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[Il
vecchio e il giovane]
Dispregiando uno vecchio
pubblicamente un giovane, mostrando aldacemente non temer quello, onde
il giovane li rispuose che la sua lunga età li faceva migliore scudo
che la lingua o la forza.
[L’artigiano e il signore]
Uno artigiano andando spesso
a vicitare un signore, sanza altro proposito dimandare, al quale il signore
domandò quello che andava facendo. Questo disse che venia lì
per avere de’ piaceri che lui aver non potea; perocchè lui volentieri
vedeva omini più potenti di lui, come fanno i popolari, ma che ‘l
signore non potea vedere se non omini di men possa di lui: e per questo
i signori mancavano d’esso piacere.
[L’uomo con la spada]
Uno vede una grande spada
allato a un altro e dice:” O poverello! Ell’è gran tempo ch’io t’ho
veduto legato a questa arme: perché non ti disleghi, avendo le mani
disciolte e possiedi libertà?”
Al quale costui rispose:”
Questa è una cosa non tua, anzi è vecchia.” Questo, sentendosi
mordere, rispuose:” Io ti conosco sapere sì poche cose in questo
mondo, ch’io credevo che ogni divulgata cosa a te fussi per nova.
[Due viandanti nella notte]
Due camminando di notte per
dubbiosa via, quello dinanzi fece gran strepido col culo; e disse l’altro
compagno: “ Or veggo io ch’i son da te amato”. “Come?” disse l’altro. Quel
rispose;” Tu mi porgi la correggia perch’io non caggia, né mi perda
da te”.
[Il gioco delle brache]
Uno disputandosi e vantandosi
di sapere fare molti vari e belli giochi, un altro de’ circustanti disse:”
Io so fare uno gioco il quale farà trarre le brache a chi a me parirà”.
Il primo vantatore, trovandosi sanza brache: “Che no”, disse, “che a me
non le farai trarre! E vadano un paro di calze”. Il proponitore d’esso
gioco, accettato lo ‘nvito, impromutò più para di brache
e trassele nel volto al mettitore delle calze. E vinse il pegno.
[Gli occhi dallo strano colore]
Uno disse a un suo conoscente:
“Tu hai tutti li occhi trasmutati in istrano colore”. Quello li rispose
intervenirli spesso. “Ma tu non ci hai posto cura? E quando t’addivien
questo?” Rispose l’altro: “Ogni volta ch’e mia occhi veggono il tuo viso
strano, per violenza ricevuta da sì gran dispiacere, subito e’ s’impallidiscano
e mutano in istran colore”.
[La stessa]
Uno disse a un altro: “Tu
hai tutti li occhi mutati in istran colore”. Quello li rispose: “Egli è
perché i mia occhi veggono il tuo viso strano”.
[Il paese in cui nascevano
le cose più strane]
Uno disse che in suo paese
nasceva le più strane cose del mondo. L’altro rispose: “Tu che vi
se’ nato, confermi ciò esser vero, per la stranezza della tua brutta
presenza”.
[La lavandaia e il prete]
Una lavava i panni e pel
freddo aveva i piedi molto rossi, e, passandole appresso, uno prete domandò
con ammirazione donde tale rossezza dirivassi; al quale la femmina subito
rispuose che tale effetto accadeva, perché ella aveva sotto il foco.
Allora il prete mise mano a quello membro, che lo fece essere più
prete che monaca, e, a quella accostatosi, con dolce e sommessiva voce
pregò quella che ‘n cortesia li dovessi un poco accendere quella
candela.
[Il prete e il pittore]
Andando un prete per la sua
parrocchia il sabato santo, dando, com’è usanza, l’acqua benedetta
per le case, capitò nella stanza d’un pittore, dove spargendo essa
acqua sopra alcuna sua pittura, esso pittore, voltosi indirieto alquanto
scrucciato , disse, perché facessi tale spargimento sopra le sue
pitture.
Allora il prete disse essere
così usanza, e ch’ era suo debito il fare così e che faceva
bene, e chi fa bene debbe aspettare bene e meglio, che così promettea
Dio, e che d’ogni bene, che si faceva in terra, se n’arebbe di sopra per
ogni un cento. Allora il pittore, aspettato ch’elli uscissi fori, se li
fece di sopra alla finestra, e gittò un gran secchione d’acqua addosso
a esso prete, dicendo: “Ecco che di sopra ti viene per ogni un cento, come
tu dicesti che accaderebbe nel bene, che mi facevi colla tua acqua santa,
colla quale m’hai guasto mezze le mie pittura”.
[Un frate e il mercante]
Usano i frati minori, a certi
tempi, alcune loro quaresime, nelle quali essi non mangiano carne ne’ lor
conventi; ma in viaggio, perché essi vivano di limosine, hanno licenzia
di mangiare ciò che è posto loro innanzi. Onde, abbattendosi
in detti viaggi una coppia d’essi frati a un’osteria in compagnia d’un
certo me[r]cantuolo, il quale, essendo a una medesima mensa, alla quale
non fu portato, per la povertà dell’ostieri, altro che un pollastro
cotto, onde esso mercantuolo, vedendo questo essere poco per lui, si volse
a essi frati, e disse: “Se io ho ben di ricordo, voi non mangiate in tali
dì ne’ vostri conventi d’alcuna maniera di carne”. Alle quali parole
i frati furono costretti, per la loro regola, sanza alt[r]e gavillazioni,
a dire ciò essere la verità: onde il mercantetto ebbe il
suo desiderio; e così si mangiò essa pollastra, e i frati
feciono il meglio poterono.
Ora, dopo tale desinare,
questi commensari si partirono tutti e tre di compagnia; e dopo alquanto
di viaggio, trovati un fiume di bona larghezza e profondità, essendo
tutti tre a piedi – i frati per povertà e l’altro per avarizia -,
fu necessario, per l’uso della compagnia, che uno dei frati, essendo discalzi,
passassi sopra i suoi omeri esso mercantuolo: on[de] datoli il frate a
serbo i zoccoli, si caricò di tale omo.
Onde accadde che, trovandosi
esso frate in mezzo del fiume, esso ancora si ricordò de la sua
regola; e fermatosi, a uso di San Cristofano, alzò la testa inverso
quello che l’aggravava, e disse: “Dimmi un poco, hai tu nessun dinari addosso?”.“Ben
sai”, rispose questo,” come credete voi che la mia pari mercatante andassi
altrementi attorno?” “Oimè!”, disse il frate, “la nostra regola
vieta che noi non possiano portare danari addosso.” E subito lo gettò
nell’acqua. La qual cosa, conosciuta dal mercatante facetamente la già
fatta ingiuria essere vendicata, con piacevole riso, pacificamente, mezzo
arrossito per vergogna, la vendetta sopportò.
[L’amico e il maldicente]
Uno lasciò lo usare
con uno suo amico, perché quello spesso li diceva male delli amici
sua. Il quale lasciato l’amico, un dì, dolendosi collo amico, e
dopo il molto dolersi, lo pregò che gli dicesse quale fusse la cagione
che lo avessi fatto dimenticare tanta amicizia. Al quale esso rispose:
“Io non voglio più usare con teco perch’io ti voglio bene e non
voglio che, dicendo tu male ad altri di me tuo amico, che altri abbiano
a fare, come me, a fare trista impressione di te, dicendo tu a quelli male
di me tuo amico; onde non usando noi più insieme, parrà che
noi siamo fatti nimici e per il dire tu male di me, com’è tua usanza,
non sarai tanto da essere biasimato, come se noi usassimo insieme”.
[La putta e il prete]
Una putta mostrò il
cuno d’una capra ‘n cambio del suo a un prete, e prese un grosso, e così
lo beffò.
[La donna e il “triste passo”]
La femmina nel passare uno
tristo e fangoso, tre verità. Ella nell’alzarsi colle mani i panni
dirieto e dinnanzi si tocca la potta e l’culo e dice: “Questo è
uno triste passo!”
[Il seguace di Pitagora]
Uno volendo provare colla
alturità di Pitagora come altre volte lui era stato al mondo, e
uno non li lasciava finire il suo ragionamento, allo costui disse a questo
tale: “E per tale segnale che io altre volte ci fussi stato, io mi ricordo
che tu eri mulinaro”. Allora costui, sentendosi mordere colle parole, gli
confermò essere vero, che per questo contrassegno lui si ricordava
che questo tale era stato l’asino, che li portava la farina.
[Un pittore dai brutti figli]
Fu dimandato un pittore,
perché facendo lui le figure sì belle, che eran cose morte,
per che causa avessi fatto i figlioli sì brutti. Allora il pittore
rispose che le pitture le fece di dì e i figlioli di notte.
[Il viaggiatore e la gabella]
Uno andando a Modana ebbe
a pagare cinque soldi di gabella della sua persona. Alla qual cosa, cominciato
a fare gran cramore e ammirazione, attrasse a sé molti circunstanti,
i quali domandando donde veniva tanta maraviglia, ai quali Maso rispose:
“O non mi debbo io maravigliare con ciò sia che tutto un omo non
paghi altro che cinque soldi, e a Firenze io, solo a metter dentro el cazzo,
ebbi a pagare dieci ducati d’oro, e qui metto el cazzo e coglioni e tutto
il resto per sì piccol dazio? Dio salvi e mantenga tal città
e chi la governa!”
[Il malato e la madonna Bona]
Sendo uno infermo in articulo
di morte, esso sentì battere la porta e domandato uno de’ sua servi
chi era che batteva l’uscio, esso servo rispose essere una che si chiamava
Madonna Bona. Allora l’infermo, alzato le braccia al cielo, ringraziò
Dio con alta voce, poi disse ai servi che lasciassino venire presto questa,
acciò che potessi vedere una donna bona innanzi che esso morissi,
imperocchè in sua vita ma’ ne vide nessuna.
[Il dormiglione]
Fu detto a uno che si levasse
dal letto, perché già era levato il sole, e lui rispose:
“Se io avessi a fare tanto viaggio e faccende quanto lui, ancora io sarei
già levato, e però, avendo a fare sì poco cammino,
ancora no mi vo’ levare”.
[L’arciprete e lo sparviero]
Facezia dell’arciprete di
Sancta Maria del Monte, che sta a Varese, che fu mandato legato al Duca
‘n iscambio d’uno sparviere.
[L’illegittimo]
Uno rimproverò a uno
omo da bene che non era legittimo. Al quale esso rispose esser legittimo
nelli ordini della spezie umana e nella legge di natura, ma che lui nell’una
era bastardo, perch’egli aveva più costumi di bestia che d’omo,
e nella legge delli omini non avea certezza d’esser ligittimo.
[Il ladro e il merciaio]
Sapiendo un ladro che ‘n
suo cognoscente merciaio avea assai danari ‘n una cassa in sua bottega,
fece pensiero di rubarliele, e di mezzanotte, entrato in bottega d’esso
merciaio, cominciato a dare ordine alla sua intenzione, fu sopraggiunto,
la bottega dischiavata dal gran catenaccio. E con grande spavento, posto
li occhi alle fessure donde spirava il lume del ladro, subito serrò
di fori il catenaccio; e serrato il ladro in bottega, corse per la famiglia
del rettore. Allora il ladro, trovandosi dentro serrato, ricorse a un subito
scampo della salute sua, e, accesi due candelieri del merciaio e cavato
fori un paio di carte da giucare, parte ne gittò per terra, dov’era
tristo giuoco, e altrettante ne serbò in mano con gioco bono, e
così aspettò la famiglia del rettore. La quale subito che
giunse col cavalieri, costui ch’era in bottega, sentendo dischiavare l’uscio,
gridò: “Alla fede di Dio, tu m’hai serrato qui per non mi pagare
li danari che io t’ho vinti. E io ti giuro che tu mi farà ‘l dovere.
E non si vole giuocare, chi non vuol perdere. Tu m’hai fatto mezzo giucar
per forza e poi, quando perdi, ti fuggi for di bottega co’ tua danari e
co’ mia, e mi serri dentro, perché io non ti corra dirieto”. E così
detto, li cacciò la mano alla scarsella per ispiccarliela dal lato.
Allora il cavalieri, parendoli esser stato giuntato, fece che ‘l merciaio
li diede i danari che colui dimandava ch’eran sua.
[Il povero e il signore]
Uno povero omo fece intendere
a uno usceri d’un gran signore come e’ dovessi dire al suo signore, che
quivi era venuto un suo fratello, il quale avea gran bisogno di parlarli.
Il quale usceri, avendo riferita tale imbasciata, ebbe comessione di dare
l’entrata a tale fratello. Il quale giunto al cospetto del signore, li
mostrò come, essendo tutti discesi dal gran padre Adam, ch’elli
era suo fratello, e che la roba era mal divisa, e che lo pregava che cacciassi
da lui tale povertà, perché a gran pena potea vivere di limosine.
Allora il signori rispose ch’elli era ben lecito tale richiesta e domandò
il tesorieri e feceli donare un soldo. Allora il povero ebbe grande ammirazione
e disse che quel non si richiedea a tal fratello. Allora il signore disse
ch’egli avea tanti simili fratelli, che a dar tanto per ciascuno, che non
li rimanea niente a lui, e che tal soldo era bastante a tal divisione di
roba. E così con lecita licenzia lo divise da tal redità.
[Il tavolaccio e la lancia]
Uno, vedendo una femmina
parata a tener tavola in giostra, guardò il tavolaccio e gridò,
vedendo la sua lancia: “Oimè, quest’è troppo picciol lavorante
a sì gran bottega!” |
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