpetrazione, e lo sarà
grandissimo, se le leggi sieno scritte in una lingua straniera al popolo,
che lo ponga nella dipendenza di alcuni pochi, non potendo giudicar da
se stesso qual sarebbe l'esito della sua libertà, o dei suoi membri,
in una lingua, che formi di un libro solenne, e pubblico un quasi privato
e domestico. Che dovremo pensare degli uomini, riflettendo esser [pag.
14] questo l'inveterato costume di buona parte della colta ed illuminata
Europa! Quanto maggiore sarà il numero di quelli, che intenderanno,
e avranno fralle mani il sacro Codice delle leggi, tanto men frequenti
saranno i delitti, perchè non v'ha dubbio; che l'ignoranza, e l'incertezza
delle pene non ajutino l'eloquenza delle passioni.
Una conseguenza di quest'ultime
riflessioni è, che senza la scrittura una società non prenderà
mai una forma fissa di Governo, in cui la forza sia un effetto del tutto,
e non delle parti, e in cui le leggi inalterabili, se non dalla volontà
generale, non si corrompano passando per la folla degl'interessi privati.
L'esperienza, e la ragione ci hanno fatto vedere, che la probabilità
e la certezza delle tradizioni umane si sminuiscono a misura, che si allontanano
dalla sorgente. Che se non esiste uno stabile monumento del patto sociale,
come resisteranno le leggi alla forza inevitabile del tempo, e delle passioni?
Da ciò vediamo quanto
sia utile la stampa, che rende il Pubblico, e non alcuni pochi, depositario
delle sante Leggi, e quanto abbia dissipato quello spirito tenebroso di
Cabala, e d'intrigo, che sparisce in faccia ai lumi, ed alle scienze apparentemente
disprezzate, e realmente temute dai seguaci di lui. Questa è la
cagione, per [pag. 15] cui vediamo sminuita in Europa l'atrocità
de' delitti, che facevano gemere gli antichi nostri Padri, i quali diventavano
a vicenda tiranni, e schiavi. Chi conosce la storia di due o tre secoli
fa, e la nostra, potrà vedere, come dal seno del Lusso, e della
Mollezza, nacquero le più dolci virtù, l'Umanità,
la Beneficenza, la Tolleranza degli errori umani. Vedrà quali furono
gli effetti di quella, che chiamasi a torto antica semplicità, e
buona fede, l'umanità gemente sotto l'implacabile superstizione,
l'avarizia, l'ambizione di pochi tinger di sangue umano gli scrigni dell'oro;
e i Troni dei Re, gli occulti tradimenti, le pubbliche stragi, ogni nobile,
tiranno della plebe, i Ministri della verità Evangelica lordando
di sangue le mani, che ogni giorno toccavano il Dio di Mansuetudine, non
sono l'opera di questo secolo illuminato, che alcuni chiamano corrotto.
Proporzione fra i Delitti
e le Pene
Non solamente è interesse
comune, che non si commettano delitti, ma che siano più rari a proporzione
del male, che arrecano alla società umana. Dunque più forti
debbono essere gli ostacoli, che risospingono gli uomini dai delitti a
misura che sono contrari al ben pubblico, ed a misura delle spinte, che
gli portano ai delitti. Dunque vi deve essere una proporzione fra i delitti,
e le pene.
[pag. 16] È impossibile
di prevenire tutti i disordini nell'universal combattimento delle passioni
umane. Essi crescono in ragione composta della popolazione, e dell'incrocicchiamento
degl'interessi particolari, che non è possibile dirigere geometricamente
alla pubblica utilità. All'esattezza matematica bisogna sostituire
nell'Aritmetica Politica il calcolo delle probabilità. Si aprano
le storie, e si vedranno crescere i disordini coi confini degl'Imperj:
dunque bisogna frenare con maggiori pene quei disordini, che più
disturbano il ben pubblico, con minori i meno importanti.
Quella forza simile alla
gravità, che ci spinge al nostro ben essere, non si trattiene, che
a misura degli ostacoli, che gli sono opposti. Gli effetti di questa forza
sono la confusa serie delle azioni umane: se queste si urtano scambievolmente,
e si offendono, le pene, che io chiamerei ostacoli politici, ne impediscono
il cattivo effetto senza distruggere la causa impellente, che è
la sensibilità medesima inseparabile dall'uomo, e il legislatore
fa come l'abile Architetto di cui l'officio è di opporsi alle direzioni
rovinose della Gravità, e di far conspirare quelle, che contribuiscono
alla forza dell'edificio.
Data la necessità
della riunione degli uomini, dati i patti, che necessariamente risultano
dalla opposizione medesima degl'interessi [pag. 17] privati trovasi una
scala di disordini, dei quali il primo grado consiste in quelli, che distruggono
immediatamente la Società, e l'ultimo nella minima ingiustizia possibile
fatta ai privati membri di essa. Tra questi estremi sono comprese tutte
le azioni opposte al ben Pubblico, che chiamansi delitti, e tutte vanno,
per gradi insensibili, decrescendo dal più sublime al più
infimo. Se la Geometria fosse adattabile alle infinite ed oscure combinazioni
delle azioni umane, vi dovrebbe essere una scala corrispondente di pene,
che discendesse dalla più forte, alla più debole; ma basterà
al saggio Legislatore di segnarne i punti principali, senza turbar l'ordine,
non decretando ai delitti del primo grado le pene dell'ultimo. Se vi fosse
una scala esatta ed universale delle Pene, e dei Delitti, avremmo una probabile,
e comune misura dei gradi di Tirannia, e di libertà, del fondo di
umanità o di malizia delle diverse Nazioni.
Qualunque azione non compresa
tra i due sovraccennati limiti non può essere chiamata Delitto,
o punita come tale, se non da coloro, che vi trovano il loro interesse,
nel così chiamarla. La incertezza di questi limiti ha prodotta nelle
Nazioni una morale, che contradice alla legislazione; più attuali
legislazioni, che si escludono scambievolmente; una moltitudine di Leggi,
che espongono il più saggio alle pene [pag. 18] più rigorose,
e però resi vaghi e fluttuanti i nomi di Vizio e di Virtù,
e però nata l'incertezza della propria esistenza, che produce il
letargo, ed il sonno fatale nei corpi politici. Chiunque leggerà
con occhio Filosofico i Codici delle Nazioni e i loro Annali, troverà
quasi sempre i nomi di Vizio e di Virtù, di buon Cittadino o di
Reo cangiarsi colle rivoluzioni dei secoli, non in ragione delle mutazioni,
che accadono nelle circostanze dei Paesi, e per conseguenza sempre conformi
all'interesse comune; ma in ragione delle passioni, e degli errori, che
successivamente agitarono i differenti legislatori. Vedrà bene spesso,
che le passioni di un secolo sono la base della morale dei secoli futuri,
che le passioni forti figlie del Fanatismo e dell'Entusiasmo indebolite
e rose, dirò così, dal tempo, che riduce tutti i fenomeni
fisici, e morali all'equilibrio, diventano a poco a poco la prudenza del
secolo e lo strumento utile in mano del forte e dell'accorto. In questo
modo nacquero le oscurissime nozioni di onore e di virtù, e tali
sono perchè si cambiano colle rivoluzioni del tempo, che fa sopravvivere
i nomi alle cose, si cambiano coi fiumi e colle montagne, che sono bene
spesso i confini, non solo della fisica, ma della morale Geografia.
Se il piacere, e il dolore
sono i motori degli esseri sensibili, se tra i motivi, che spingono [pag.
19] gli uomini, anche alle più sublimi operazioni, furono destinati
dall'invisibile Legislatore il premio, e la pena, dalla inesatta distribuzione
di queste ne nascerà quella tanto meno osservata contradizione,
quanto più comune, che le pene puniscano i delitti, che hanno fatto
nascere. Se una pena uguale è destinata a due delitti, che disugualmente
offendono la società, gli uomini non troveranno un più forte
ostacolo per commettere il maggior delitto, se con esso vi trovino unito
un maggior vantaggio.
Errori nella misura delle
pene
Le precedenti riflessioni
mi danno il diritto di asserire, che l'unica e vera misura dei delitti
è il danno fatto alla Nazione, e però errarono coloro, che
credettero vera misura dei delitti l'intenzione di chi gli commette. Questa
dipende dalla impressione attuale degli oggetti, e dalla precedente disposizione
della mente: esse variano in tutti gli uomini e in ciascun uomo colla velocissima
successione delle idee, delle passioni e delle circostanze. Sarebbe dunque
necessario formare non solo un Codice particolare per ciascun Cittadino,
ma una nuova Legge, ad ogni Delitto. Qualche volta gli uomini colla migliore
intenzione fanno il maggior male alla Società; e alcune altre volte
colla più cattiva volontà ne fanno il maggior bene.
[pag. 20] Altri misurano
i delitti più dalla dignità della persona offesa, che dalla
loro importanza riguardo al ben pubblico. Se questa fosse la vera misura
dei delitti, una irriverenza all'Essere degli Esseri dovrebbe più
atrocemente punirsi, che l'assassinio d'un Monarca; la superiorità
della Natura essendo un infinito compenso alla differenza dell'offesa.
Finalmente alcuni pensarono,
che la gravezza del peccato entrasse nella misura dei delitti. La fallacia
di questa opinione risalterà agli occhi d'un indifferente esaminatore
dei veri rapporti tra uomini, e uomini, e tra uomini, e Dio. La sola necessità
ha fatto nascere dall'urto delle passioni, e dalle opposizioni degl'interessi
l'idea della utilità comune, che è la base della Giustizia
umana; i secondi sono rapporti di dipendenza da un Essere perfetto, e creatore,
che si è riserbato a sè solo il diritto di essere Legislatore,
e Giudice nel medesimo tempo, perchè egli solo può esserlo
senza inconveniente. Se ha stabilito pene eterne a chi disobbedisce alla
sua onnipotenza, qual sarà l'insetto che oserà supplire alla
divina giustizia, che vorrà vendicare l'Essere, che basta a se stesso,
che non può ricevere dagli oggetti impressione alcuna di piacere,
o di dolore, e che solo tra tutti gli Esseri agisce senza reazione? La
gravezza del peccato [pag. 21] dipende dalla imperscrutabile malizia del
cuore. Questa da esseri finiti non può senza rivelazione sapersi.
Come dunque da questa si prenderà norma per punire i Delitti? Potrebbon
in questo caso gli uomini punire quando Iddio perdona, e perdonare quando
Iddio punisce. Se gli uomini possono essere in contradizione coll'Onnipossente
nell'offenderlo, possono anche esserlo col punire.
Divisione dei Delitti.
Abbiamo veduto qual sia la
vera misura dei Delitti, cioè il danno della Società. Questa
è una di quelle palpabili verità, che quantunque non abbian
bisogno nè di quadranti, nè di telescopj, per essere scoperte,
ma sieno alla portata di ciascun mediocre intelletto, pure per una maravigliosa
combinazione di circostanze non sono con decisa sicurezza conosciute, che
da alcuni pochi pensatori, uomini d'ogni Nazione, e d'ogni secolo. Ma le
opinioni asiatiche, ma le passioni vestite d'autorità, e di potere,
hanno la maggior parte delle volte per insensibili spinte, alcune poche
per violente impressioni sulla timida credulità degli uomini dissipate
le semplici nozioni, che forse formavano la prima Filosofia delle nascenti
Società, ed a cui la luce di questo secolo sembra, che ci riconduca,
con quella maggior fermezza però, che può essere somministrata
da un esame Geometrico, da mille funeste sperienze, e dagli ostacoli [pag.
22] medesimi. Or l'ordine ci condurrebbe ad esaminare, e distinguere tutte
le differenti sorte di delitti, e la maniera di punirli; se la variabile
natura di essi per le diverse circostanze dei secoli e dei luoghi, non
ci obbligasse ad un dettaglio immenso e noioso. Mi basterà indicare
i principj più generali, e gli errori più funesti e comuni
per disingannare sì quelli, che per un mal inteso amore di libertà
vorrebbono introdurre l'Anarchia, come coloro, che amerebbero ridurre gli
uomini ad una claustrale regolarità.
Alcuni delitti distruggono
immediatamente la società, o chi la rappresenta: Alcuni offendono
la privata sicurezza di un Cittadino nella vita, nei beni, o nell'onore:
alcuni altri sono azioni contrarie a ciò, che ciascuno è
obbligato dalle Leggi di fare, o non fare, in vista del ben Pubblico. I
primi, che sono i massimi delitti, perchè più dannosi, son
quelli, che chiamansi di lesa Maestà. La sola tirannia e l'ignoranza,
che confondono i vocaboli, e le idee più chiare, possono dar questo
nome, e per conseguenza la massima pena, a delitti di differente natura,
e rendere così gli uomini, come in mille altre occasioni, vittime
di una parola. Ogni delitto, benchè privato, offende la società;
ma ogni delitto non ne tenta la immediata distruzione. Le azioni morali,
come le fisiche, hanno la loro sfera limitata di attività [pag.
23] e sono diversamente circoscritte, come tutti i movimenti di natura,
dal tempo, e dallo spazio; e però la sola cavillosa interpetrazione,
che è per l'ordinario la filosofia della schiavitù, può
confondere ciò, che dall'eterna verità fu con immutabili
rapporti distinto.
Dopo questi seguono i delitti
contrarj alla sicurezza di ciascun particolare. Essendo questo il fine
primario di ogni legittima associazione, non può non assegnarsi
alla violazione del dritto di sicurezza, acquistato da ogni Cittadino,
alcuna delle pene più considerabili stabilita dalle Leggi.
L'opinione, che ciaschedun
Cittadino deve avere di poter fare tutto ciò, che non è contrario
alle Leggi, senza temerne altro inconveniente, che quello, che può
nascere dall'azione medesima, questo è il Dogma Politico, che dovrebb'essere
dai popoli creduto, e dai supremi magistrati colla incorrotta custodia
delle Leggi predicato; sacro Dogma, senza di cui non vi può essere
legittima Società, giusta ricompensa del sacrificio fatto dagli
uomini di quell'azione universale su tutte le cose comune ad ogni essere
sensibile, e limitata soltanto dalle proprie forze. Questo forma le libere
anime e vigorose, e le menti rischiaratrici, rende gli uomini virtuosi,
ma di quella virtù, che sa resistere al timore, e [pag. 24] non
di quella pieghevole prudenza, degna solo, di chi può soffrire un'esistenza
precaria ed incerta. Gli attentati dunque contro la sicurezza e libertà
de' Cittadini, sono uno de' maggiori delitti, e sotto questa classe cadono
non solo gli assassinj, e i furti degli uomini plebei, ma quelli ancora
dei Grandi e dei Magistrati, l'influenza dei quali agisce ad una maggior
distanza, e con maggior vigore, distruggendo nei sudditi le idee di Giustizia,
e di dovere, e sostituendo quella del diritto del più forte, pericoloso
del pari in chi lo esercita, e in chi lo soffre.
Dell'onore.
V'è una contradizione
rimarcabile fralle Leggi civili gelose custodi più d'ogni altra
cosa del corpo, e dei beni di ciascun Cittadino, e le Leggi di ciò,
che chiamasi onore? che vi preferisce l'opinione. Questa parola onore è
una di quelle, che ha servito di base a lunghi e brillanti ragionamenti,
senza attaccarvi veruna idea fissa e stabile. Misera condizione, delle
menti umane, che le lontanissime, e meno importanti idee delle rivoluzioni
dei corpi celesti, sieno con più distinta cognizione presenti, che
le vicine ed importantissime nozioni morali, fluttuanti sempre, e confuse,
secondo, che i venti delle passioni le sospingono, e l'ignoranza guidata
le riceve, e le trasmette! Ma sparirà l'apparente paradosso, se
si consideri, che come gli [pag. 25] oggetti troppo vicini agli occhi si
confondono, così la troppa vicinanza delle idee morali fa, che facilmente
si rimescolino le moltissime idee semplici, che le compongono, e ne confondano
le linee di separazione necessarie allo spirito Geometrico, che vuol misurare
i fenomeni della umana sensibilità. E scemerà del tutto la
maraviglia nell'indifferente indagatore delle cose umane, che sospetterà
non esservi per avventura bisogno di tanto apparato di Morale, nè
di tanti legami per render gli uomini felici e sicuri.
Quest'onore dunque è
una di quelle idee complesse, che sono un aggregato non solo d'idee semplici,
ma d'idee parimente complicate, che nel vario affacciarsi alla mente ora
ammettono, ed ora escludono alcuni de' diversi elementi, che le compongono;
nè conservano, che alcune poche idee comuni, come più quantità
complesse algebraiche ammettono un comune Divisore. Per trovar questo comune
Divisore nelle varie idee, che gli uomini si formano dell'onore, è
necessario gettar rapidamente un colpo d'occhio sulla formazione delle
società. Le prime Leggi, e i primi Magistrati nacquero dalla necessità
di riparare ai disordini del Fisico dispotismo di ciascun uomo; questo
fu il fine institutore della Società, e questo fine primario si
è sempre conservato realmente, o in apparenza [pag. 26] alla testa
di tutt'i codici, anche distruttori; ma l'avvicinamento degli uomini e
il progresso delle loro cognizioni, hanno fatto nascere una infinita serie
di azioni, e di bisogni, vicendevoli gli uni verso gli altri, sempre superiori
alla providenza delle Leggi, ed inferiori all'attuale potere di ciascuno.
Da quest'Epoca cominciò il dispotismo della opinione, che era l'unico
mezzo di ottenere dagli altri quei beni, e di allontanarne quei mali, ai
quali le Leggi non erano sufficienti a provvedere. E l'opinione è
quella, che tormenta il saggio, ed il volgare, che ha messo in credito
l'apparenza della virtù, al disopra della virtù stessa, che
fa diventar Missionario anche lo scellerato, perchè vi trova il
proprio interesse. Quindi i suffragj degli uomini divennero non solo utili,
ma necessarj, per non cadere al disotto del comune livello. Quindi se l'ambizioso
li conquista come utili, se il vano va mendicandoli come testimonj del
proprio merito, si vede l'uomo d'onore esigerli come necessarj. Quest'onore
è una condizione, che moltissimi uomini mettono alla propria esistenza.
Nato dopo la formazione della Società, non potè esser messo
nel comune deposito, anzi è un instantaneo ritorno nello stato naturale,
e una sottrazione momentanea della propria persona da quelle Leggi, che
in quel caso non difendono bastantemente un Cittadino.
[pag. 27] Quindi è
nell'estrema libertà Politica, e nella estrema dipendenza, spariscono
le idee dell'onore, o si confondono perfettamente con altre; perchè
nella prima il dispotismo delle Leggi rende inutile la ricerca degli altrui
suffragj, nella seconda, perchè il dispotismo degli uomini annullando
l'esistenza civile, li riduce ad una precaria, e momentanea personalità.
L'onore è dunque uno dei principj fondamentali di quelle Monarchie,
che sono un dispotismo sminuito; e in esse sono quello, che negli stati
dispotici le rivoluzioni, un momento di ritorno nello stato di Natura,
ed un ricordo al Padrone dell'antica uguaglianza.
Dei duelli
Da questa necessità
degli altrui suffragj nacquero i duelli privati, ch'ebbero appunto la loro
origine nell'Anarchia delle leggi. Si pretendono sconosciuti all'antichità,
forse perchè gli Antichi non si radunavano sospettosamente armati
nei Tempj, nei Teatri, e cogli amici; forse perchè il Duello era
uno spettacolo ordinario e comune, che i gladiatori schiavi ed avviliti
davano al Popolo, e gli uomini liberi sdegnavano d'esser creduti, e chiamati
gladiatori coi privati combattimenti. In vano gli editti di morte contro
chiunque accetta un Duello, hanno cercato estirpare questo costume, che
ha il suo fondamento in ciò che alcuni uomini temono più
che la morte, poichè [pag. 28] privandolo degli altrui suffragj,
l'uomo d'onore si prevede esposto o a divenire un essere meramente solitario,
stato insoffribile ad un uomo socievole, ovvero a divenire il bersaglio
degl'insulti, e dell'infamia, che colla ripetuta loro azione prevalgono
al pericolo della pena. Per qual motivo il minuto popolo non duella per
lo più come i Grandi? Non solo perchè è disarmato;
ma perchè la necessità degli altrui suffragj è meno
comune nella plebe, che in coloro, che essendo più elevati, si guardano
con maggior sospetto e gelosia.
Non è inutile il ripetere
ciò che altri hanno scritto, cioè, che il miglior metodo
di prevenire questo delitto, è di punire l'Aggressore, cioè
chi ha dato occasione al Duello, dichiarando innocente chi senza sua colpa
è stato costretto a difendere ciò che le Leggi non assicurano,
cioè l'opinione; ed ha dovuto mostrare a' suoi Concittadini ch'egli
teme le sole Leggi, e non gli uomini.
Della tranquillità
pubblica
Finalmente, tra i delitti
della terza specie sono particolarmente quelli, che turbano la pubblica
tranquillità, e la quiete de' Cittadini, come gli strepiti, e i
bagordi nelle pubbliche vie destinate al Commercio, ed al passeggio de'
Cittadini, come i fanatici sermoni, che eccitano le facili passioni della
curiosa moltitudine, le quali prendono forza dalla frequenza [pag. 29]
degli uditori, e più dall'oscuro e misterioso entusiasmo, che dalla
chiara e tranquilla ragione, la quale mai non opera sopra una gran massa
d'uomini.
La notte illuminata a pubbliche
spese, le guardie distribuite nei differenti quartieri delle Città,
i semplici e morali discorsi della Religione riserbati al silenzio, ed
alla sacra tranquillità dei Tempj protetti dall'autorità
pubblica, le arringhe destinate a sostenere gl'interessi privati e pubblici
nelle adunanze della Nazione, nei parlamenti o dove risieda la Maestà
del Sovrano, sono tutti mezzi efficaci per prevenire il pericoloso addensamento
delle popolari passioni. Questi formano un ramo principale della vigilanza
del Magistrato, chiamato della Police; ma se questo Magistrato operasse
con Leggi arbitrarie, e non istabilite da un Codice, che giri fralle mani
di tutti i Cittadini, si apre una porta alla tirannia, che sempre circonda
tutti i confini della libertà Politica. Io non trovo eccezione alcuna
a quest'assioma generale, che ogni Cittadino deve sapere quando sia reo,
o quando sia innocente. Se i censori, e in genere i Magistrati arbitrarj,
sono necessarj in qualche governo, ciò nasce dalla debolezza della
sua costituzione, e non dalla natura di governo bene organizzato. L'incertezza
della propria sorte ha sacrificate [pag. 30] più vittime all'oscura
tirannia, che non la pubblica e solenne crudeltà, che rivolta gli
animi più che non gli avvilisce. Il vero Tiranno comincia sempre
dal regnare sull'opinione, che previene il coraggio, il quale solo può
risplendere o nella chiara luce della verità, o nel fuoco delle
passioni, o nell'ignoranza del pericolo.
Ma quali saranno le pene
convenienti a questi delitti? La morte è ella una pena veramente
utile, e necessaria, per la sicurezza, e pel buon ordine della Società?
La tortura, e i tormenti sono eglino giusti, e ottengon eglino il fine,
che si propongono le Leggi? Qual è la miglior maniera di prevenire
i delitti? Le medesime pene sono elleno egualmente utili in tutt'i tempi?
Qual influenza hanno esse su i costumi? Questi problemi meritano di essere
sciolti con quella precisione geometrica, a cui la nebbia dei sofismi,
la seduttrice eloquenza, ed il timido dubbio non posson resistere. Se io
non avessi altro merito, che quello di aver presentato il primo all'Italia
con qualche maggior evidenza, ciò che altre Nazioni hanno osato
scrivere, e cominciano a praticare, io mi stimerei fortunato; ma se sostenendo
i diritti degli uomini, e dell'invincibile verità contribuissi a
strappare dagli spasimi, e dalle angosce della morte qualche vittima sfortunata
della tirannia, o dell'ignoranza, ugualmente [pag. 31] fatale, le benedizioni,
e le lagrime anche d'un solo innocente nei trasporti della gioja, mi consolerebbero
dal disprezzo degli uomini.
Fine delle Pene
Dalla semplice considerazione
delle verità fin qui esposte, egli è evidente, che il fine
delle pene non è di tormentare, ed affliggere un essere sensibile,
nè di disfare un delitto già commesso. Può egli in
un corpo politico, che, ben lungi di agire per passione, è il tranquillo
moderatore delle passioni particolari, può egli albergare questa
inutile crudeltà stromento del furore e del fanatismo, o dei deboli
tiranni? Le strida di un infelice richiamano forse dal tempo, che non ritorna,
le azioni già consumate? Il fine dunque non è altro, che
d'impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi Cittadini, e di rimuovere
gli altri dal farne uguali. Quelle pene dunque, e quel metodo d'infliggerle,
deve esser prescelto, che, serbata la proporzione, farà una impressione
più efficace, e più durevole sugli animi degli uomini, e
la meno tormentosa sul corpo del reo.
Dei Testimonj
Egli è un punto considerabile
in ogni buona legislazione il determinare esattamente la credibilità
dei Testimonj, e le prove del reato. Ogni uomo ragionevole, cioè
che abbia una certa connessione nelle proprie idee, e le di cui sensazioni
sieno conformi a quelle degli altri uomini, può essere testimonio.
Ma la di lui [pag. 32] credibilità dunque deve sminuirsi, a proporzione
dell'odio, o dell'amicizia, o delle strette relazioni, che passano tra
lui, e il reo. Più d'un testimonio è necessario, perchè
fintanto che uno asserisce, e l'altro nega. niente v'è di certo,
e prevale l'innocenza. La credibilità di un testimonio diviene tanto
sensibilmente minore, quanto più cresce l'atrocità di un
delitto, o l'inverisimiglianza delle circostanze; tali sono per esempio
la magia, e le azioni gratuitamente crudeli. Egli è più probabile,
che più uomini mentiscano nella prima accusa, perchè è
più facile, che si combini in più uomini o l'illusione dell'ignoranza,
o l'odio persecutore, di quello che un uomo eserciti una potestà,
che Dio o non ha dato, o ha tolto ad ogni essere creato. Parimente nella
seconda, perchè l'uomo non è crudele, che a proporzione del
proprio interesse, dell'odio, o del timore concepito. Non v'è propriamente
alcun sentimento superfluo nell'uomo; egli è sempre proporzionale
al risultato delle impressioni fatte su i sensi. Parimente la credibilità
di un testimonio può essere alcuna volta sminuita, quand'egli sia
membro d'alcuna società privata, di cui gli usi, e le massime siano
o non ben conosciute, o diverse dalle pubbliche. Un tal uomo ha non solo
le proprie, ma le altrui passioni.
[pag. 33] Finalmente è
quasi nulla la credibilità del testimonio, quando si faccia delle
parole un delitto, poichè il tuono, il gesto, tutto ciò che
precede, e ciò che siegue le differenti idee, che gli uomini attaccano
alle stesse parole, alterano, e modificano in maniera i detti di un uomo,
che è quasi impossibile il ripeterle, quali precisamente furon dette.
Di più, le azioni violente, e fuori dell'uso ordinario, quali sono
i veri delitti, lascian traccia di se nella moltitudine delle circostanze,
e negli effetti, che ne derivano; ma le parole non rimangono, che nella
memoria per lo più infedele, e spesso sedotta degli ascoltanti.
Egli è adunque di gran lunga più facile una calunnia sulle
parole, che sulle azioni di un uomo, poichè di queste, quanto maggior
numero di circostanze si adducono in prova, tanto maggiori mezzi si somministrano
al reo per giustificarsi.
Accuse segrete
Un evidente, ma consacrato
disordine, e in molte Nazioni reso necessario per la debolezza della constituzione,
sono le accuse segrete? Un tal costume rende gli uomini falsi, e coperti.
Chiunque può sospettare di vedere in altrui un delatore, vi vede
un inimico. Gli uomini allora si avvezzano a mascherare i proprj sentimenti,
e coll'uso di nasconderli altrui, arrivano finalmente a nasconderli a loro
medesimi. Infelici gli uomini quando son giunti [pag. 34] a questo segno,
senza principj chiari ed immobili, che gli guidino, errano smarriti, e
fluttuanti nel vasto mare delle opinioni, sempre occupati a salvarsi dai
mostri, che gli minacciano; passano il momento presente sempre amareggiato
dalla incertezza del futuro. Privi dei durevoli piaceri della tranquillità,
e sicurezza, appena alcuni pochi sparsi qua e là nella trista loro
vita, con fretta, e con disordine divorati, li consolano d'esser vissuti.
E di questi uomini faremo noi gl'intrepidi soldati difensori della Patria,
o del Trono? E tra questi troveremo gl'incorrotti Magistrati, che con libera
e patriottica eloquenza sostengano e sviluppino i veri interessi del Sovrano,
che portino al Trono coi tributi l'amore e le benedizioni di tutti i ceti
d'uomini, e da questo rendano ai palagi, ed alle capanne la pace, la sicurezza,
e l'industriosa speranza di migliorare la sorte, utile fermento e vita
degli stati?
Chi può difendersi
dalla calunnia quand'ella è armata dal più forte scudo della
tirannia, il segreto? Qual sorta di governo è mai quella, ove chi
regge, sospetta in ogni suo suddito un nemico, ed è costretto per
il pubblico riposo di toglierlo a ciascuno?
È già stato
detto da Montesquieu, che le pubbliche accuse sono più conformi
alla Repubblica, dove il pubblico bene formar dovrebbe [pag. 35] la prima
passione de' Cittadini, che nella Monarchia, dove questo sentimento è
debolissimo per la natura medesima del Governo, dove è ottimo stabilimento
il destinare dei Commissarj, che in nome pubblico accusino gl'infrattori
delle Leggi. Ma ogni Governo, e Repubblicano, e Monarchico, deve al calunniatore
dare la pena, che toccherebbe all'accusato.
Della Tortura
Una crudeltà consacrata
dall'uso nella maggior parte delle Nazioni è la Tortura del reo,
mentre si forma il Processo, o per constringerlo a confessare un Delitto,
o per le contradizioni nelle quali incorre, o per la scoperta dei complici,
o per non so quale metaforica ed incomprensibile purgazione d'infamia.
Un uomo non può chiamarsi
Reo prima della sentenza del Giudice, nè la società può
toglierli la pubblica protezione, se non quando sia definito, ch'egli abbia
violati i patti, coi quali le fu accordata. Quale è dunque quel
diritto, se non quello della forza, che dia la podestà ad un Giudice
di dare una pena ad un Cittadino, mentre si dubita se sia reo, o innocente?
Non è nuovo questo dilemma: o il delitto è certo, o incerto;
se certo, non gli conviene altra pena, che la stabilita dalle leggi, ed
inutili sono i tormenti, perchè inutile è la confessione
del reo; se è incerto, e' non devesi tormentare un innocente, perchè
tale è [pag. 36] secondo le Leggi un uomo, i di cui delitti non
sono provati. Ma io aggiungo di più, ch'egli è un voler confondere
tutt'i rapporti, l'esigere, che un uomo sia nello stesso tempo accusatore,
ed accusato, che il dolore divenga il crociuolo della verità, quasi
che il criterio di essa risieda nei muscoli, e nelle fibre di un miserabile.
Questo è il mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati, e di
condannare i deboli innocenti. Ecco i fatali inconvenienti di questo preteso
criterio di verità, ma criterio degno di un Cannibale; che i Romani
barbari anch'essi per più d'un titolo riserbavano ai soli schiavi
vittime di una feroce, e troppo lodata virtù.
Qual è il fine politico
delle pene? Il terrore degli altri uomini. Ma qual giudizio dovremo noi
dare delle segrete e private carnificine, che la tirannia dell'uso esercita
su i rei e sugl'innocenti? Egli è importante, che ogni delitto palese
non sia impunito; ma è inutile, che si accerti il delitto di un
uomo, che sta sepolto nelle tenebre dell'incertezza. Un male già
fatto, ed a cui non v'è rimedio, non può esser punito dalla
Società politica, che quanto influisce sugli altri colla lusinga
dell'impunità. S'egli è vero, che sia maggiore il numero
degli uomini, che o per timore, o per virtù, rispettano le Leggi,
che di quelli, che le infrangono, il rischio di tormentare un innocente
deve valutarsi [pag. 37] tanto di più, quanto è maggiore
la probabilità, che un uomo a dati uguali le abbia piuttosto rispettate,
che disprezzate.
Un altro ridicolo motivo
della Tortura è la purgazione dell'infamia, cioè, un uomo
giudicato infame dalle Leggi deve confermare la sua deposizione collo slogamento
delle sue ossa. Quest'abuso non dovrebbe esser tollerato nel decimottavo
secolo. Si crede, che il dolore, che è una sensazione, purghi l'infamia,
che è un mero rapporto morale. È egli forse un crociuolo?
E l'infamia è forse un corpo misto impuro? Non è difficile
il rimontare all'origine di questa ridicola legge, perchè gli assurdi
stessi, che sono da una Nazione intera adottati, hanno sempre qualche relazione
ad altre idee comuni e rispettate dalla Nazione medesima. Sembra quest'uso
preso dalle idee religiose e spirituali, che hanno tanta influenza su i
pensieri degli uomini, su le Nazioni e su i secoli. Un dogma infallibile
ci assicura, che le macchie contratte dall'umana debolezza, e che non hanno
meritata l'ira eterna del grand'Essere, debbono da un fuoco incomprensibile
esser purgate; ora l'infamia è una macchia civile, e come il dolore
ed il fuoco tolgono le macchie spirituali ed incorporee; perchè
gli spasimi della Tortura non toglieranno la macchia civile, che è
l'Infamia? Io credo, che la confessione del [pag. 38] reo, che in alcuni
Tribunali si esige come essenziale alla condanna, abbia una origine non
dissimile, perchè nel misterioso Tribunale di penitenza la confessione
dei peccati è parte essenziale del Sacramento. Ecco come gli uomini
abusano dei lumi più sicuri della rivelazione; e siccome questi
sono i soli, che sussistono nei tempi d'ignoranza, così ad essi
ricorre la docile umanità in tutte le occasioni, e ne fa le più
assurde e lontane applicazioni. Ma l'infamia è un sentimento non
soggetto nè alle Leggi, nè alla ragione, ma alla opinione
comune. La Tortura medesima cagiona una reale infamia a chi ne è
la vittima. Dunque con questo metodo si toglierà l'infamia dando
l'infamia.
Il terzo motivo è
la Tortura, che si dà ai supposti rei, quando nel loro esame cadono
in contradizione, quasi, che il timore della pena, l'incertezza del giudizio,
l'apparato e la maestà del Giudice, l'ignoranza, comune a quasi
tutti gli scellerati, e agl'innocenti, non debbano probabilmente far cadere
in contradizione e l'innocente, che teme, e il reo, che cerca di coprirsi;
quasi, che le contradizioni, comuni agli uomini quando sono tranquilli
non debbano moltiplicarsi nella turbazione dell'animo tutto assorbito nel
pensiero di salvarsi dall'imminente pericolo.
[pag. 39] Questo infame crociuolo
della verità è un monumento ancora esistente dell'antica,
e selvaggia Legislazione, quando erano chiamati Giudizi d'Iddio le prove
del fuoco, e dell'acqua bollente, e l'incerta sorte dell'armi; quasi, che
gli anelli dell'eterna catena, che è nel seno della prima cagione,
dovessero ad ogni momento essere disordinati, e sconnessi per li frivoli
stabilimenti umani. La sola differenza, che passa fralla Tortura, e le
prove del fuoco, e dell'acqua bollente, è, che l'esito della prima
sembra dipendere dalla volontà del reo, e delle seconde da un fatto
puramente fisico ed estrinseco: ma questa differenza è solo apparente,
e non reale. È così poco libero il dire la verità
fra gli spasimi, e gli strazj, quanto lo era allora l'impedire senza frode
gli effetti del fuoco, e dell'acqua bollente. Ogni atto della nostra volontà
è sempre proporzionato alla forza della impressione sensibile, che
ne è la sorgente; e la sensibilità di ogni uomo è
limitata. Dunque l'impressione del dolore può crescere a segno,
che occupandola tutta, non lasci alcuna libertà al torturato, che
di scegliere la strada più corta per il momento presente, onde sottrarsi
di pena. Allora la risposta del reo è così necessaria, come
le impressioni del fuoco o dell'acqua. Allora l'innocente sensibile si
chiamerà reo, quando egli creda con ciò di far [pag. 40]
cessare il tormento. Ogni differenza tra essi sparisce per quel mezzo medesimo,
che si pretende impiegato per ritrovarla. L'esito dunque della Tortura
è un affare di temperamento, e di calcolo, che varia in ciascun
uomo in proporzione della sua robustezza, e della sua sensibilità;
tanto che con questo metodo un matematico scioglierebbe meglio, che un
Giudice questo problema. Data la forza dei muscoli, e la sensibilità
delle fibre d'un innocente trovare il grado di dolore, che lo farà
confessar reo di un dato delitto.
L'esame di un reo è
fatto per conoscere la verità, ma se questa verità difficilmente
scopresi all'aria, al gesto, alla fisonomia d'un uomo tranquillo, molto
meno scoprirassi in un uomo in cui le convulsioni del dolore alterano tutti
i segni, per i quali dal volto della maggior parte degli uomini traspira
qualche volta, loro malgrado, la verità? Ogni azione violenta confonde,
e fa sparire le minime differenze degli oggetti, per cui si distingue talora
il vero dal falso.
Queste verità sono
state conosciute dai Romani Legislatori, presso i quali non trovasi usata
alcuna Tortura, che su i soli schiavi, ai quali era tolta ogni personalità.
Queste l'Inghilterra, Nazione, in cui la gloria delle Lettere, la superiorità
del Commercio, e delle [pag. 41] Ricchezze, e perciò della potenza,
e gli esempj di virtù, e di coraggio, non ci lasciano dubitare della
bontà delle Leggi, anch'essa ha conosciute. La Tortura è
stata abolita nella Svezia, abolita da uno de' più saggi Monarchi
dell'Europa, che avendo portata la Filosofia sul Trono, Legislatore amico
de' suoi sudditi, gli ha resi uguali, e liberi nella dipendenza delle Leggi,
che è la sola uguaglianza, e libertà, che possono gli uomini
ragionevoli esigere nelle presenti combinazioni di cose. La Tortura non
è creduta necessaria dalle Leggi degli Eserciti composti per la
maggior parte della feccia delle Nazioni, che sembrerebbero perciò
doversene più d'ogni altro ceto servire. Strana cosa per chi non
considera quanto sia grande la tirannia dell'uso, che le pacifiche Leggi
debbano apprendere dagli animi induriti alle stragi, ed al sangue, il più
umano metodo di giudicare!
Questa verità è
finalmente sentita, benchè confusamente, da quei medesimi, che se
ne allontanano: Non vale la confessione fatta durante la Tortura, se non
è confermata con giuramento dopo cessata quella, ma se il reo non
conferma il delitto, è di nuovo torturato. Alcuni Dottori, ed alcune
Nazioni non permettono questa infame petizione di principio, che per tre
volte; altre Nazioni, ed altri Dottori la lasciano ad arbitrio del Giudice:
Cosicchè [pag. 42] di due uomini ugualmente innocenti, o ugualmente
rei, il robusto ed il coraggioso sarà assolto, il fiacco, ed il
timido condannato, in vigore di questo esatto raziocinio: Io Giudice doveva
trovarvi rei di un tal delitto; tu vigoroso hai saputo resistere al dolore,
e però ti assolvo; Tu debole vi hai ceduto, e però ti condanno.
Sento, che la confessione strappatavi fra i tormenti non avrebbe alcuna
forza; ma io vi tormenterò di nuovo, se non confermerete ciò
che avete confessato.
L'ultima, e strana conseguenza,
che necessariamente deriva dall'uso della Tortura è, che l'innocente
è posto in peggiore condizione, che il reo; perchè se ambidue
sieno applicati al tormento, il primo ha tutte le combinazioni contrarie;
perchè o confessa il delitto, ed è condannato, o è
dichiarato innocente, ed ha sofferto una pena indebita; ma il reo ha un
caso favorevole per sè, cioè quando, resistendo alla Tortura
con fermezza, deve essere assoluto come innocente; ha cambiato una pena
maggiore in una minore. Dunque l'innocente non può che perdere,
e il colpevole può guadagnare.
La Legge, che comanda la
tortura è una Legge, che dice: Uomini, resistete al dolore, e se
la natura ha creato in voi uno inestinguibile amor proprio, se vi ha dato
un inalienabile diritto [pag. 43] alla vostra difesa, io creo in voi un
affetto tutto contrario, cioè un eroico odio di voi stessi, e vi
comando di accusare voi medesimi, dicendo la verità anche fra gli
strappamenti dei muscoli, e gli slogamenti delle ossa.
Finalmente la Tortura è
data ad un accusato per discuoprire i complici del suo delitto; ma se è
dimostrato, che ella non è un mezzo opportuno per iscuoprire la
verità, come potrà ella servire a svelare i complici, che
è una delle verità da scoprirsi? Quasi, che l'uomo, che accusa
se stesso non accusi più facilmente gli altri. È egli giusto
tormentar gli uomini per l'altrui delitto? Non si scopriranno i complici
dall'esame dei Testimonj, dall'esame del reo, dalle prove, e dal corpo
del delitto, in somma da tutti quei mezzi medesimi, che debbono servire
per accertare il delitto nell'accusato? I complici per lo più fuggono
immediatamente dopo la prigionia del compagno; l'incertezza della loro
sorte li condanna da se sola all'esiglio, e libera la Nazione dal pericolo
di nuove offese, mentre la pena del reo, che è nelle forze, ottiene
l'unico suo fine, cioè di rimuover col terrore gli altri uomini
da un simil delitto.
Dei Giuramenti.
Un'altra contradizione fralle
Leggi, e i sentimenti naturali all'uomo nasce, dai Giuramenti, che si esigono
dal reo, acciocchè sia uomo veridico, quando ha il massimo interesse
di esser [pag. 44] falso; quasi, che l'uomo potesse giurar da dovero di
contribuire alla propria distruzione, quasi che la religione non tacesse
nella maggior parte degli uomini, quando parla l'interesse. L'esperienza
di tutt'i secoli ha fatto vedere, che essi hanno più d'ogni altra
cosa abusato di questo prezioso dono del Cielo. E per qual motivo gli scellerati
la rispetteranno, se gli uomini stimati più saggi l'hanno sovente
violata? Troppo deboli, perchè troppo remoti dai sensi, sono per
il maggior numero i motivi, che la religione contrappone al tumulto del
timore, ed all'amor della vita. Gli affari del Cielo si reggono con Leggi
affatto dissimili da quelle, che reggono gli affari umani: E perchè
comprometter gli uni cogli altri? E perchè metter l'uomo nella terribile
contradizione, o di mancare a Dio, o di concorrere alla propria rovina?
cosicchè la Legge, che obbliga ad un tal giuramento, comanda o di
esser cattivo Cristiano, o Martire. Il Giuramento diviene a poco a poco
una semplice formalità, distruggendosi in questa maniera la forza
dei sentimenti di Religione, unico pegno dell'onestà della maggior
parte degli uomini. Quanto sieno inutili i Giuramenti lo ha fatto vedere
l'esperienza, perchè ciascun Giudice mi può esser testimonio,
che nissun Giuramento ha mai fatto dire la verità ad alcun reo;
lo fa vedere la ragione, che dichiara [pag. 45] inutili, e per conseguenza
dannose tutte le Leggi, che si oppongono ai naturali sentimenti dell'uomo.
Accade ad esse ciò che agli argini opposti direttamente al corso
di un fiume: O sono immediatamente abbattuti e soverchiati, o un vortice
formato da loro stessi li corrode, e li mina insensibilmente.
Prontezza della Pena
Quanto la pena sarà
più pronta, e più vicina al delitto commesso, ella sarà
tanto più giusta, e tanto più utile. Dico più giusta,
perchè risparmia al reo gli inutili e fieri tormenti dell'incertezza,
che crescono col vigore dell'immaginazione, e col sentimento della propria
debolezza; più giusta, perchè la privazione della libertà,
essendo una pena, essa non può precedere la sentenza, se non quando
la necessità lo chiede. La carcere è dunque la semplice custodia
d'un Cittadino, finchè sia giudicato reo, e questa custodia essendo
essenzialmente penosa, deve durare il minor tempo possibile, e dev'essere
meno dura, che si possa. Il minor tempo dev'esser misurato, e dalla necessaria
durazione del Processo, e dall'anzianità di chi prima ha un diritto
di esser giudicato. La strettezza della carcere non può essere,
che la necessaria, o per impedire la fuga, o per non occultare le prove
dei delitti. Il Processo medesimo dev'essere finito nel più breve
tempo possibile. Qual più crudele contrasto, che [pag. 45] l'indolenza
di un Giudice, e le angosce d'un reo? I comodi, e i piaceri di un insensibile
Magistrato da una parte, e dall'altra le lagrime, lo squallore d'un prigioniero?
In generale il peso della pena, e la conseguenza di un delitto, dev'essere
la più efficace per gli altri, e la meno dura, che sia possibile
per chi la soffre; perchè non si può chiamare legittima società
quella dove non sia principio infallibile, che gli uomini si sian voluti
assoggettare ai minori mali possibili.
Ho detto, che la prontezza
delle pene è più utile, perchè quanto è minore
la distanza del tempo, che passa tra la pena, ed il misfatto, tanto è
più forte e più durevole nell'animo umano l'associazione
di queste due idee, delitto, e pena, talchè insensibilmente si considerano
uno come cagione, e l'altra come effetto necessario immancabile. Egli è
dimostrato, che l'unione delle idee è il cemento, che forma tutta
la fabbrica dell'intelletto umano, senza di cui il piacere, ed il dolore
sarebbero sentimenti isolati, e di nissun effetto: Quanto più gli
uomini si allontanano dalle idee generali, e dai principj universali, cioè
quanto più sono volgari, tanto più agiscono per le immediate
e più vicine associazioni, trascurando le più remote, e complicate,
che non servono, che agli uomini fortemente appassionati per [pag. 47]
l'oggetto, a cui tendono, poichè la luce dell'attenzione rischiara
un solo oggetto, lasciando gli altri oscuri. Servono parimente alle menti
più elevate, perchè hanno acquistata l'abitudine di scorrere
rapidamente su molti oggetti in una volta, ed hanno la facilità
di far contrastare molti sentimenti parziali gli uni cogli altri, cosicchè
il risultato, che è l'azione, è meno pericoloso ed incerto.
Egli è dunque di somma
importanza la vicinanza del Delitto, e della Pena, se si vuole, che nelle
rozze menti volgari alla seducente pittura di un tal delitto vantaggioso,
immediatamente riscuotasi l'idea associata della Pena. Il lungo ritardo
non produce altro effetto, che di sempre più disgiungere queste
due idee, e quantunque faccia impressione il castigo d'un delitto, la fa
meno come castigo, che come spettacolo, e non la fa, che dopo indebolito
negli animi degli spettatori l'orrore di un tal delitto particolare, che
servirebbe a rinforzare il sentimento della pena.
Un altro principio serve
mirabilmente a stringere sempre più l'importante connessione tra
il misfatto, e la pena; cioè, che questa sia conforme quanto più
si possa alla natura del Delitto. Questa analogia facilita mirabilmente
il contrasto, che dev'essere tra la spinta al delitto, e la ripercussione
della pena, cioè, che questa allontani, e conduca l'animo ad [pag.
48] un fine opposto di quello, per dove cerca d'incamminarlo la seducente
idea dell'infrazione della Legge.
Violenze
Altri delitti sono attentati
contro la persona, altri contro le sostanze. I primi debbono infallibilmente
esser puniti con pene corporali: nè il grande, nè il ricco
debbono poter mettere a prezzo gli attentati contro il debole ed il povero;
altrimenti le ricchezze, che sotto la tutela delle Leggi sono il premio
dell'industria, diventano l'alimento della tirannia. Non vi è libertà
ogni qual volta le Leggi permettono, che in alcuni eventi l'uomo cessi
di esser persona, e diventi cosa: vedrete allora l'industria del potente
tutta rivolta a far sortire dalla folla delle combinazioni civili quelle,
che la Legge gli dà in suo favore. Questa scoperta è il magico
segreto, che cangia i Cittadini in animali di servigio, che in mano del
forte è la catena con cui lega le azioni degl'incauti, e dei deboli.
Questa è la ragione per cui in alcuni Governi, che hanno tutta l'apparenza
di libertà, la tirannia sta nascosta, o s'introduce non prevista
in qualche angolo negletto dal legislatore, in cui insensibilmente prende
forza, e s'ingrandisce. Gli uomini mettono per lo più gli argini
più sodi all'aperta tirannia, ma non veggono l'insetto impercettibile,
che gli rode, ed apre una tanto più sicura, [pag. 49] quanto più
occulta strada al fiume inondatore.
Furti
I furti, che non hanno unito
violenza dovrebbero esser puniti con pena pecuniaria. Chi cerca d'arricchirsi
dell'altrui, dev'esser impoverito del proprio. Ma come questo non è
per l'ordinario, che il delitto della miseria, e della disperazione, il
delitto di quella infelice parte di uomini, a cui il diritto di proprietà
(terribile, ma forse necessario diritto) non ha lasciato, che una nuda
esistenza, la pena di supplemento sarà quell'unica sorte di schiavitù,
che si possa chiamar giusta, cioè la schiavitù per un tempo
delle opere, e della persona alla comune società, per risarcirla
colla propria, e perfetta dipendenza, dell'ingiusto dispotismo usurpato
sul patto sociale. Ma quando il furto sia misto di violenza, la pena dev'essere
parimente un misto di corporale, e di servile. Altri scrittori prima di
me hanno dimostrato l'evidente disordine, che nasce dal non distinguere
le pene dei furti violenti, da quelle dei furti dolosi facendo l'assurda
equazione di una grossa somma di denaro colla vita di un uomo; ma non è
mai superfluo il ripetere ciò che non è quasi mai stato eseguito.
Le macchine politiche conservano più d'ogni altra il moto concepito,
e sono le più lente ad acquistarne un nuovo. Questi sono delitti
di differente [pag. 50] natura, ed è certissimo anche in politica
quell'assioma di matematica, che tralle quantità eterogenee vi è
l'infinito, che le separa.
Infamia
Le ingiurie personali, e
contrarie all'onore, cioè a quella giusta porzione di suffragj,
che un Cittadino ha dritto di esigere dagli altri, debbono essere punite
coll'Infamia. Quest'Infamia è un segno della pubblica disapprovazione,
che priva il reo de' pubblici voti, della confidenza della Patria, e di
quella quasi fraternità, che la società inspira. Ella non
è in arbitrio della Legge. Bisogna dunque, che l'Infamia della Legge
sia la stessa, che nasce dai rapporti delle cose, la stessa, che la morale
universale, o la particolare dipendente dai sistemi particolari, legislatori
delle volgari opinioni, e di quella tal Nazione, inspirano. Se l'una è
differente dall'altra, o la Legge perde la pubblica venerazione, o l'idee
della morale, e della probità svaniscono, ad onta delle declamazioni,
che mai non resistono agli esempi. Chi dichiara infami azioni per se indifferenti
sminuisce l'Infamia delle azioni, che son veramente tali. Le pene d'Infamia
non debbono essere nè troppo frequenti, nè cadere sopra un
gran numero di persone in una volta; non il primo, perchè gli effetti
reali, e troppo frequenti delle cose d'opinione indeboliscono la forza
della opinione medesima, non il secondo, [pag. 51] perchè l'Infamia
di molti si risolve nella Infamia di nessuno.
Ecco la maniera di non confondere
i rapporti, e la natura invariabile delle cose, che non essendo limitata
dal tempo ed operando incessantemente, confonde, e svolge tutt'i limitati
regolamenti, che da lei si scostano. Non sono le sole arti di gusto, e
di piacere, che hanno per principio universale l'imitazione fedele della
natura, ma la politica stessa, almeno la vera, e la durevole, è
soggetta a questa massima generale, poichè ella non è altro,
che l'arte di meglio dirigere, e di rendere conspiranti i sentimenti immutabili
degli uomini.
Oziosi
Chi turba la tranquillità
pubblica; chi non ubbidisce alle Leggi, cioè alle condizioni, con
cui gli uomini si soffrono scambievolmente, e si difendono, quegli dev'esser
escluso dalla Società, cioè dev'essere bandito. Questa è
la ragione, per cui i saggi Governi non soffrono nel seno del travaglio,
e dell'industria, quel genere di ozio politico confuso dagli austeri declamatori
coll'ozio delle ricchezze accumulate dall'industria, ozio necessario, ed
utile a misura, che la Società si dilata, e l'amministrazione si
ristringe. Io chiamo ozio politico quello, che non contribuisce alla società
nè col travaglio, nè colla ricchezza, che acquista senza
giammai perdere, che venerato dal volgo con [pag. 52] stupida ammirazione,
risguardato dal saggio con isdegnosa compassione per gli Esseri, che ne
sono la vittima, che essendo privo di quello stimolo della vita attiva,
che è la necessità di custodire, o di aumentare i comodi
della vita, lascia alle passioni di opinione, che non sono le meno forti,
tutta la loro energia. Non è ozioso politicamente chi gode dei frutti
dei vizj, o delle virtù dei proprj antenati, e vende per attuali
piaceri il pane, e l'esistenza della industriosa povertà, ch'esercita
in pace la tacita guerra d'industria colla opulenza, in vece della incerta,
e sanguinosa colla forza. E però non l'austera, e limitata virtù
di alcuni censori, ma le leggi debbono definire qual sia l'ozio da punirsi.
Bando e Confische
Ma chi è bandito,
ed escluso per sempre dalla Società, di cui era membro, dev'egli
esser privato de' suoi beni? Questa quistione è suscettibile di
differenti aspetti. Il perdere i beni è una pena maggiore di quella
del Bando; vi debbono dunque essere alcuni casi, in cui proporzionatamente
a' delitti vi sia la perdita di tutto, o di parte dei beni, ed alcuni no.
La perdita del tutto sarà quando il Bando intimato dalla Legge sia
tale, che annienti tutt'i rapporti, che sono tra la Società, e un
Cittadino delinquente; allora muore il Cittadino, e resta l'uomo, e rispetto
al corpo politico deve [pag. 53] produrre lo stesso effetto, che la morte
naturale. Parrebbe dunque, che i beni tolti al reo dovessero toccare ai
legittimi successori, piuttosto che al Principe; poichè la Morte,
ed un tal Bando sono lo stesso, riguardo al corpo politico; ma non è
appoggiata a questa sottigliezza l'ingiustizia, che oso attribuire alle
confische dei beni! Se alcuni hanno sostenuto, che le confische sieno state
un freno alle vendette ed alle prepotenze private, non riflettono, che
quantunque le pene producano un bene, non però sono sempre giuste,
perchè per esser tali debbono esser necessarie, ed un'utile ingiustizia
non può esser tollerata da quel legislatore, che vuol chiudere tutte
le porte alla vigilante tirannia, di cui gli ordinarj pretesti sono il
bene momentaneo, e l'esterminio futuro, la felicità di alcuni illustri,
e le lacrime d'infiniti oscuri. Le confische mettono un prezzo sulle teste
dei deboli, fanno soffrire all'innocente la pena del reo, e pongono gl'innocenti
medesimi nella disperata necessità di commettere i delitti. Qual
più tristo spettacolo, che una famiglia strascinata all'infamia,
ed alla miseria, dai delitti di un capo, al quale la sommissione ordinata
dalle Leggi, impedirebbe il prevenirgli, quand'anche vi fossero i mezzi
per farlo!
Dello spirito di famiglia
Queste funeste, ed autorizzate
ingiustizie furono approvate dagli uomini anche più [pag. 54] illuminati,
ed esercitate dalle Repubbliche più libere, per aver considerato
piuttosto la Società come un'unione di famiglie, che come un'unione
di uomini. Vi siano cento mila uomini, o sia ventimila famiglie, ciascuna
delle quali è composta di cinque persone, compresovi il capo, che
la rappresenta: se l'associazione è fatta per le famiglie, vi saranno
ventimila uomini, e ottanta mila schiavi: se l'associazione è di
uomini, vi saranno cento mila Cittadini, e nessun schiavo. Nel primo caso
vi sarà una Repubblica, e ventimila piccole Monarchie, che la compongono;
nel secondo lo Spirito repubblicano non solo spirerà nelle piazze,
e nelle adunanze della Nazione, ma anche nelle domestiche mura, dove sta
gran parte della felicità o della miseria degli uomini. Nel primo
caso, come le Leggi ed i costumi sono l'effetto dei sentimenti abituali
dei membri della Repubblica, o sia dei capi della Famiglia, lo Spirito
monarchico s'introdurrà a poco a poco nella Repubblica medesima;
e i di lui effetti saranno frenati soltanto dagl'interessi opposti di ciascuno,
ma non già da un sentimento spirante libertà ed uguaglianza.
Lo spirito di famiglia è uno spirito di dettaglio, e limitato a
piccoli fatti. Lo spirito regolatore delle Repubbliche padrone dei principj
generali, vede i fatti, e gli condensa nelle Classi principali, ed importanti
al bene della [pag. 55] maggior parte. Nella Repubblica di famiglie i figli
rimangono nella potestà del capo, finchè vive, e sono costretti
ad aspettare dalla di lui morte una esistenza dipendente dalle sole Leggi;
avvezzi a piegare, ed a temere nell'età più verde, e vigorosa,
quando i sentimenti son meno modificati da quel timore di esperienza, che
chiamasi moderazione, come resisteranno essi agli ostacoli, che il vizio
sempre oppone alla virtù nella languida e cadente età, in
cui anche la disperazione di vederne i frutti si oppone ai vigorosi cambiamenti.
Quando la repubblica è
di uomini, la famiglia non è una subordinazione di comando, ma di
contratto, e i figli, quando l'età li trae dalla dipendenza di natura,
che è quella della debolezza, e del bisogno di educazione, e di
difesa, diventano liberi membri della Città, e si assoggettano al
capo di famiglia, per parteciparne i vantaggi, come gli uomini liberi nella
grande Società. Nel primo caso i figli, cioè la più
gran parte, e la più utile della Nazione, sono alla discrezione
dei Padri: Nel secondo, non sussiste altro legame comandato, che quel sacro
ed inviolabile di somministrarci reciprocamente i necessarj soccorsi, e
quello della gratitudine per i benefici ricevuti, il quale non è
tanto distrutto dalla malizia del cuore umano, quanto da una mal intesa
soggezione voluta dalle Leggi.
[pag. 56] Tali contradizioni
fralle Leggi di famiglia, e le fondamentali della Repubblica, sono una
feconda sorgente di altre contradizioni fralla morale domestica, e la pubblica,
e però fanno nascere un perpetuo conflitto nell'animo di ciascun
uomo. La prima inspira soggezione, e timore, la seconda coraggio, e libertà;
quella insegna a ristringere la beneficenza ad un piccol numero di persone
senza spontanea scelta, questa a stenderla ad ogni classe di uomini; quella
comanda un continuo sacrificio di se stesso a un idolo vano, che si chiama
bene di famiglia, che spesse volte non è il bene d'alcuno, che la
compone; questa insegna di servire ai proprj vantaggi senza offendere le
Leggi, o eccita ad immolarsi alla patria col premio del fanatismo, che
previene l'azione. Tali contrasti fanno, che gli uomini si sdegnino a seguire
la virtù, che trovano inviluppata, e confusa, e in quella lontananza,
che nasce dall'oscurità degli oggetti sì fisici, che morali.
Quante volte un uomo, rivolgendosi alle sue azioni passate, resta attonito
di trovarsi malonesto! A misura, che la Società si moltiplica, ciascun
membro diviene più piccola parte del tutto, e il sentimento repubblicano
si sminuisce proporzionalmente, se cura non è delle Leggi di rinforzarlo.
Le Società hanno come i corpi umani i loro limiti circonscritti,
al di là de' quali [pag. 57] crescendo, l'economia ne è necessariamente
disturbata. Sembra, che la massa di uno stato debba essere in ragione inversa
della sensibilità di chi lo compone, altrimenti crescendo l'una,
e l'altra, le buone Leggi troverebbero nel prevenire i delitti un ostacolo
nel bene medesimo, che hanno prodotto. Una Repubblica troppo vasta non
si salva dal dispotismo, che col sottodividersi, e unirsi in tante Repubbliche
federative. Ma come ottener questo? Da un dittatore dispotico, che abbia
il coraggio di Silla, e tanto genio d'edificare, quant'egli n'ebbe per
distruggere. Un tal uomo, se sarà ambizioso, la gloria di tutt'i
secoli lo aspetta, se sarà filosofo, le benedizioni de' suoi Cittadini
lo consoleranno della perdita dell'autorità, quando pure non divenisse
indifferente alla loro ingratitudine. A misura, che i sentimenti, che ci
uniscono alla Nazione, s'indeboliscono, si rinforzano i sentimenti per
gli oggetti, che ci circondano, e però sotto il dispotismo più
forte le amicizie sono più durevoli, e le virtù sempre mediocri
di famiglia, sono le più comuni, o piuttosto le sole. Da ciò
può ciascuno vedere quanto fossero limitate le viste della più
parte dei Legislatori.
Dolcezza delle Pene
Ma il corso delle mie idee
mi ha trasportato fuori del mio soggetto, al rischiaramento del quale debbo
affrettarmi. Uno dei più gran freni [pag. 58] dei delitti non è
la crudeltà delle pene, ma l'infallibilità di esse, e per
conseguenza la vigilanza dei Magistrati, e quella severità di un
Giudice inesorabile, che per essere un'utile virtù, dev'essere accompagnata
da una dolce legislazione. La certezza di un castigo, benchè moderato,
farà sempre una maggiore impressione, che non il timore di un altro
più terribile, unito colla speranza dell'impunità; perchè
i mali, anche minimi, quando son certi, spaventano sempre gli animi umani,
e la speranza, dono celeste, che sovente ci tien luogo di tutto, ne allontana
sempre l'idea dei maggiori, massimamente quando l'impunità, che
l'avarizia, la debolezza, spesso accordano, ne aumenti la forza. L'atrocità
stessa della pena fa, che si ardisca tanto di più per ischivarla,
quanto è grande il male a cui si va incontro; fa che si commettano
più delitti, per fuggir la pena di un solo. I paesi, e i tempi dei
più atroci supplicj furon sempre quelli delle più sanguinose
ed inumane azioni, poichè il medesimo spirito di ferocia, che guidava
la mano del Legislatore, reggeva quella del Parricida, e del Sicario: Sul
trono dettava Leggi di ferro ad anime atroci di schiavi, che ubbidivano:
Nella privata oscurità stimolava ad immolare i Tiranni per crearne
dei nuovi.
[pag. 59] A misura, che i
supplicj diventano più crudeli, gli animi umani, che come i fluidi
si mettono sempre a livello cogli oggetti che li circondano, s'incalliscono;
e la forza sempre viva delle passioni fa, che dopo cent'anni di crudeli
supplicj, la Ruota spaventi tanto, quanto prima la prigionia. Perchè
una pena ottenga il suo effetto, basta che il male della pena ecceda il
bene, che nasce dal delitto, e in questo eccesso di male dev'essere calcolata
l'infallibilità della pena, e la perdita del bene, che il delitto
produrrebbe: Tutto il di più è dunque superfluo, e perciò
tirannico. Gli uomini si regolano per la ripetuta azione dei mali, che
conoscono, e non su quelli, che ignorano. Si facciano due Nazioni, in una
delle quali, nella scala delle pene proporzionata alla scala dei delitti,
la pena maggiore sia la schiavitù perpetua, e nell'altra la Ruota:
Io dico, che la prima avrà tanto timore della sua maggior pena quanto
la seconda; e se vi è una ragione di trasportar nella prima le pene
maggiori della seconda, l'istessa ragione servirebbe per accrescere le
pene di quest'ultima, passando insensibilmente dalla ruota ai tormenti
più lenti, e più studiati, e fino agli ultimi raffinamenti
della scienza troppo conosciuta dai Tiranni.
Due altre funeste conseguenze
derivano dalla crudeltà delle pene, contrarie al fine [pag. 60]
medesimo di prevenire i delitti. La prima è, che non è sì
facile il serbare la proporzione essenziale tra il Delitto, e la Pena,
perchè quantunque un'industriosa crudeltà ne abbia variate
moltissimo le specie, pure non possono oltrepassare quell'ultima forza,
a cui è limitata l'organizzazione, e la sensibilità umana.
Giunto che si sia a questo estremo, non si troverebbe a' delitti più
dannosi, e più atroci, pena maggiore corrispondente, come sarebbe
d'uopo per prevenirli. L'altra conseguenza è, che la impunità
stessa nasce dall'atrocità dei supplicj. Gli uomini sono racchiusi
fra certi limiti sì nel bene, che nel male; ed uno spettacolo troppo
atroce per l'umanità, non può essere, che un passeggiero
furore, ma non mai un sistema costante, quali debbono essere le Leggi;
che se veramente son crudeli, o si cangiano, o l'impunità fatale
nasce dalle Leggi medesime.
Chi nel leggere le storie
non si raccapriccia d'orrore per i barbari ed inutili tormenti, che da
uomini, che si chiamavano Savj, furono con freddo animo inventati ed eseguiti?
Chi può non sentirsi fremere tutta la parte la più sensibile,
nel vedere migliaia d'infelici, che la miseria, o voluta, o tollerata dalle
Leggi, che hanno sempre favorito i pochi ed oltraggiato i molti, trasse
ad un disperato ritorno nel primo stato di natura, o accusati di delitti
[pag. 61] impossibili, e fabbricati dalla timida ignoranza, o rei non d'altro,
che di esser fedeli ai proprj principj, da uomini dotati dei medesimi sensi,
e per conseguenza delle medesime passioni, con meditate formalità,
e con lente torture lacerati, giocondo spettacolo di una fanatica moltitudine?
Della Pena di Morte
Questa inutile prodigalità
di supplicj, che non ha mai resi migliori gli uomini, mi ha spinto ad esaminare
se la Morte sia veramente utile, e giusta, in un Governo bene organizzato.
Qual può essere il diritto, che si attribuiscono gli uomini di trucidare
i loro simili? Non certamente quello da cui risulta la sovranità,
e le Leggi. Esse non sono, che una somma di minime porzioni della privata
libertà di ciascuno: Esse rappresentano la volontà generale,
che è l'aggregato delle particolari. Chi è mai colui, che
abbia voluto lasciare ad altri uomini l'arbitrio di ucciderlo? Come mai
nel minimo sacrificio della libertà di ciascuno vi può essere
quello del massimo tra tutti i beni, la vita? E se ciò fu fatto,
come si accorda un tal principio coll'altro, che l'uomo non è padrone
di uccidersi, e doveva esserlo, se ha potuto dare altrui questo diritto
o alla società intera?
Non è dunque la pena
di Morte un Diritto, mentre ho dimostrato, che tale essere non può;
ma è una guerra della Nazione con un [pag. 62] Cittadino, perchè
giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere: Ma se dimostrerò
non essere la Morte nè utilem, nè necessaria, avrò
vinto la causa dell'umanità.
La Morte di un Cittadino
non può credersi necessaria, che per due motivi. Il primo quando
anche privo di libertà egli abbia ancora tali relazioni, e tal potenza,
che interessi la sicurezza della Nazione; quando la sua esistenza possa
produrre una rivoluzione pericolosa nella forma di governo stabilita. La
Morte di qualche Cittadino divien dunque necessaria quando la Nazione ricupera,
o perde la sua libertà, o nel tempo dell'Anarchia, quando i disordini
stessi tengon luogo di Leggi; ma durante il tranquillo regno delle Leggi,
in una forma di Governo, per la quale i voti della Nazione siano riuniti,
ben munita, al di fuori, e al di dentro dalla forza, e dalla opinione,
forse più efficace della forza medesima, dove il comando non è,
che presso il vero Sovrano, dove le ricchezze comprano piaceri, e non autorità,
io non veggo necessità alcuna di distruggere un Cittadino, se non
quando la di lui Morte fosse il vero ed unico freno per distogliere gli
altri dal commettere delitti, secondo motivo, per cui può credersi
giusta, e necessaria la pena di morte.
Quando la sperienza di tutt'i
secoli, nei quali l'ultimo supplicio non ha mai distolti gli [pag. 63]
uomini determinati dall'offendere la Società, quando l'esempio dei
Cittadini Romani, e vent'anni di Regno dell'imperatrice Elisabetta di Moscovia,
nei quali diede ai Padri dei Popoli quest'illustre esempio, che equivale
almeno a molte conquiste comprate col sangue dei figli della Patria, non
persuadessero gli uomini, a cui il linguaggio della ragione è sempre
sospetto, ed efficace quello dell'autorità; basta consultare la
natura dell'uomo per sentire la verità della mia asserzione.
Non è l'intensione
della pena, che fa il maggior effetto sull'animo umano, ma l'estensione
di essa; perchè la nostra sensibilità è più
facilmente, e stabilmente mossa da minime, ma replicate impressioni, che
da un forte, ma passeggiero movimento. L'impero dell'abitudine è
universale sopra ogni essere che sente, e come l'uomo parla, e cammina,
e procacciasi i suoi bisogni col di lei ajuto, così l'idee morali
non si stampano nella mente, che per durevoli ed iterate percosse. Non
è il terribile ma passaggiero spettacolo della Morte di uno scellerato,
ma il lungo e stentato esempio di un uomo privo di libertà, che,
divenuto bestia di servigio, ricompensa colle sue fatiche quella Società,
che ha offesa, che è il freno più forte contro i delitti.
Quell'efficace, perchè spessissimo ripetuto ritorno sopra di noi
medesimi, [pag. 64] io stesso sarò ridotto a così lunga,
e misera condizione se commetterò simili misfatti, è assai
più possente, che non l'idea della Morte, che gli uomini veggon
sempre in una oscura lontananza.
La pena di Morte fa un'impressione,
che colla sua forza non supplisce alla pronta dimenticanza naturale all'uomo,
anche nelle cose più essenziali, ed accelerata dalle passioni. Regola
generale: Le passioni violenti sorprendono gli uomini, ma non per lungo
tempo, e però sono atte a fare quelle rivoluzioni, che di uomini
comuni ne fanno o dei Persiani, o dei Lacedemoni; ma in un libero, e tranquillo
Governo le impressioni debbono essere più frequenti, che forti.
La pena di Morte diviene
uno spettacolo per la maggior parte, e un oggetto di compassione mista
di sdegno per alcuni; ambidue questi sentimenti occupano più l'animo
degli spettatori, che non il salutare terrore, che la Legge pretende inspirare.
Ma nelle pene moderate, e continue il sentimento dominante è l'ultimo,
perchè è il solo. Avviene nel primo caso ciò che succede
in un dramma; torna l'avaro al suo scrigno; torna il Tiranno a far piangere
la vedova, e l'orfano.
Ecco presso a poco il ragionamento,
che fa un ladro o un assassino, i quali non hanno [pag. 65] altro contrappeso
per non violare le Leggi, che la Forca o la Ruota. So, che lo sviluppare
i sentimenti del proprio animo è un'arte, che s'apprende colla educazione;
ma perchè un Ladro non renderebbe bene i suoi principj, non per
ciò essi agiscon meno. Quali sono queste Leggi ch'io devo rispettare,
che lasciano un così grande intervallo tra me e il ricco? Egli mi
nega un soldo, che gli cerco, e si scusa col comandarmi un travaglio, che
non conosce. Chi ha fatte queste Leggi? Uomini ricchi, e potenti, che non
si sono mai degnati visitare le squallide capanne del povero, che non hanno
mai diviso un ammuffito pane fralle innocenti grida degli affamati figliuoli,
e le lagrime della moglie. Rompiamo questi legami fatali alla maggior parte
ed utili ad alcuni pochi ed indolenti tiranni: attacchiamo l'ingiustizia
nella sua sorgente: Ritornerò nel mio stato d'indipendenza naturale,
vivrò libero, e felice per qualche tempo coi frutti del mio coraggio,
e della mia industria, verrà forse il giorno del dolore, e del pentimento,
ma sarà breve questo tempo, ed avrò un giorno di stento per
molti anni di libertà, e di piaceri. Re di un piccol numero, correggerò
gli errori della fortuna, e vedrò questi tiranni impallidire, e
palpitare alla presenza di colui, che con un insultante fasto posponevano
ai loro cavalli, ai loro cani. Allora la Religione si affaccia alla mente
dello scellerato, che abusa [pag. 66] di tutto, e presentandoli un facile
pentimento ed una quasi certezza di eterna felicità, diminuisce
di molto l'orrore di quell'ultima Tragedia.
Ma colui, che si vede avanti
agli occhi un gran numero d'anni, o anche tutto il corso della vita, che
passerebbe nella schiavitù, e nel dolore in faccia a' suoi concittadini,
co' quali vive libero, e sociabile, schiavo di quelle Leggi, dalle quali
era protetto, fa un utile paragone di tutto ciò coll'incertezza
dell'esito de' suoi delitti, colla brevità del tempo, di cui ne
goderebbe i frutti. L'esempio continuo di quelli, che attualmente vede
vittime della propria inavvedutezza gli fa una impressione assai più
forte, che non lo spettacolo di un supplicio, che lo indurisce più
che non lo corregge.
Non è utile la pena
di Morte per l'esempio di atrocità, che dà agli uomini. Se
le passioni, o la necessità della guerra hanno insegnato a spargere
il sangue umano, le Leggi moderatrici della condotta degli uomini non dovrebbono
aumentare il fiero esempio tanto più funesto, quanto la Morte legale
è data con istudio, e con formalità. Parmi un assurdo, che
le Leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano,
e puniscono l'omicidio, ne commettono uno esse medesime, e per allontanare
i Cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio. Quali sono
[pag. 67] le vere, e le più utili Leggi? Quei patti, e quelle condizioni,
che tutti vorrebbero osservare e proporre, mentre tace la voce sempre ascoltata
dell'interesse privato, o si combina con quello del pubblico. Quali sono
i sentimenti di ciascuno sulla pena di Morte? Leggiamoli negli atti d'indegnazione,
e di disprezzo, con cui ciascuno guarda il carnefice, che è pure
un innocente esecutore della pubblica volontà, un buon Cittadino,
che contribuisce al ben pubblico, stromento necessario alla pubblica sicurezza
al di dentro, come i valorosi soldati al di fuori. Qual è dunque
l'origine di questa contradizione? E perchè è indelebile
negli uomini questo sentimento ad onta della ragione? Perchè gli
uomini nel più secreto dei loro animi, parte, che più d'ogn'altra
conserva ancor la forma originale della vecchia natura, hanno sempre creduto
non essere la vita propria in potestà di alcuno, fuori che della
necessità, che col suo scettro di ferro regge l'universo.
Che debbono pensare gli uomini
nel vedere i savj Magistrati, e i gravi Sacerdoti della Giustizia, che
con indifferente tranquillità fanno strascinare con lento apparato
un reo alla Morte, e mentre un misero spasima nelle ultime angosce, aspettando
il colpo fatale, passa il Giudice con insensibile freddezza, e fors'anche
con segreta compiacenza della propria [pag. 68] autorità, a gustare
i comodi, e i piaceri della vita? Ah diranno essi, queste Leggi non sono,
che i pretesti della forza, e le meditate, e crudeli formalità della
Giustizia; non sono, che un linguaggio di convenzione, per immolarci con
maggiore sicurezza, come vittime destinate in Sacrificio, all'Idolo insaziabile
del dispotismo.
L'assassinio, che ci vien
predicato come un terribile misfatto, lo veggiamo pure senza ripugnanza,
e senza furore adoperato. Prevalghiamoci dell'esempio. Ci pareva la Morte
violenta una scena terribile nelle descrizioni, che ci venivan fatte, ma
lo vediamo un affare di momento. Quanto lo sarà meno in chi, non
aspettandola, ne risparmia quasi tutto ciò che ha di doloroso. Tali
sono i funesti paralogismi, che se non con chiarezza, confusamente almeno,
fanno gli uomini disposti ai delitti, nei quali, come abbiam veduto, l'abuso
della Religione può più che la Religione medesima.
Se mi si opponesse l'esempio
di quasi tutt'i secoli, e di quasi tutte le Nazioni, che hanno data pena
di Morte ad alcuni delitti, io risponderò, che egli si annienta
in faccia alla verità, contro della quale non v'ha prescrizione;
che la Storia degli uomini ci dà l'idea di un immenso pelago di
errori, fra i quali poche, e confuse, e a grandi intervalli distanti, verità
soprannuotano. Gli umani sacrificj furon comuni [pag. 69] a quasi tutte
le Nazioni; e chi oserà scusarli? Che alcune poche Società,
e per poco tempo solamente, si sieno astenute dal dare la Morte, ciò
mi è piuttosto favorevole, che contrario, perchè ciò
è conforme alla fortuna delle grandi verità, la durata delle
quali non è, che un lampo, in paragone della lunga e tenebrosa notte,
che involge gli uomini. Non è ancor giunta l'Epoca fortunata, in
cui la verità, come finora l'errore, appartenga al più gran
numero, e da questa Legge universale non ne sono andate esenti fin ora,
che le sole verità, che la Sapienza infinita ha voluto divider dalle
altre col rivelarle.
La voce di un Filosofo è
troppo debole contro i tumulti, e le grida di tanti, che son guidati dalla
cieca consuetudine; ma i pochi saggi, che sono sparsi sulla faccia della
terra, mi faranno eco nell'intimo de' loro cuori; e se la verità
potesse, fra gl'infiniti ostacoli, che l'allontanano da un Monarca, mal
grado suo, giungere fino al suo trono, sappia, che ella vi arriva co' voti
segreti di tutti gli uomini; sappia, che tacerà in faccia a lui
la sanguinosa fama dei conquistatori; e che la giusta Posterità
gli assegna il primo luogo fra i pacifici Trofei dei Titi, degli Antonini,
e dei Trajani.
Felice l'umanità,
se per la prima volta le si dettassero Leggi, ora, che vediamo riposti
su [pag. 70] i Troni di Europa Monarchi benefici, animatori delle pacifiche
Virtù, delle Scienze, delle Arti, padri de' loro Popoli, Cittadini
coronati, l'aumento dell'autorità de' quali forma la felicità
de' sudditi, perchè toglie quell'intermediario dispotismo più
crudele, perchè men sicuro, da cui venivano soffogati i voti sempre
sinceri del Popolo, e sempre fausti quando posson giungere al Trono! Se
essi, dico, lascian sussistere le antiche Leggi, ciò nasce dalla
difficoltà infinita di togliere dagli errori la venerata ruggine
di molti secoli, ciò è un motivo per i Cittadini illuminati
di desiderare con maggiore ardore il continuo accrescimento della loro
autorità.
Della Cattura
Un errore non meno comune,
che contrario al fine sociale, che è l'opinione della propria sicurezza,
è il lasciare arbitro il Magistrato esecutore delle Leggi d'imprigionare
un Cittadino, di togliere la libertà ad un nemico per frivoli pretesti,
e di lasciare impunito un amico ad onta degl'indizi più forti di
reità. La Prigionia è una pena, che per necessità
deve, a differenza d'ogn'altra, precedere la dichiarazione del delitto,
ma questo carattere distintivo non le toglie l'altro essenziale, cioè,
che la sola Legge determini i casi nei quali un uomo è degno di
pena. La Legge dunque accennerà gl'indizj di un delitto, che meritano
la custodia del reo, che lo assoggettano ad un [pag. 71] esame, e ad una
pena. La pubblica fama, che lo accusa, una costante amicizia con l'offeso,
il corpo del delitto, e simili indizj, sono prove bastanti per catturare
un Cittadino; ma queste prove devono stabilirsi dalla Legge, e non dai
Giudici, i decreti de' quali sono sempre opposti alla libertà politica,
quando non sieno proposizioni particolari di una massima generale esistente
nel pubblico Codice. A misura, che le pene saranno moderate, che sarà
tolto lo squallore, e la fame dalle carceri, che la compassione, e l'umanità
penetreranno le porte ferrate, e comanderanno agl'inesorabili ed induriti
ministri della giustizia, le Leggi potranno contentarsi d'indizi sempre
più deboli per catturare. Un uomo accusato di un delitto, carcerato,
ed assoluto non dovrebbe portar seco nota alcuna d'infamia. Quanti romani
accusati di gravissimi delitti, trovati poi innocenti, furono dal popolo
riveriti, e di Magistrature onorati; ma per qual ragione è così
diverso ai tempi nostri l'esito di un innocente? Perchè sembra,
che nel presente sistema criminale, secondo l'opinione degli uomini, prevalga
l'idea della forza e della prepotenza, a quella della giustizia; perchè
si gettano confusi nella stessa caverna gli accusati, e i convinti; perchè
la prigione è piuttosto un supplicio, che una custodia del reo.
Durano ancora nel Popolo, ne' costumi, e nelle [pag. 72] Leggi, sempre
di più di un secolo inferiori in bontà ai lumi attuali di
una Nazione, durano ancora le barbare impressioni, e le feroci idee dei
settentrionali Cacciatori padri nostri.
Alcuni hanno sostenuto, che
in qualunque luogo commettasi un delitto, cioè un'azione contraria
alle Leggi, possa essere punito; quasi che il carattere di suddito fosse
indelebile, cioè sinonimo, anzi peggiore di quello di schiavo; quasi,
che uno potesse esser suddito di un dominio, ed abitare in un altro, e
che le di lui azioni potessero senza contradizione esser subordinate a
due Sovrani, e a due Codici sovente contradittori. Alcuni credono parimente,
che un'azione crudele fatta, per esempio, a Costantinopoli, possa esser
punita a Parigi, per l'astratta ragione, che chi offende l'umanità,
merita di avere tutta l'umanità inimica, e l'esecrazione universale;
quasi che i Giudici vindici fossero della sensibilità degli uomini,
e non piuttosto dei patti, che gli legano tra di loro. Il luogo della pena
è il luogo del delitto, perchè ivi solamente, e non altrove,
gli uomini sono sforzati di offendere un privato, per prevenire l'offesa
pubblica. Uno scellerato, ma che non ha rotti i patti di una Società,
di cui non era membro, può essere temuto, e però dalla forza
superiore della Società esiliato, ed escluso, ma non punito colle
[pag. 73] formalità delle Leggi vindici dei patti, non della malizia
intrinseca delle azioni.
Sogliono i rei di delitti
più Leggieri esser puniti o nell'oscurità di una prigione,
o mandati a dar esempio, con una lontana, e però quasi inutile schiavitù,
a Nazioni, che non hanno offeso. Se gli uomini non s'inducono in un momento
a commettere i più gravi delitti, la pubblica pena di un gran misfatto
sarà considerata dalla maggior parte come straniera, ed impossibile
ad accaderle; ma la pubblica pena di delitti più leggeri, ed a'
quali l'animo è più vicino, farà un'impressione, che
distogliendolo da questi, l'allontani viepiù da quegli. Le pene
non devono solamente esser proporzionate fra loro, ed ai delitti, nella
forza, ma anche nel modo d'infliggerle. Alcuni liberano dalla pena di un
piccolo delitto quando la parte offesa lo perdoni, atto conforme alla beneficenza,
ed all'umanità, ma contrario al ben pubblico, quasi che un Cittadino
privato potesse egualmente togliere, colla sua remissione, la necessità
dell'esempio, come può condonare il risarcimento dell'offesa. Il
diritto di far punire non è di un solo, ma di tutti i Cittadini,
o del Sovrano. Egli non può che rinunziare alla sua porzione di
diritto, ma non annullare quella degli altri.
Processi e Prescrizione.
Conosciute le prove, e calcolata
la certezza del delitto, è necessario concedere al reo [pag. 74]
il tempo, e mezzi opportuni per giustificarsi; ma tempo così breve,
che non pregiudichi alla prontezza della pena, che abbiamo veduto essere
uno de' principali freni de' delitti. Un mal inteso amore della umanità
sembra contrario a questa brevità di tempo, ma svanirà ogni
dubbio se si rifletta, che i pericoli dell'innocenza crescono coi difetti
della Legislazione.
Ma le Leggi devono fissare
un certo spazio di tempo, sì alla difesa del reo, che alle prove
de' delitti, e il Giudice diverrebbe Legislatore, se egli dovesse decidere
del tempo necessario per provare un delitto. Parimente quei delitti atroci,
dei quali lunga resta la memoria negli uomini, quando sieno provati, non
meritano alcuna prescrizione in favore del reo, che si è sottratto
colla fuga; ma i delitti minori, ed oscuri devono togliere colla prescrizione
l'incertezza della sorte di un Cittadino, perchè l'oscurità,
in cui sono stati involti per lungo tempo i delitti, toglie l'esempio della
impunità, rimane intanto il potere al reo di divenir migliore. Mi
basta accennar questi principj, perchè non può fissarsi un
limite preciso, che per una data Legislazione, e nelle date circostanze
di una Società; aggiungerò solamente, che provata l'utilità
delle pene moderate in una Nazione, le Leggi, che in proporzione dei delitti
scemano, o accrescono il tempo della prescrizione, o il tempo delle [pag.
75] prove, formando così della carcere medesima, o del volontario
esilio una parte di pena, somministreranno una facile divisione di poche
pene dolci per un gran numero di delitti.
Ma questi tempi non cresceranno
nell'esatta proporzione dell'atrocità de' delitti, poichè
la probabilità dei delitti è in ragione inversa della loro
atrocità. Dovrà dunque scemarsi il tempo dell'esame, e crescere
quello della prescrizione, il che parrebbe una contradizione di quanto
dissi, cioè, che possono darsi pene eguali a delitti diseguali,
valutando il tempo della carcere, o della prescrizione, precedenti la sentenza,
come una pena. Per ispiegare al Lettore la mia idea, distinguo due classi
di delitti: La prima è quella dei delitti atroci, e questa comincia
dall'omicidio, e comprende tutte le ulteriori sceleraggini; La seconda
è quella dei delitti minori. Questa distinzione ha il suo fondamento
nella natura umana. La sicurezza della propria vita è un diritto
di natura, la sicurezza dei beni è un diritto di Società.
Il numero de' motivi, che spingon gli uomini oltre il naturale sentimento
di pietà, è di gran lunga minore al numero de' motivi, che
per la naturale avidità di esser felici gli spingono a violare un
diritto, che non trovano ne' loro cuori ma nelle convenzioni della Società.
La massima differenza di probabilità di queste due classi esige,
che [pag. 76] si regolino con diversi principj: Nei delitti più
atroci, perchè più rari, deve sminuirsi il tempo dell'esame
per l'accrescimento della probabilità dell'innocenza del reo, e
deve crescere il tempo della prescrizione, perchè dalla definitiva
sentenza della innocenza, o reità di un uomo, dipende il togliere
la lusinga della impunità, di cui il danno cresce coll'atrocità
del delitto: Ma nei delitti minori scemandosi la probabilità dell'innocenza
del reo deve crescere il tempo dell'esame, e scemandosi il danno dell'impunità,
deve diminuirsi il tempo della prescrizione. Una tal distinzione di delitti
in due classi non dovrebbe ammettersi, se altrettanto scemasse il danno
dell'impunità quanto cresce la probabilità del delitto.
Delitti di prova difficile.
In vista di questi principj
strano parrà, a chi non riflette, che la ragione non è quasi
mai stata la Legislatrice delle Nazioni, che i delitti o più atroci
o più oscuri, e chimerici, cioè quelli, de' quali l'improbabilità
è maggiore, sieno provati dalle conghietture, e dalle prove più
deboli, ed equivoche; quasi che le Leggi, e il Giudice abbiano interesse
non di cercare la verità, ma di provare il delitto, quasichè
di condannare un innocente non vi sia un tanto maggior pericolo, quanto
la probabilità dell'innocenza supera la probabilità del reato.
Manca nella maggior parte degli uomini quel vigore [pag. 77] necessario,
egualmente per i grandi delitti, che per le grandi virtù; per cui
pare, che gli uni vadan sempre contemporanei colle altre in quelle Nazioni,
che più si sostengono per l'attività del governo, e delle
passioni cospiranti al pubblico bene, che per la massa loro o la costante
bontà delle Leggi. In queste le passioni indebolite sembran più
atte a mantenere, che a migliorare la forma di Governo. Da ciò si
cava una conseguenza importante, che non sempre in una Nazione i grandi
delitti provano il suo deperimento.
Vi sono alcuni delitti, che
sono nel medesimo tempo frequenti nella Società, e difficili a provarsi,
e in questi la difficoltà della prova tien luogo della probabilità
dell'innocenza, ed il danno dell'impunità essendo tanto meno valutabile,
quanto la frequenza di questi delitti dipende da principj diversi e dal
pericolo della impunità, il tempo dell'esame, e il tempo della prescrizione,
devono diminuirsi egualmente. E pure gli adulterj, la greca libidine, che
sono delitti di difficile prova, sono quelli, che secondo i principj ricevuti
ammettono le tiranniche presunzioni, le quasi–prove, le semi–prove (quasi,
che un uomo potesse essere semi–innocente o semi–reo, cioè semi–punibile,
e semi–assolvibile), dove la Tortura esercita il crudele suo impero nella
persona dell'accusato, nei [pag. 78] testimonj, e persino in tutta la famiglia
di un infelice, come con iniqua freddezza insegnano alcuni Dottori, che
si danno ai Giudici per norma, e per Legge.
L'adulterio è un delitto,
che considerato politicamente, ha la sua forza, e la sua direzione da due
cagioni; le Leggi variabili degli uomini, e quella fortissima attrazione,
che spinge l'un sesso verso l'altro; simile in molti casi alla gravità
motrice dell'universo, perchè come essa diminuisce colle distanze,
e se l'una modifica tutt'i movimenti de' corpi, così l'altra quasi
tutti quelli dell'animo, finchè dura il di lei periodo; dissimile
in questo, che la gravità si mette in equilibrio cogli ostacoli,
ma quella per lo più prende forza, e vigore col crescere degli ostacoli
medesimi.
Se io avessi a parlare a
Nazioni ancora prive della luce della Religione, direi, che vi è
ancora un'altra differenza considerabile fra questo, e gli altri delitti.
Egli nasce dall'abuso di un bisogno costante, ed universale a tutta l'umanità,
bisogno anteriore, anzi fondatore della Società medesima, laddove
gli altri delitti distruttori di essa hanno un'origine più determinata
da passioni momentanee, che da un bisogno naturale. Un tal bisogno sembra,
per chi conosce la storia, e l'uomo, sempre uguale nel medesimo clima ad
una quantità [pag. 79] costante. Se ciò fosse vero, inutili,
anzi perniciose sarebbero quelle Leggi, e quei costumi, che cercassero
diminuirne la somma totale, perchè il loro effetto sarebbe di caricare
una parte dei proprj, e degli altrui bisogni; ma sagge per lo contrario
sarebbero quelle, che per dir così, seguendo la facile inclinazione
del piano, ne dividessero, e diramassero la somma in tante eguali, e piccole
porzioni, che impedissero uniformemente in ogni parte e l'aridità,
e l'allagamento. La fedeltà coniugale è sempre proporzionata
al numero, ed alla libertà de' matrimoni. Dove la politica li combina,
dove la tirannia li lega, e li scioglie, ivi la galanteria ne rompe secretamente
i legami ad onta della morale volgare, il di cui officio è di declamare
contro gli effetti, perdonando alle cagioni. Ma non vi è bisogno
di tali riflessioni per chi vivendo nella vera religione, ha più
sublimi motivi, che correggono la forza degli effetti naturali. L'azione
di un tal delitto è così instantanea, e misteriosa, così
coperta da quel velo medesimo, che le Leggi hanno posto, velo necessario,
ma fragile, e che aumenta il pregio della cosa, in vece di scemarlo; le
occasioni così facili; le conseguenze così equivoche, che
è più in mano del Legislatore il prevenirlo, che correggerlo.
Regola generale: In ogni delitto, che per sua natura dev'essere il più
delle volte [pag. 80] impunito, la pena diviene un incentivo. Ella è
proprietà della nostra immaginazione, che le difficoltà,
se non sono insormontabili o troppo difficili rispetto alla pigrizia d'animo
di ciascun uomo, eccitano più vivamente l'immaginazione, ed ingrandiscono
l'oggetto, perchè elleno sono quasi altrettanti ripari, che impediscono
la vagabonda, e volubile immaginazione di sortire dall'oggetto, e costringendola
a scorrere tutt'i rapporti, più strettamente si attacca alla parte
piacevole, a cui più naturalmente l'animo nostro si avventa, che
non alla dolorosa e funesta, da cui fugge, e si allontana.
L'Attica Venere così
severamente punita dalle Leggi, e così facilmente sottoposta ai
tormenti vincitori dell'innocenza, ha meno il suo fondamento su i bisogni
dell'uomo isolato, e libero, che sulle passioni dell'uomo sociabile, e
schiavo. Essa prende la sua forza non tanto dalla sazietà dei piaceri,
quanto da quella educazione, che comincia per render gli uomini inutili
a se stessi per fargli utili ad altri, in quelle case, dove si condensa
l'ardente gioventù, dove essendovi un argine insormontabile ad ogni
altro commercio, tutto il vigore della natura, che si sviluppa, si consuma
inutilmente per l'umanità, anzi ne anticipa la vecchiaia.
L'infanticidio è parimente
l'effetto di una inevitabile contradizione, in cui è posta una [pag.
81] persona, che per debolezza, o per violenza abbia ceduto. Chi trovasi
tra l'infamia, e la morte di un essere incapace di sentirne i mali, come
non preferirà questa alla miseria infallibile, a cui sarebbero esposti
ella, e l'infelice frutto? La miglior maniera di prevenire questo delitto
sarebbe di proteggere con Leggi efficaci la debolezza contro la tirannia,
la quale esagera i vizi, che non possono coprirsi col manto della virtù.
Io non pretendo diminuire
il giusto orrore, che meritano questi delitti; ma indicandone le sorgenti,
mi credo in diritto di cavarne una conseguenza generale, cioè, che
non si può chiamare precisamente giusta (il, che vuol dire necessaria)
una pena di un delitto, finchè la Legge non ha adoperato il miglior
mezzo possibile nelle date circostanze d'una Nazione per prevenirlo.
Suicidio.
Il suicidio è un delitto,
che sembra non poter ammettere una pena propriamente detta, poichè
ella non può cadere, che o su gl'innocenti, o su di un corpo freddo,
ed insensibile. Se questa non farà alcuna impressione su i viventi,
come non lo farebbe lo sferzare una statua; quella è ingiusta e
tirannica, perchè la libertà politica degli uomini suppone
necessariamente, che le pene sieno meramente personali. Gli uomini amano
troppo la vita, e tutto ciò che gli circonda, li conferma in questo
amore. [pag. 82] La seducente immagine del piacere, e la speranza, dolcissimo
inganno de' mortali, per cui trangugiano a gran sorsi il male misto di
poche stille di contento, gli alletta troppo perchè temer si debba,
che la necessaria impunità di un tal delitto abbia qualche influenza
sugli uomini. Chi teme il dolore ubbidisce alle Leggi; ma la morte ne estingue
nel corpo tutte le sorgenti. Qual dunque sarà il motivo, che tratterrà
la mano disperata del Suicida?
Chiunque si uccide fa un
minor male alla Società, che colui, che ne esce per sempre dai confini;
perchè quegli vi lascia fino il suo corpo, ma questi trasporta se
stesso, e parte del suo avere. Anzi se la forza della Società consiste
nel numero de' Cittadini, col sottrarre se stesso, e darsi ad una vicina
Nazione, fa un doppio danno di quello, che lo faccia chi semplicemente
colla morte si toglie alla Società. La questione dunque si riduce
a sapere, se sia utile, o dannoso alla Nazione il lasciare una perpetua
libertà di assentarsi a ciascun membro di essa.
Ogni Legge, che non sia armata,
o, che la natura delle circostanze renda insussistente, non deve promulgarsi;
e come sugli animi regna l'opinione, che ubbidisce alle lente, ed indirette
impressioni del Legislatore, che resiste alle dirette, e violente; così
le Leggi inutili [pag. 83] disprezzate dagli uomini comunicano il loro
avvilimento alle Leggi anche più salutari, che sono risguardate
più come un ostacolo da superarsi, che come il deposito del pubblico
bene. Anzi se, come fu detto, i nostri sentimenti sono limitati, quanta
venerazione gli uomini avranno per oggetti estranei alle Leggi, tanto meno
ne resterà alle Leggi medesime. Da questo principio il saggio dispensatore
della pubblica felicità può trarre alcune utili conseguenze,
che, esponendole mi allontanerebbero troppo dal mio soggetto, che è
di provare l'inutilità di fare dello stato una prigione. Una tal
Legge è inutile, perchè a meno, che scogli inaccessibili,
o mare innavigabile, non dividano un paese da tutti gli altri, come chiudere
tutti i punti della circonferenza di esso, e come custodire i custodi?
Un tal delitto subito che è commesso non può più punirsi,
e il punirlo prima, che si commetta, è punire la volontà
degli uomini, e non le azioni; egli è un comandare all'intenzione,
parte liberissima dell'uomo dall'impero delle umane Leggi. Il punirlo quando
ritornasse il reo, sarebbe l'impedire, che si ripari il male fatto alla
Società, col rendere tutte le assenze perpetue. La proibizione stessa
di sortire da un paese ne aumenta il desiderio ai Nazionali di sortirne,
ed è un avvertimento ai forestieri di non introdurvisi.
[pag. 84] Che dovremo pensare
di un governo, che non ha altro mezzo per trattenere gli uomini, naturalmente
attaccati per le prime impressioni dell'infanzia, alla loro Patria, fuori,
che il timore? La più sicura maniera di fissare i Cittadini nella
Patria è di aumentare il ben essere relativo di ciascuno. Come devesi
fare ogni sforzo, perchè la bilancia del commercio sia in nostro
favore, così è il massimo interesse del Sovrano, e della
Nazione, che la somma della felicità, paragonata con quella delle
Nazioni circostanti, sia maggiore che altrove. I piaceri del lusso non
sono i principali elementi di questa felicità, quantunque questo
sia un rimedio necessario alla disuguaglianza, che cresce coi progressi
di una Nazione, senza di cui le ricchezze si addenserebbero in una sola
mano. Dove i confini di un paese si aumentano in maggior ragione, che non
la popolazione di esso, ivi il lusso favorisce il dispotismo, sì
perchè quanto gli uomini sono più rari, tanto più
difficile, e men temuta ne è la riunione, sì perchè
tutto ciò che aumenta la distanza tra il forte, e il debole, è
più favorito dal lusso nel minor numero, che nel maggiore, perchè
le adorazioni, gli ufficj, le distinzioni, la sommissione si ottengono
più facilmente dai pochi, che dai molti, essendo gli uomini tanto
più indipendenti, quanto meno osservati, e tanto meno [pag. 85]
osservati quanto maggiore ne è il numero. Ma dove la popolazione
cresce in maggior proporzione, che non i confini, il lusso si oppone al
dispotismo, perchè anima l'industria, e l'attività degli
uomini, e il bisogno offre troppi piaceri, e comodi al ricco, perchè
quegli d'ostentazione, che aumentano l'opinione di dipendenza, abbiano
il maggior luogo. Quindi può osservarsi, che negli stati vasti,
e deboli, e spopolati, se altre cagioni non vi mettono ostacolo, il lusso
d'ostentazione prevale a quello di comodo; ma negli stati popolati più
che vasti il lusso di comodo va sempre sminuendo quello di ostentazione.
Ma il commercio ed il passaggio de' piaceri del lusso ha questo inconveniente,
che quantunque facciasi per il mezzo di molti, pure comincia in pochi,
e termina in pochi, e solo pochissima parte ne gusta il maggior numero,
che non impedisce il sentimento della miseria, più cagionato dal
paragone, che dalla realità. Ma la sicurezza, e la libertà
limitata dalle sole Leggi sono quelle, che formano la base principale di
questa felicità, colle quali i piaceri del lusso favoriscono la
popolazione, senza di quelle divengono lo stromento della tirannia. Siccome
le fiere più generose, e i liberissimi uccelli si allontanano nelle
solitudini, e nei boschi inaccessibili, ed abbandonano le fertili, e ridenti
campagne all'uomo insidiatore, così gli [pag. 86] uomini fuggono
i piaceri medesimi quando la tirannia li distribuisce.
Egli è dunque dimostrato,
che la Legge, che imprigiona i sudditi nel loro Paese è inutile,
ed ingiusta. Dunque lo sarà parimente la pena del Suicidio, e perciò
quantunque sia una colpa, che Dio punisce, perchè solo può
punire anche dopo la morte, non è un delitto avanti gli uomini,
perchè la pena in vece di cadere sul reo medesimo, cade sulla di
lui famiglia. Se alcuno mi opponesse, che una tal pena può nondimeno
ritrarre un uomo determinato dall'uccidersi, io rispondo, che chi tranquillamente
rinuncia al bene della vita, che odia l'esistenza quaggiù, cosicchè
vi preferisce un'infelice eternità, deve essere niente mosso dalla
meno efficace, e più lontana considerazione dei figli, o dei parenti.
Contrabbandi.
Il Contrabbando è
un vero delitto, che offende il Sovrano, e la Nazione, ma la di lui pena
non dev'essere infamante, perchè commesso non produce infamia nella
pubblica opinione. Chiunque dà pene infamanti a' delitti, che non
sono reputati tali dagli uomini, scema il sentimento d'infamia per quelli,
che lo sono. Chiunque vedrà stabilita la medesima pena di morte,
per esempio, a chi uccide un Fagiano, ed a chi assassina un uomo, o falsifica
uno scritto importante, non farà alcuna differenza [pag. 87] tra
questi delitti, distruggendosi in questa maniera i sentimenti morali, opera
di molti secoli, e di molto sangue, lentissimi, e difficili a prodursi
nell'animo umano, per far nascere i quali fu creduto necessario l'ajuto
dei più sublimi motivi, e un tanto apparato di gravi formalità.
Questo delitto nasce dalla
Legge medesima; poichè, crescendo la gabella, cresce sempre il vantaggio,
e però la tentazione di fare il Contrabbando; e la facilità
di commetterlo cresce colla circonferenza da custodirsi, e colla diminuzione
del volume della merce medesima. La pena di perdere, e la merce bandita,
e la roba, che l'accompagna è giustissima; ma sarà tanto
più efficace quanto più piccola sarà la gabella, perchè
gli uomini non rischiano, che a proporzione del vantaggio, che l'esito
felice dell'impresa produrrebbe.
Ma perchè mai questo
delitto non cagiona infamia al di lui autore, essendo un furto fatto al
Principe, e per conseguenza alla Nazione medesima? Rispondo, che le offese,
che gli uomini credono non poter essere loro fatte, non l'interessano tanto,
che basti a produrre la pubblica indegnazione contro di chi le commette.
Tale è il Contrabbando. Gli uomini su i quali le conseguenze rimote
fanno debolissime impressioni, non veggono il danno, che può loro
[pag. 88] accadere per il Contrabbando; anzi sovente ne godono i vantaggi
presenti. Essi non vedono, che il danno fatto al Principe; non sono dunque
interessati a privare dei loro suffragj chi fa un Contrabbando, quanto
lo sono contro chi commette un furto privato, contro chi falsifica il carattere,
ed altri mali, che posson loro accadere. Principio evidente, che ogni essere
sensibile non s'interessa, che per i mali, che conosce.
Ma dovrassi lasciare impunito
un tal delitto contro chi non ha roba da perdere? No: vi sono dei Contrabbandi,
che interessano talmente la natura del Tributo, parte così essenziale,
e così difficile in una buona Legislazione, che un tal delitto merita
una pena considerabile fino alla prigione medesima, fino alla servitù;
ma prigione, e servitù conforme alla natura del delitto medesimo.
Per esempio la prigionia del Contrabbandiere di Tabacco non dev'essere
comune con quella del sicario, o del ladro, e i lavori del primo limitati
al travaglio, e servigio della Regalìa medesima, che ha voluto defraudare,
saranno i più conformi alla natura delle pene.
Dei debitori.
La buona fede dei Contratti,
la sicurezza del Commercio, costringono il Legislatore ad assicurare ai
creditori le persone dei debitori falliti, ma io credo importante il distinguere
il [pag. 89] fallito doloso dal fallito innocente; il primo dovrebbe esser
punito coll'istessa pena, che è assegnata ai falsificatori delle
monete, poichè il falsificare un pezzo di metallo coniato, che è
un pegno delle obbligazioni de' Cittadini, non è maggior delitto,
che il falsificare le obbligazioni stesse. Il fallito innocente dovrebbe
esser custodito come un pegno dei suoi debiti, ovvero adoperato nelle opere
sue in isconto, ma nutrito, ed alimentato da' creditori medesimi. Questo
è il solo caso, in cui la remissione della parti offese può
assolvere dalla pena della prigione, la quale è piuttosto un oggetto
privato, e civile, anzi che criminale.
Asili.
Mi restano ancora due questioni
da esaminare: l'una, se gli Asili sieno giusti, e se il patto di rendersi
fralle Nazioni reciprocamente i rei sia utile, o no. Dentro i confini di
un paese non dev'esservi alcun luogo indipendente dalle Leggi. La forza
di esse seguir deve ogni Cittadino, come l'ombra segue il corpo. L'impunità,
e l'Asilo non differiscono, che di più, e meno, e come l'impressione
della pena consiste più nella sicurezza d'incontrarla, che nella
forza di essa, gli Asili invitano più ai delitti di quello, che
le pene non allontanino. Moltiplicare gli Asili è il formare tante
piccole sovranità, perchè dove non sono Leggi, che comandano,
ivi possono formarsene delle nuove, ed [pag. 90] opposte alle comuni, e
però uno spirito opposto a quello del corpo intero della Società.
Tutte le istorie fanno vedere, che dagli Asili sortirono grandi rivoluzioni
negli stati, e nelle opinioni degli uomini. Ma se sia utile il rendersi
reciprocamente i rei fralle Nazioni, io non ardirei decidere questa questione
finchè le Leggi più conformi ai bisogni dell'umanità,
le pene più dolci, ed estinta la dipendenza dall'arbitrio, e dall'opinione,
non rendano sicura l'innocenza oppressa, e la detestata virtù; finchè
la tirannia non venga del tutto dalla ragione universale, che sempre più
unisce gl'interessi del Trono, e dei sudditi, confinata nelle vaste pianure
dell'Asia, quantunque la persuasione di non trovare un palmo di terra,
che perdoni ai veri delitti, sarebbe un mezzo efficacissimo per prevenirli.
Della taglia.
L'altra questione è,
se sia utile il mettere a prezzo la testa di un uomo conosciuto reo, ed
armando il braccio di ciascun Cittadino, farne un carnefice. O il reo è
fuori de' confini, o al di dentro: Nel primo caso il Sovrano stimola i
Cittadini a commettere un delitto, e gli espone ad un supplicio, facendo
così un'ingiuria ed una usurpazione d'autorità negli altrui
dominj, ed autorizza in questa maniera le altre Nazioni a far lo stesso
con noi; Nel secondo mostra la propria debolezza. Chi ha la forza per difendersi
non cerca di comprarla. [pag. 91] Di più, un tal editto sconvolge
tutte le idee di morale, e di virtù, che ad ogni minimo vento svaniscono
nell'animo umano. Ora le Leggi invitano al tradimento, ed ora lo puniscono.
Con una mano il Legislatore stringe i legami di famiglia, di parentela,
di amicizia, e coll'altra premia chi gli rompe, e chi gli spezza; sempre
contradittorio a se medesimo, ora invita alla fiducia gli animi sospettosi
degli uomini, ora sparge la diffidenza in tutt'i cuori. In vece di prevenire
un delitto, ne fa nascer cento. Questi sono gli espedienti delle Nazioni
deboli, le Leggi delle quali non sono, che istantanee riparazioni di un
edificio rovinoso, che crolla da ogni parte. A misura, che crescono i lumi
in una Nazione, la buona fede, e la confidenza reciproca divengono necessarie,
e sempre più tendono a confondersi colla vera politica. Gli artificj,
le cabale, le strade oscure ed indirette, sono per lo più prevedute,
e la sensibilità di tutti rintuzza la sensibilità di ciascuno
in particolare. I secoli d'ignoranza medesimi, nei quali la morale pubblica
piega gli uomini ad ubbidire alla privata, servono d'instruzione e di sperienza
ai secoli illuminati. Ma le Leggi, che premiano il tradimento, e che eccitano
una guerra clandestina spargendo il sospetto reciproco fra i Cittadini,
si oppongono a questa così necessaria riunione della morale, e della
Politica, a cui gli [pag. 92] uomini dovrebbero la loro felicità,
le Nazioni la pace, e l'universo qualche più lungo intervallo di
tranquillità, e di riposo ai mali, che vi passeggiano sopra.
Di un genere particolare
di delitti.
Chiunque leggerà questo
scritto accorgerassi, che io ho ommesso un genere di delitti, che ha coperto
l'Europa di sangue umano, e che ha alzate quelle funeste cataste, ove servivano
di alimento alle fiamme i vivi corpi umani, quand'era giocondo spettacolo,
e grata armonia per la cieca moltitudine l'udire i sordi confusi gemiti
dei miseri, che uscivano dai vortici di nero fumo, fumo di membra umane,
frallo stridere dell'ossa incarbonite, e il friggersi delle viscere ancor
palpitanti. Ma gli uomini ragionevoli vedranno, che il luogo, il secolo,
e la materia non mi permettono di esaminare la natura di un tal delitto.
Troppo lungo, e fuori del mio soggetto, sarebbe il provare come debba essere
necessaria una perfetta uniformità di pensieri in uno stato, contro
l'esempio di molte Nazioni; come opinioni, che distano tra di loro solamente
per alcune sottilissime, ed oscure differenze troppo lontane dalla umana
capacità, pure possano sconvolgere il ben pubblico, quando una non
sia autorizzata a preferenza delle altre; e come la natura delle opinioni
sia composta a segno che mentre alcune col contrasto fermentando, e combattendo
insieme si [pag. 93] rischiarano, e soprannotando le vere, le false si
sommergono nell'oblio, altre mal sicure per la nuda loro costanza, debbano
esser vestite di autorità, e di forza. Troppo lungo sarebbe il provare,
come, quantunque odioso sembri l'impero della forza sulle menti umane,
del quale le sole conquiste sono la dissimulazione, indi l'avvilimento;
quantunque sembri contrario allo spirito di mansuetudine, e fraternità
comandato dalla ragione, e dall'autorità, che più veneriamo,
pure sia necessario ed indispensabile. Tutto ciò deve credersi evidentemente
provato, e conforme ai veri interessi degli uomini, se v'è chi con
riconosciuta autorità lo esercita. Io non parlo, che dei delitti,
che emanano dalla natura umana, e dal patto sociale, e non dei peccati,
dei quali le pene, anche temporali, debbono regolarsi con altri principj,
che quelli di una limitata filosofia.
False Idee di utilità
Una sorgente di errori, e
d'ingiustizie sono le false idee d'utilità, che si formano i Legislatori.
Falsa idea d'utilità è quella, che antepone gl'inconvenienti
particolari all'inconveniente generale, quella, che comanda ai sentimenti
in vece di eccitargli, che dice alla logica, servi. Falsa idea di utilità
è quella, che sacrifica mille vantaggi reali, per un inconveniente
o immaginario, o di poca conseguenza, che toglierebbe agli uomini il fuoco
[pag. 94] perchè incendia, e l'acqua perchè annega; che non
ripara ai mali, che col distruggere. Falsa idea d'utilità è
quella, che vorrebbe dare a una moltitudine di esseri sensibili la simetria,
e l'ordine che soffre la materia bruta, e inanimata, che trascura i motivi
presenti, che soli con costanza, e con forza agiscono sulla moltitudine,
per dar forza ai lontani, de' quali brevissima, e debole è l'impressione,
se una forza d'immaginazione non ordinaria nella umanità, non supplisce
coll'ingrandimento alla lontananza dell'oggetto. Finalmente è falsa
idea d'utilità quella, che sacrificando la cosa al nome, divide
il ben pubblico dal bene di tutt'i particolari. Vi è una differenza
dallo stato di Società allo stato di natura, che l'uomo selvaggio
non fa danno altrui, che quanto basta per far bene a sè stesso,
ma l'uomo sociabile è qualche volta mosso dalle male Leggi a offender
altri senza far bene a se. Il dispotico getta il timore, e l'abbattimento
nell'animo de' suoi schiavi; ma ripercosso ritorna con maggior forza a
tormentare il di lui animo. Quanto il timore è più solitario,
e domestico, tanto è meno pericoloso a chi ne fa lo stromento della
sua felicità; ma quanto è più pubblico, ed agita una
moltitudine più grande di uomini, tanto è più facile,
che vi sia o l'imprudente, o il disperato, o l'audace accorto, che faccia
servire gli uomini al suo [pag. 95] fine, destando in essi sentimenti più
grati, e tanto più seducenti, quanto il rischio dell'intrapresa
cade sopra un maggior numero, ed il valore, che gl'infelici danno alla
propria esistenza, si sminuisce a proporzione della miseria, che soffrono.
Questa è la cagione, per cui le offese ne fanno nascere delle nuove;
che l'odio è un sentimento tanto più durevole dell'amore,
quanto il primo prende la sua forza dalla continuazione degli atti, che
indebolisce il secondo.
Come si prevengano i delitti
È meglio prevenire
i delitti, che punirli. Questo è il fine principale d'ogni buona
legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di
felicità, o al minimo d'infelicità possibile, per parlare
secondo tutt'i calcoli dei beni, e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati
fin ora sono per lo più falsi, ed opposti al fine proposto. Non
è possibile il ridurre la turbolenta attività degli uomini
ad un ordine geometrico senza irregolarità, e confusione. Come le
costanti e semplicissime Leggi della Natura non impediscono, che i Pianeti
non si turbino nei loro movimenti, così nelle infinite, ed oppostissime
attrazioni del piacere, e del dolore, non possono impedirsene dalle Leggi
umane i turbamenti, ed il disordine. Eppur questa è la chimera degli
uomini limitati, quando abbiano il comando in mano. Il proibire una moltitudine
di azioni indifferenti non è prevenire i [pag. 96] delitti, che
ne possono nascere, ma egli è un crearne dei nuovi, egli è
un definire a piacere la virtù ed il vizio, che ci vengono predicati
eterni ed immutabili. A che saremmo ridotti, se tutto ciò ci dovesse
essere vietato che può indurci a delitto? Bisognerebbe privare l'uomo
dell'uso de' suoi sensi. Per un motivo, che spinge gli uomini a commettere
un vero delitto, ve ne son mille, che li spingono a commetter quelle azioni
indifferenti, che chiamansi delitti dalle male Leggi; e se la probabilità
dei delitti è proporzionata al numero dei motivi, l'ampliare la
sfera dei delitti è un crescere la probabilità di commetterli.
La maggior parte delle Leggi non sono che privilegj, cioè un tributo
di tutti al comodo di alcuni pochi.
Volete prevenire i delitti?
Fate, che le Leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della Nazione
sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle.
Fate, che le Leggi favoriscano meno le classi degli uomini, che gli uomini
stessi. Fate, che gli uomini le temano, e temano esse sole. Il timor delle
Leggi è salutare, ma fatale, e fecondo di delitti è quello
di uomo a uomo. Gli uomini schiavi sono più voluttuosi, più
libertini, più crudeli degli uomini liberi. Questi meditano sulle
scienze, meditano sugl'interessi della Nazione, veggono grandi oggetti,
e li imitano; ma quegli contenti del giorno presente cercano frallo strepito
del libertinaggio una [pag. 97] distrazione dall'annientamento, in cui
si veggono; avvezzi all'incertezza dell'esito di ogni cosa, l'esito de'
loro delitti divien problematico per essi, in vantaggio della passione,
che gli determina. Se l'incertezza delle leggi cade su di una Nazione indolente
per clima, ella mantiene ed aumenta la di lei indolenza, e stupidità:
Se cade in una Nazione voluttuosa, ma attiva, ella ne disperde l'attività
in un infinito numero di piccole cabale, ed intrighi, che spargono la diffidenza
in ogni cuore, e che fanno del tradimento, e della dissimulazione la base
della prudenza. Se cade su di una Nazione coraggiosa e forte, l'incertezza
vien tolta alla fine, formando prima molte oscillazioni dalla libertà
alla schiavitù, e dalla schiavitù alla libertà.
Delle Scienze.
Volete prevenire i delitti?
Fate, che i lumi accompagnino la libertà. I mali, che nascono dalle
cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono
nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare,
ha le adorazioni di un popolo ignorante, e le fischiate di un illuminato.
Le cognizioni facilitando i paragoni degli oggetti, e moltiplicandone i
punti di vista, contrappongono molti sentimenti gli uni agli altri, che
si modificano vicendevolmente, tanto più facilmente quanto si preveggono
negli altri le medesime viste, e le medesime resistenze. In faccia a' [pag.
98] lumi sparsi con profusione nella Nazione tace la calunniosa ignoranza,
e trema l'autorità disarmata di ragioni, rimanendo immobile la vigorosa
forza delle Leggi; perchè non v'è uomo illuminato, che non
ami i pubblici, chiari, ed utili patti della comune sicurezza, paragonando
il poco d'inutile libertà da lui sacrificata, alla somma di tutte
le libertà sacrificate dagli altri uomini, che senza le Leggi poteano
divenire conspiranti contro di lui. Chiunque ha un'anima sensibile, gettando
uno sguardo su di un codice di Leggi ben fatte, e trovando di non aver
perduto, che la funesta libertà di far male altrui, sarà
costretto a benedire il Trono, e chi lo occupa
Non è vero, che le
scienze sian sempre dannose all'umanità, e quando lo furono era
un male inevitabile agli uomini. La moltiplicazione dell'uman genere sulla
faccia della terra introdusse la guerra, le arti più rozze, le prime
Leggi, che erano patti momentanei, che nascevano colla necessità,
e con essa perivano. Questa fu la prima filosofia degli uomini, i di cui
pochi elementi erano giusti, perchè la loro indolenza, e poca sagacità
gli preservava dall'errore. Ma i bisogni si moltiplicavano sempre più
col moltiplicarsi degli uomini. Erano dunque necessarie impressioni più
forti, e più durevoli, che gli distogliessero dai replicati ritorni
nel primo [pag. 99] stato d'insociabilità, che si rendeva sempre
più funesto. Fecero dunque un gran bene all'umanità quei
primi errori, che popolarono la terra di false divinità (dico gran
bene Politico), e che crearono un universo invisibile regolatore del nostro.
Furono benefattori degli uomini quelli, che osarono sorprenderli, e strascinarono
agli altari la docile ignoranza. Presentando loro oggetti posti di là
dai sensi, che loro fuggivan davanti a misura, che credean raggiungerli,
non mai disprezzati, perchè non mai ben conosciuti, riunirono e
condensarono le divise passioni in un solo oggetto, che fortemente gli
occupava. Queste furono le prime vicende di tutte le Nazioni; che si formarono
da popoli selvaggi; questa fu l'epoca della formazione delle grandi Società,
e tale ne fu il vincolo necessario, e forse unico. Non parlo di quel popolo
eletto da Dio, a cui i miracoli più straordinari, e le grazie più
segnalate tennero luogo della umana politica. Ma come è proprietà
dell'errore di sottodividersi all'infinito, così le scienze, che
ne nacquero, fecero degli uomini una fanatica moltitudine di ciechi, che
in un chiuso labirinto si urtano, e si scompigliano di modo, che alcune
anime sensibili, e filosofiche regrettarono persino l'antico stato selvaggio.
Ecco la prima Epoca, in cui le cognizioni, o per dir meglio le opinioni,
sono dannose.
[pag. 100] La seconda è
nel difficile e terribil passaggio dagli errori alla verità, dall'oscurità
non conosciuta alla luce. L'urto immenso degli errori utili ai pochi potenti,
contro le verità utili ai molti deboli; l'avvicinamento, ed il fermento
delle passioni, che si destano in quell'occasione, fanno infiniti mali
alla misera umanità. Chiunque riflette sulle storie, le quali dopo
certi intervalli di tempo si rassomigliano quanto all'Epoche principali,
vi troverà più volte una generazione intera sacrificata alla
felicità di quelle, che le succedono nel luttuoso, ma necessario
passaggio dalle tenebre dell'ignoranza alla luce della filosofia, e dalla
Tirannia alla libertà, che ne sono le conseguenze. Ma quando calmati
gli animi, ed estinto l'incendio, che ha purgata la Nazione dai mali, che
l'opprimono, la verità, i di cui progressi prima son lenti, e poi
accelerati, siede compagna su i Troni de' Monarchi ed ha culto ed Ara nei
Parlamenti delle Repubbliche, chi potrà mai asserire, che la luce,
che illumina la moltitudine, sia più dannosa delle tenebre, e che
i veri e semplici rapporti delle cose ben conosciute dagli uomini, lor
sien funesti?
Se la cieca ignoranza è
meno fatale, che il mediocre, e confuso sapere, poichè questi aggiunge
ai mali della prima, quelli dell'errore inevitabile da chi ha una vista
ristretta al di [pag. 101] qua dei confini del vero, l'uomo illuminato
è il dono più prezioso, che faccia alla Nazione, ed a se
stesso il Sovrano, che lo rende depositario, e custode delle sante Leggi.
Avvezzo a vedere la verità, e a non temerla, privo della maggior
parte dei bisogni dell'opinione non mai abbastanza soddisfatti, che mettono
alla prova la virtù della maggior parte degli uomini, assuefatto
a contemplare l'umanità dai punti di vista più elevati, avanti
a lui la propria Nazione diventa una famiglia di uomini fratelli, e la
distanza dei grandi al popolo gli par tanto minore, quanto è maggiore
la massa dell'umanità, che ha avanti gli occhi. I Filosofi acquistano
dei bisogni, e degli interessi non conosciuti dai volgari, quello principalmente
di non ismentire nella pubblica luce i principj predicati nell'oscurità,
ed acquistano l'abitudine di amare la verità per se stessa. Una
scelta di uomini tali forma la felicità di una Nazione; ma felicità
momentanea, se le buone Leggi non ne aumentino talmente il numero, che
scemino la probabilità sempre grande di una cattiva elezione.
Magistrati.
Un altro mezzo di prevenire
i delitti si è d'interessare il Consesso esecutore delle Leggi piuttosto
all'osservanza di esse, che alla corruzione. Quanto maggiore è il
numero, che lo compone, tanto è meno pericolosa l'usurpazione sulle
Leggi, perchè la venalità è più [pag. 102]
difficile tra membri, che si osservano tra di loro, e sono tanto meno interessati
ad accrescere la propria autorità, quanto minore ne è la
porzione, che a ciascuno ne toccherebbe, massimamente paragonata col pericolo
dell'intrapresa. Se il Sovrano coll'apparecchio, e colla pompa, coll'austerità
degli editti, col non permettere le giuste, e le ingiuste querele di chi
si crede oppresso, avvezzerà i sudditi a temere più i Magistrati,
che le Leggi, essi profitteranno più di questo timore di quello,
che non ne guadagni la propria, e pubblica sicurezza.
Ricompense.
Un altro mezzo di prevenire
i delitti è quello di ricompensare la virtù. Su di questo
proposito osservo un silenzio universale nelle Leggi di tutte le Nazioni
del dì d'oggi. Se i premi proposti dalle Accademie ai discopritori
delle utili verità hanno moltiplicato e le cognizioni, e i buoni
libri; perchè non i premi distribuiti dalla benefica mano del Sovrano,
non moltiplicherebbeno altresì le azioni virtuose? La moneta dell'onore
è sempre inesausta, e fruttifera nelle mani del saggio distributore.
Educazione.
Finalmente il più
sicuro, ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è
di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto, e che eccede i confini,
che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo [pag.
103] intrinsecamente alla natura del Governo, perchè non sia sempre
fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo
sterile, e solo coltivato qua, e là da pochi saggi. Un grand'uomo,
che illumina l'umanità, che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio
quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini,
cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti, che
nella scelta e precisione di essi, nel sostituire gli originali alle copie
nei fenomeni sì morali, che fisici, che il caso o l'industria presenta
ai novelli animi dei giovani, nello spingere alla virtù per la facile
strada del sentimento, e nel deviarli dal male per la infallibile della
necessità, e dell'inconveniente, e non colla incerta del comando,
che non ottiene, che una simulata, e momentanea ubbidienza.
Conclusione.
Conchiudo con una riflessione,
che la grandezza delle pene dev'essere relativa allo stato della Nazione
medesima. Più forti, e sensibili devono essere le impressioni sugli
animi induriti di un popolo appena uscito dallo stato selvaggio. Vi vuole
il fulmine per abbattere un feroce Leone, che si rivolta al colpo del fucile.
Ma a misura, che gli animi si ammolliscono nello stato di Società,
cresce la sensibilità, e crescendo essa, deve scemarsi la forza
della pena, se costante vuol mantenersi la [pag. 104] relazione tra l'oggetto,
e la sensazione. A misura che le pene divengono più dolci, la clemenza,
ed il perdono diventano meno necesarj: Felice la Nazione, nella quale sarebbero
funesti!
Da quanto si è veduto
finora può cavarsi un Teorema generale molto utile, ma poco conforme
all'uso, Legislatore il più ordinario delle Nazioni, cioè
= perchè ogni pena non sia una violenza di uno, o di molti contro
un privato Cittadino, dev'essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria,
la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata ai delitti,
dettata dalle Leggi.
FINE
ERRATA CORRIGE
pag. lin.
5. 22 a cui colle quali
12. 24 sono non sono
18. 23 alle rivoluzioni colle
rivoluzioni
19. 10 dal per
19. 25 ed ogni ad ogni
27. 5 altri altrui
28. 5 sua loro
49. 26 macchie macchine
62. 12 vien divien
63. 12 intenzione intensione
67. 10 pubblico lo stromento
pubblico, stromento
67. 20 dalla della
68. 6 al sacrificio in sacrificio
70. 10 ciò è
ciò nasce
76. 14 dovrebbe non dovrebbe
79. 18 Religione ragione
77. 19 diversi e dall'impunità
medesima diversi dal pericolo della impunità
82. 25 rendano renda
88. 1 del per il
90. 10 rendasi rendano
96. 20 di esse di essa
Questi sono gli errori più
importanti trascorsi per difetto del manoscritto, gli altri può
facilmente il Lettore corregerli da se. |
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