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- Ristrutturazione
- Demolizione e fedele ricostruzione del manufatto - Prescrizione
relativa al
divieto di demolizione e ricostruzione - Illegittimità - Invalidità
degli atti
di sospensione dei lavori e di annullamento d’ufficio della concessione
edilizia fondati sul rilievo dell’inosservanza della prescrizione
illegittima.
Secondo un univoco e consolidato
orientamento giurisprudenziale (cfr. ex multis C.S., Sez. IV, 2 aprile
2002,
n.1824), il concetto di ristrutturazione edilizia di cui all’art.31 c.1
lett.
d) l. n.457/78 comprende anche la demolizione seguita dalla fedele
ricostruzione del manufatto, con l’unica condizione che la
riedificazione
assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra
il
vecchio ed il nuovo manufatto. Tale definizione del contenuto della
ristrutturazione edilizia, è stata peraltro codificata dall’art.3
lett.d) del
decreto legislativo 6 giugno 2001, n.378 (testo unico dell’edilizia).
La
riscontrata illegittimità ed il conseguente annullamento della
prescrizione,
contenuta nella concessione edilizia, relativa al divieto di
demolizione e
fedele ricostruzione del manufatto in questione implicano, in via
immediata e
diretta, l’invalidità degli atti di sospensione dei lavori e di
annullamento
d’ufficio della concessione edilizia, in quanto erroneamente fondati
sul
duplice rilievo dell’inosservanza della predetta (illegittima) clausola
e della
conseguente impossibilità di procedere alla ricostruzione
dell’edificio, a
seguito del suo abbattimento. Consiglio di Stato, Sezione V –
18 settembre
2003, n. 5310
- Manutenzione
straordinaria o di risanamento conservativo - Interventi che non
alterino
volumi e superfici - La redistribuzione di volumi - Ristrutturazione
edilizia
soggetta a concessione edilizia.
Solo gli
interventi che non alterino volumi e superfici sono annoverabili tra
quelli di
manutenzione straordinaria o di risanamento conservativo (cfr. TAR
Lombardia
Milano, Sez.II, 9.4.2002, n.1388; TAR Sardegna 2.6.2000, n. 561,
secondo cui
gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della
distribuzione
interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino la
redistribuzione di volumi, non sono configurabili né come manutenzione
straordinaria,
né come risanamento conservativo, ma rientrano nell’ambito della
ristrutturazione edilizia soggetta a concessione edilizia (art.31,
lettera d)
L.n.457/1978; cfr. in termini, C. d. S, V, 23.5.2000, n. 2988,
25.11.99, n.
1971, 17.12.1996, n. 1551, 14.12.94, n. 1469, 13.7.92, n. 646, 23.4.91,
n. 644,
2.4.91, n. 374). TAR LAZIO, SEZ. II BIS - Sentenza 25 luglio
2003 n. 6670
- Opere
interne - Interventi modificativi degli spazi interni per creare vani
accessori, nuovi volumi o maggiori superfici utili - La costruzione di
un
solaio - Concessione edilizia - Necessità.
La giurisprudenza ha evidenziato che l’art. 26 della legge n.47 del
1985 è inapplicabile alle opere interne che comportino, come nella
specie,
interventi modificativi degli spazi interni per creare vani accessori,
nuovi
volumi o maggiori superfici utili (cfr. C.d.S., V, 5.3.2001, n.1244)
ovvero la
costruzione di un solaio comportante la realizzazione di un piano
ulteriore
determinando una definitiva modificazione dell’interno del fabbricato
e, come
tale, in quanto travalicante la definizione di opere interne prevista
dal
citato art. 26, soggetto al rilascio di concessione edilizia (cfr.
ancora,
C.d.S., V, 9.2.2001, n.577, 24.2.95, n.247 e12.9.92, n.789; TAR
Toscana, sez.I,
10.12.97). TAR LAZIO, SEZ. II BIS - Sentenza 25 luglio 2003
n. 6670
- Opere
comportanti aumento di volume o di superficie utile - La modifica della
sagoma
dell’edificio - concessione edilizia - Necessità - sanzione della
demolizione.
Le opere comportanti aumento di volume o di superficie
utile e la modifica della sagoma dell’edificio, sono soggette a
concessione
edilizia e, qualora realizzate abusivamente senza tale titolo, sono
soggette
alla sanzione della demolizione. TAR LAZIO, SEZ. II BIS -
Sentenza 25 luglio
2003 n. 6670
- La
concessione edilizia in una località classificata sismica - Costruzione,
sopraelevazione o riparazioni in località sismica - Preavviso scritto,
notificato a mezzo del messo comunale o mediante lettera raccomandata
con
ricevuta di ritorno, contemporaneamente, al sindaco ed all'ufficio
tecnico
della regione o all'ufficio del genio civile - Necessità - Responsabilità - Effetti - Distanza dal ciglio stradale.
In base all’art. 17 della legge n. 64 del 1974 già
citato, infatti, chi vuole eseguire in località sismica una
costruzione,
sopraelevazione o riparazioni è tenuto “a darne preavviso scritto,
notificato a
mezzo del messo comunale o mediante lettera raccomandata con ricevuta
di
ritorno, contemporaneamente, al sindaco ed all'ufficio tecnico della
regione o
all'ufficio del genio civile secondo le competenze vigenti”. Il Sindaco
(oggi
il dirigente dell’U.T.C.), responsabile del governo urbanistico del
territorio
comunale, prima di rilasciare una concessione edilizia (oggi permesso a
costruire) in una località classificata sismica e per la quale è
necessaria la
preventiva autorizzazione degli uffici competenti, è tenuto, ad avviso
della
Sezione, ad accertare la regolarità di tale autorizzazione, nei suoi
profili di
ordine formale, in quanto tali profili si riflettono sul titolo
concessorio,
invalidandolo se irregolari. (La costruzione di cui alla concessione
edilizia
assentita è alta 18 metri mentre, in base alla normativa antisismica
contenuta
nel Decreto del Ministro dei Lavori Pubblici del 16.1.1996, n. 19, non
avrebbe
dovuto superare gli undici metri - distanza dal ciglio stradale). Consiglio
di Stato, Sezione V - 14 luglio 2003, sentenza n. 4165
- Urbanistica
ed edilizia - Modifica destinazione d'uso - Disciplina urbanistica -
Poteri
regolamentari della regione - Mutamento di destinazione d'uso di
immobili, o di
loro parti - All'interno degli stessi raggruppamenti - Concessione
edilizia -
Esclusione - Semplice autorizzazione - L. n. 662/1996, L. n. 47/1985 e
D. P. R.
n. 380/2001. In
materia
edilizia, compete alle Regioni, ai sensi dell'art. 2, comma 60, della
legge 23
dicembre 1996 n. 662, modificativo dell'art. 25 della legge 28 febbraio
1985 n.
47, stabilire quali mutamenti di destinazione d'uso di immobili, o di
loro
parti, connessi o meno a trasformazioni fisiche, siano escluse dal
regime
concessorio (ora permesso di costruire) e subordinate a semplice
autorizzazione, purché le previsioni regionali tengano conto delle
disposizioni
di principio poste dallo Stato. (In applicazione di tale principio
risulta
legittima la sottoposizione alla denuncia di inizio attività, prevista
dalla
legge Regione Calabria n. 19 del 2002, dei mutamenti di destinazione
d'uso che
intervengono all'interno degli stessi raggruppamenti). PRES. Savignano
G REL.
Squassoni C COD.PAR.368 IMP. Lattari PM. (Conf.) Di Zenzo C. CORTE
DI
CASSAZIONE Penale, Sez. III, 13 giugno 2003 (CC. 09/04/2003), RV.
225472, Sentenza
n. 25738
- Urbanistica
ed Edilizia - Disposizioni
di cui al T. U. n. 380/2001 - Ristrutturazione edilizia - Demolizione e
ricostruzione di immobili - Nozione - Ricostruzione di rudere -
Esclusione -
Nuova costruzione - Art. 3 D. P. R. n. 380/2001.
In materia edilizia, anche in base
alle nuove disposizioni contenute nel D. P.R. 6 giugno 2001 n. 380,
costituisce
nuova costruzione l'intervento di demolizione e di successiva
ricostruzione di
un rudere, in quanto la demolizione per essere ricondotta alla nuova
nozione
legislativa di 'ristrutturazione edilizia' deve essere contestualizzata
temporalmente nell'ambito di un intervento unitario volto nel suo
complesso
alla conservazione di un edificio che risulti ancora esistente e
strutturalmente identificabile al momento dell'inizio dei lavori. Pres.
Vitalone
C - Est. Fiale A - Imp. Pellegrino M - PM. (Conf.) Geraci V. CORTE
DI
CASSAZIONE Penale sez. III, 28 marzo 2003 (UD.04/02/2003) RV. 224571,
Sentenza
n. 14455
-
Disciplina
edilizia - Ristrutturazione edilizia - Realizzazione di un organismo
edilizio
in parte diverso dal precedente - Permesso di costruire - Necessità -
Condizioni di esclusione del provvedimento “concessorio” -
Individuazione - L.
n. 443/2001 - Artt. 3 e 10 D. P. R. n. 380/2001 - L. n. 47/1985.
Per la recente disciplina urbanistica ed edilizia,
ivi compresa quella di cui all'art. 1 comma 6, della legge 21 dicembre
2001 n.
443 e agli art 3, comma 1, e 10, comma 1, del D.P.R. 6 giugno 2001 n.
380
(Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia) realizza l'ipotesi di ristrutturazione edilizia ai sensi
dell'art. 31
della legge 5 agosto 1978 n. 457, con conseguente necessità della
concessione
(ora sostituita dal permesso di costruire) la realizzazione di un
organismo
edilizio in parte diverso dal precedente, atteso che non è subordinato
al
preventivo rilascio del provvedimento "concessorio" solo l'intervento
che non comporti aumento di unità immobiliari, modifiche del volume,
della
sagoma, dei prospetti o delle superfici. (Fattispecie nella quale la
Corte ha
ravvisato l'ipotesi di ristrutturazione edilizia nell'integrale
sostituzione
della struttura di copertura di un immobile, realizzata a falde
inclinate, con
la creazione di nuovi pilastri e di un cordolo di appoggio). Pres.
Papadia U -
Est. Teresi A - Imp. Iacovacci B - PM. (Conf.) Ciampoli L.
CORTE DI CASSAZIONE
Penale sez. III, 17 marzo 2003 (CC. 25/02/2003) RV. 224364, Sentenza n.
12369
- Urbanistica
- Sostituzione della struttura di copertura di un edificio – Interventi
di
ristrutturazione e permesso di costruire – Configurazione legislativa -
D.P.R.
380/2001 - Applicazione.
Sono assoggettate alle prescrizioni della ristrutturazione gli
interventi
definiti nell’art. 31, L. 457/1978 e nell’art. 3, lett. d), D.P.R.
380/2001,
(nella specie si è trattato di: integrale sostituzione della struttura
di
copertura di un edificio, creazione di nuovi pilastri e di un cordolo
di
appoggio, copertura a falde inclinate e tamponatura) solo qualora non
abbiano dato
luogo a organismo edilizio in parte diverso dal precedente. I lavori
che non
comportino aumento di unità immobiliari o modifiche al volume o della
sagoma,
dei prospetti o delle superfici o, limitatamente agli immobili inclusi
nelle
zone omogenee A, se non producono mutamenti delle destinazioni d’uso,
non sono
subordinati a permesso di costruire. Iacovacci - CASSAZIONE
PENALE sezione
III del 17 marzo 2003
- Immobili
sottoposti a vincolo paesaggistico - Interventi di manutenzione
straordinaria -
D.P.R. n. 380/2001 – Autorizzazione - Casi si esonero – Limiti - art.
31, comma
1 lett. b), l. n. 457/1978. La
qualificazione d’interventi di manutenzioni straordinaria (D.P.R. 6
giugno 2001
n. 380 testo unico in materia edilizia) e il relativo esonero
dell’autorizzazione paesaggistica per gli immobili sottoposti a vincolo
è
previsto solo per interventi contemplati dall’art. 31, comma 1 lett.
b), della
Legge n. 457/1978 a condizione che la realizzazione delle opere non
producano,
in nessun caso, alterazione dello stato dei luoghi. Haggiag e altri - CASSAZIONE
PENALE, Sez. III, 3 marzo 2003 (ud. Del 23 gennaio 2003) RV 224175
Sentenza n.
9519
- Manutenzione
ordinaria e straordinaria - Conservazione delle parti e servizi comuni
dell’edificio - responsabilità e poteri dell’amministratore.
L’amministratore è titolare ope legis - salvo
diverse disposizioni statutarie o regolamentari - non solo del dovere
di
erogazione delle spese attinenti alla manutenzione ordinaria e alla
conservazione delle parti e servizi comuni dell’edificio, ai sensi
dell’articolo 1130 numeri 3 e 4 Cc, ma anche del potere di «ordinare
lavori di
manutenzione straordinaria che rivestano carattere urgente» con
l’obbligo di
«riferirne nella prima assemblea dei condomini», ai sensi dell’articolo
1135
comma 2 Cc; di talché deve riconoscersi in capo allo stesso l’obbligo
giuridico
di attivarsi senza indugio per la eliminazione delle situazioni
potenzialmente
idonee a cagionare la violazione della regola del neminem laedere
(Cassazione,
sezione prima, 4 marzo 1997, Cancelliere; 19 giugno 1996, Vitale;
sezione
quarta, 6 maggio 1983, Scarabelli, rv. 159977; sezione sesta, 22 aprile
1980,
Lavagna, rv. 145901; 4 maggio 1973, Parisi, rv. 125614; sezione terza,
13
luglio 1962, La marca, rv. 98901). Negli edifici condominiali ‑ poiché
l’articolo 677 Cp prevede che anche persona diversa dal proprietario
sia tenuta
alla conservazione, manutenzione o riparazione dell’edificio ‑
l’obbligo
giuridico di rimuovere il pericolo derivante dalla minacciante rovina
di parti
comuni della costruzione incombe sull’amministratore, pur potendo esso
risorgere in via autonoma a carico dei singoli condomini qualora, per
cause
accidentali (ad esempio: indisponibilità dei fondi necessari o rifiuto
dei
condomini di contribuire alla costituzione del fondo spese occorrente),
l’amministratore non possa adoperarsi allo scopo suindicato con la
necessaria
urgenza. Corte di Cassazione Sez. I Penale - Sentenza 25
febbraio 2003, n.
9027
- La
circostanza che l’edificio sia stato abbandonato, con conseguente
crollo di
parte della sua struttura, non è preclusiva sull’intervento di recupero
- Interventi di ristrutturazione e di ampliamento - La destinazione
abitativa
nelle zone agricole - Illegittimità del diniego di concessione
edilizia. Non
può, dubitarsi che il manufatto
in questione (l’edificio è stato abbandonato, con conseguente crollo di
parte
della sua struttura), per come classificato nel vecchio catasto
(allegato dalla
ricorrente sub 12) per la sua ubicazione nel territorio e per le sue
caratteristiche strutturali, sia stato ab origine destinato a casa
colonica
(non risultando, peraltro, documentate o suggerite diverse
utilizzazioni,
compatibili con le sue dimensioni e la sua posizione) e, quindi, ad
abitazione
di contadini. La disciplina edilizia di riferimento, posto che il
combinato
disposto degli artt.8 c.7 della L.R. dell’Umbria n.53/74 e 13 delle
N.T.A. ammette
gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, nella zona (B/2)
in cui
ricade l’immobile della ricorrente, dei fabbricati destinati ad
abitazione
esistenti al momento dell’adozione da parte del Comune del P.R.G. In
tale senso
depone, anzitutto, l’esame della lettera della disposizione di
riferimento
(che, richiedendo la mera destinazione abitativa, pare indicare una
tipologia
di edificio piuttosto che il suo stato di conservazione) ma,
soprattutto,
l’indagine della sua ratio che, conducendo all’agevole individuazione
della
finalità di favorire il recupero, per mezzo della ristrutturazione e
dell’ampliamento, dell’uso di manufatti altrimenti inidonei ad
assolvere
l’originaria destinazione abitativa nelle zone agricole, impone di
preferire
l’opzione ermeneutica che assegna alla norma un contenuto precettivo
coerente
con il suo scopo e, quindi, compatibile con l’ammissibilità della
ristrutturazione di edifici parzialmente demoliti (purchè inizialmente
destinati ad abitazione). Il diniego di concessione edilizia impugnato
in primo
grado deve, in definitiva, giudicarsi illegittimo siccome erroneamente
assunto
sulla base di ragioni impeditive infondatamente basate su uno scorretto
apprezzamento della documentazione tecnica attestante la volumetria
dell’edificio
e su un’errata valutazione del requisito della destinazione abitativa. Consiglio
di Stato Sezione V, del 24 febbraio 2003, Sentenza n. 985
- Intervento
di restauro e risanamento conservativo - La trasformazione di una
stalla - Fabbricato agricolo - Cambiamento della destinazione d’uso.
La trasformazione di una stalla,
aperta su tre lati, in una o più unità abitative, non può configurarsi
come un
intervento di restauro e risanamento conservativo, ma come una radicale
trasformazione dell’immobile. A questa nuova destinazione devono,
pertanto,
commisurarsi gli oneri di urbanizzazione ed il contributo di
costruzione, di
cui alla citata legge n. 10 del 1977. Questa Sezione ha, infatti, avuto
modo,
di recente, di porre in rilievo che il rifacimento di un fabbricato
agricolo,
con opere anche interne, con il fine di un radicale cambiamento della
destinazione d’uso, da rurale a quella di civile abitazione, comporta
un
maggior cari-co urbanistico (n. 4397 del 10 agosto 2000). Ne segue che,
se è
illegittima la richiesta di pagamento degli oneri di urbanizzazione se
non si
verifica la variazione del carico predetto (n. 3251 del 20 giugno
2001), è
invece conforme a legge l’imposizione degli oneri al mutamento del
carico
stesso. Consiglio di Stato, Sezione V – 14 febbraio 2003 -
Sentenza n. 798
- Legge
della Regione Marche n.31 del
1979 - Figura della ristrutturazione edilizia, secondo la definizione
dell’art.31, lettera d) della legge n.457 del 1978. Il
carattere specifico della
legislazione regionale de qua sta proprio nel fatto che essa intende
riferirsi
ad una ben precisa tipologia di strutture edilizie già esistenti per le
quali,
in deroga alla normativa generale ed in via del tutto transitoria, sono
consentiti soltanto ampliamenti e sopra elevazioni: deve trattarsi di
case ad
un piano fuori terra e di costruzioni che avuto riguardo alla struttura
edilizia esistente ed agli edifici circostanti presentano evidenti
caratteristiche di non completezza. Lo scopo della legge è molto
specifico: si
tratta di favorire l’integrazione nel tessuto urbano circostante di
case che
concepite in una diversa fase dello sviluppo edilizio presentano
comunque un
qualche pregio urbanistico, ed hanno bisogno ora di essere completate e
rese
omogenee con l’assetto circostante, conservando in sostanza l’organismo
edilizio preesistente. Quindi la legge regionale non può esser
interpretata
utilizzando lo schema della ristrutturazione edilizia, che risponde in
via
generale ad altre finalità e scopi. La precarietà e l’incompletezza dei
fabbricati interessati dalla legge regionale, doveva condurre ad
autorizzare
interventi tali da non realizzare un incremento della domanda di
servizi cioè
ad un incremento della pressione urbanistica che caratterizza il
comparto in
cui l’intervento viene assentito. La legge presuppone quindi la
sostanziale
conservazione dell’organismo edilizio già esistente, che andava
completato,
anche attraverso una sopraelevazione, utilizzando le stesse strutture
esistenti. Il fatto che l’appellante per dimostrare la legittimità
della
concessione deve spostare l’asse dell’interpretazione della legge
regionale de
qua sulla figura della ristrutturazione, quale definita della
legislazione
statale, è la dimostrazione che lo scopo della legge regionale è altro
e che la
concessione assentita in realtà, come correttamente osserva il giudice
di prime
cure, ha utilizzato lo schema della legge regionale n.31/1979 per
finalità che
potevano eventualmente essere conseguite attraverso altri strumenti
legislativi
ed urbanistici , ma non con quello impropriamente evocato nella
concessione.
Dagli atti emerge che un villino unifamiliare è stato trasformato in un
fabbricato di civile abitazione composto da n.6 appartamenti e dalle
caratteristiche strutturali ed architettoniche completamente diverse:
il fatto
che l’appellante insiste sulla non modificazione finale della
volumetria
dell’edificio è la dimostrazione che egli continua a svolgere un
ragionamento,
fattuale e giuridico, tutto dentro lo schema della ristrutturazione
edilizia,
schema non utilizzabile nella tecnica della legge regionale de qua. E
che si
tratti di ristrutturazione che ha radicalmente modificato la natura e
l’impatto
urbanistico dell’edificio preesistente, è dimostrato anche da fatto che
l’altezza finale dell’edificio risulta non solo in contrasto con la
concessione, ma con le norme del PRG vigente. Consiglio di
Stato, Sez. V -
29 gennaio 2003 - Sentenza n. 445
- Interventi
di recupero del patrimonio edilizio esistente - Condizioni - Manutenzione
ordinaria - Manutenzione straordinaria - Restauro - Risanamento
conservativo - Ristrutturazione edilizia e urbanistica - Conservazione o rinnovazione
della
funzionalità - Avvenuta pregressa ultimazione del manufatto - Necessità
-
Mancanza - Possibilità di ricorso a procedure semplificate - Interventi
eseguiti su edifici non ultimati - Esclusione.
Rientrano negli interventi di recupero del
patrimonio edilizio esistente, previsti dall'art. 31 della legge 5
agosto 1978
n. 457, gli interventi di manutenzione ordinaria, quelli di
manutenzione
straordinaria, di restauro o risanamento conservativo, di
ristrutturazione
edilizia e urbanistica, che presuppongono un edificio già ultimato e
funzionante, del quale si intende conservare o rinnovare la
funzionalità,
atteso che deve trattarsi di "recupero" del patrimonio edilizio
esistente.
Conseguentemente non è possibile applicare il regime semplificato
dell'autorizzazione o della denuncia di inizio attività, previa
qualificazione
delle opere come di manutenzione straordinaria o restauro, per gli
interventi
eseguiti su edifici non ultimati. Si veda anche:
Cass. 1998 n. 01029. Corte
di Cassazione Penale Sez. III, del 24 gennaio 2003 (UD.05/12/2002)
Sentenza n.
03526
- L'entrata
in
vigore di nuove previsioni urbanistiche - Decadenza della D.I.A. - Il
provvedimento di decadenza - Poteri di vigilanza attribuiti
all'Amministrazione
in ordine all'esecuzione dell'opera autorizzata. Ai
sensi dell'articolo 31 legge 17
agosto 1942, n. 1150: « ... La licenza edilizia non può avere validità
superiore ad un anno; qualora entro tale termine i lavori non siano
stati
iniziati l'interessato dovrà presentare istanza diretta ad ottenere il
rinnovo
della licenza. L'entrata in vigore di nuove previsioni urbanistiche
comporta la
decadenza delle licenze in contrasto con le previsioni stesse, salvo
che i
relativi lavori siano stati iniziati e vengano completati entro il
termine di tre
anni dalla data d'inizio» Di conseguenza, il provvedimento di decadenza
oggetto
della presente impugnazione, espressione dei permanenti poteri di
vigilanza
che, nel pubblico interesse, sono attribuiti all'Amministrazione in
ordine
all'esecuzione dell'opera autorizzata, sia stato emanato nel rispetto
della
disciplina edilizia. Considerato che, nel caso di specie, non risulta
previsto
specificatamente, a pena di decadenza della D.I.A., un termine di
inizio dei
lavori, ma solo quello finale di tre anni e ritenuto che all'attività
edilizia
a seguito di presentazione della D.I.A., in assenza di specifiche
previsioni,
debba essere applicata la medesima disciplina che regola le
edificazioni
subordinate alla concessione edilizia, ai sensi dell'articolo 4, comma
10,
della legge n. 493 del 1993. In definitiva, anche se i termini espressi
per la
DIA riguardano solo l’ultimazione dei lavori (tre anni), quando i
lavori
previsti non iniziano entro l’anno, è perfettamente legittimo il
provvedimento
Comunale di decadenza, ribaltando sulla DIA quanto è previsto per la
concessione edilizia. TAR Lombardia - Brescia - Ordinanza 14
gennaio 2003 n.
27
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