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- Le
distanze
minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro
esterno
di edifici - Art. 7, comma 3, della legge delle Marche -
Incostituzionale.
L’art. 7, comma 3, della legge
delle Marche stabilisce che con atto della Giunta regionale sono
determinate le
distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal
perimetro
esterno di edifici “destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad
attività
diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti
stessi”,
di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole
ed
asili nido, nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione
sui beni
storico–artistici o individuati come edifici di pregio
storico–architettonico,
di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti
sportivi.
La totale libertà attribuita alla Giunta ai fini della determinazione
delle
distanze minime, e la genericità ed eterogeneità delle categorie di
aree e di
edifici rispetto a cui il vincolo di distanza minima viene previsto,
configurano non già un quadro di prescrizioni o standard urbanistici,
bensì un
potere amministrativo in contrasto con il principio di legalità
sostanziale e
tale da poter pregiudicare l’interesse, protetto dalla legislazione
nazionale,
alla realizzazione delle reti di telecomunicazione. La norma impugnata
eccede
pertanto i limiti della competenza regionale. Corte
Costituzionale 7 ottobre
2003 Sentenza n. 307
- Costruzione
di un muro di contenimento realizzato senza rispetto delle distanze di
confine
- Pertinenza - Muro di contenimento - Regime autorizzatorio -
Autorizzazione
gratuita - Contravvenzione di cui all'art. 20 lett. a L. n. 47/1985 e
art. 7 L.
n. 94/1982 - Sussistenza.
Qualora l'opera realizzata, costruzione di un muro di contenimento, sia
di
natura pertinenziale, essa è assoggettabile al regime
dell'autorizzazione
gratuita e l'eventuale contrasto della stessa con la prescrizione di
edilizia
locale disciplinante la distanza di confine integra gli estremi della
contravvenzione di cui all'art. 20 lett. a Legge 28/2/1985 n. 47,
indipendentemente dal fatto che sia stata o meno autorizzata. PRES.
Savignano G
REL. Piccialli L COD.PAR.368 IMP. Airoldi e altri PM. (Conf.) Geraci V.
CORTE
DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 8 ottobre 2003 (UD.
14/07/2003), RV. 226530,
Sentenza n. 38193
- Rifiuti
- Localizzazione di un impianto di pretrattamento e stoccaggio di
rifiuti solidi
urbani - Testo unico delle leggi sanitarie - Termodistruzione - La
valutazione
della distanza minima. L’articolo
216 r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 (recante il testo unico delle
leggi sanitarie) dispone che le industrie insalubri siano “isolate
nelle
campagne e tenute lontane dalle abitazioni”. Un’attenuazione della
disposizione
è contenuta al quinto comma, che consente la localizzazione
“nell’abitato,
quante volte l’industriale che l’esercita provi che, per l’introduzione
di
nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento
alla
salute del vicinato”. La Sezione ritiene di poter prescindere dalla
questione
se la distanza vada riferita all’impianto nel suo complesso o limitata
all’impianto di trattamento e stoccaggio, e non anche a quello di
termodistruzione. Ritiene, inoltre, che possa essere assunto a
parametro di
riferimento, sia pure non considerato in senso assoluto, per la
valutazione
della distanza minima, quello fissato in 200 metri dall’allegato B,
punto c5,
della legge regionale della Lombardia n. 21 del 1993. La misurazione a
tal fine
andrebbe riferita alla distanza tra l’immobile abitativo e l’impianto
vero e
proprio (Cons. Stato, V, 3 ottobre 1997 n. 1097). Conforme:
Consiglio di
Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenze nn. 3916 - 3915. Consiglio
di
Stato, Sezione IV, - 30 giugno 2003, Sentenza n. 3929
- Muri di cinta - Rispetto delle
distanze. In tema di muri di cinta tra fondi a dislivello,
qualora
l'andamento altimetrico del piano di campagna - originariamente
livellato
sul confine tra due fondi - sia stato artificialmente modificato, deve
ritenersi che il muro di cinta abbia la funzione di contenere un
terrapieno
creato "ex novo" dall'opera dell'uomo e vada, per l'effetto, equiparato
a un muro di fabbrica, come tale assoggettato al rispetto delle
distanze
legali tra costruzioni. Cassazione
civile, sez. II, 24 giugno 2003, n.
9998
- Il
tipo di
“copertura” che può trasformare un balcone - Balcone chiuso - Balcone
aperto -
“Chiusura perimetrale del fabbricato” - Esclusione dal piano di
facciata ai
fini della verifica del rispetto della distanza. Un
balcone chiuso, non è più un
balcone secondo il comune significato del termine, e quindi diventa
elemento
componente del piano di facciata, non è altrettanto chiaro cosa debba
intendersi
per balcone aperto, ma coperto, poiché la copertura può consistere in
un fatto
accidentale dovuto, ad esempio, alla sovrapposizione di identico
balcone al
piano superiore. A tal fine si deve far
ricorso
all’interpretazione logico sistematica della disposizione, emergente
dal
confronto tra le due proposizioni sopra ricordate, e affermare che il
tipo di
“copertura” che può trasformare un balcone, elemento di per sé estraneo
al
piano di facciata, in elemento di “chiusura perimetrale del fabbricato”
deve
essere tale da renderlo assimilabile strutturalmente, agli altri corpi
aggettanti (vetrate, verande, bowindows, ecc.) che la norma ricomprende
nel
piano di facciata, in ragione della loro attitudine a creare ambienti
interni
alla costruzione. È quindi necessario che la copertura sia concepita
come
componente autonoma del balcone e che ad essa si aggiungano elementi
ulteriori,
quali ad esempio le pareti laterali, che realizzano un corpo
funzionalmente
omogeneo con la parete. Tali caratteristiche non possono attribuirsi ai
balconi
di cui alla controversia in esame, nei quali la “copertura” costituisce
elemento accidentale, mentre non si rinvengono altri dati strutturali
idonei a
qualificarli funzionalmente, nel senso sopra delineato. Essi andavano
quindi
esclusi dal piano di facciata ai fini della verifica del rispetto della
distanza. Consiglio di Stato sez. V del 20 maggio 2003
sentenza n. 2754
- Edilizia
– Distanze legali - Demolizione e ricostruzione non fedele all’edificio
preesistente – Conservazione
delle deroghe alle distanze – Perdita.
Importa la perdita di efficacia della deroga alla
normativa in materia di distanze, non potendo essere la nuova
costruzione
ricompresa tra le “ristrutturazioni” di cui all’art. 31 lett. d) l. n.
457 del 1978,
conservabile unicamente nei casi di demolizione e ricostruzione fedele
dell’edificio, quantomeno nelle medesime dimensioni esterne. (Nella
specie la
nuova costruzione risultava dissimile alla precedente per l’altezza,
per
volumetria e per la sagoma). (Est. Giovanetti – Lattuadai ed altri
(avv.ti
Giusti, Agozzino) c. Basilico (avv. Rossini). TRIBUNALE DI
MONZA – 27 marzo
2003
- L'esonero
dal rispetto delle distanze legali previsto dall'art.879, comma 2,
c.c., per le
costruzioni a confine con le piazze e vie pubbliche - Regolamento
edilizio
locale.
L'esonero
dal rispetto delle distanze legali previsto dall'art.879, comma 2,
c.c., per le
costruzioni a confine con le piazze e vie pubbliche, si giustifica con
l’obbligo alternativo di osservare “le leggi e i regolamenti che le
riguardano”. Nella specie, non è contestata l’affermazione
dell’appellata,
secondo cui il regolamento comunale impone la distanza di cinque metri
da
strade e piazze. Infine, non trovano applicazione, nel caso in esame,
gli
articoli 905 e 907 c.c., la cui disciplina ha natura giuridica,
presupposti di
fatto e contenuto precettivo diversi da quelli relativi alla disciplina
di cui
all'art.873 c.c.. Quest’ultima norma – come integrata dall’art.45 del
regolamento edilizio locale – va comunque e preliminarmente rispettata,
con
l’osservanza della distanza tra le costruzioni (Cass. civ. sez.II, 26
febbraio
2001, n.2765 e 22 marzo 2000, n.3421). Consiglio di Stato,
Sez. VI - 27
gennaio 2003 - Sentenza n. 419
- Il termine
prescrizionale
acquisitivo a titolo originario di un diritto di servitu' in tema di
distanze
tra costruzioni - Paratie frangivento - Il proprietario frontista -
Danno. Per
il principio "tantum
praescriptum quantum possessum", il termine prescrizionale acquisitivo
a
titolo originario di un diritto di servitu', nel caso di modifica dell'
opera
per il suo esercizio rispetto ad altra precedente, decorre dall'
effettuata
trasformazione (nella specie iniziali paratie frangivento ed un tendone
di
copertura erano stati sostituiti da una veranda, con infissi in ferro,
chiusi
da vetri, a distanza inferiore da quella legale rispetto ad una
soprastante
veduta Cass. 21-10-1998 n. 10481). Tale affermazione risulta precisata
in
termini assolutamente rispondenti alla situazione in esame dalla
recente
pronuncia n. 12483/2002 secondo la quale:” in tema di distanze tra
costruzioni,
l'eventuale diritto del proprietario frontista a mantenere un
fabbricato
preesistente sin dall'origine costruito a distanza inferiore a quella
legale
rispetto all'immobile limitrofo non conferisce al predetto l'ulteriore
diritto
di apportare al manufatto aggiunte e/o modifiche di qualsiasi natura
nella
parte che, in base alla normativa attualmente vigente, risulti a
distanza
inferiore a quella minima legale, atteso che dette aggiunte o modifiche
costituirebbero un'ulteriore e non consentita violazione della
normativa in
materia di distanze”. Stabilito, pertanto, con giudizio del tutto
condivisibile
che non sussiste il potere in capo al soggetto che ha usucapito il
diritto di
mantenere una costruzione a distanza inferiore a quella legale di
effettuare
qualsiasi modifica o aggiunta alla costruzione originaria poiché da
detto
momento ricomincia a decorrere altro termine per l'usucapione in
relazione alla
nuova costruzione, sicchè il proprietario frontista ben può reagire con
l'azione di cui agli artt. 872 ed 873 c.c. deve, pertanto, accogliersi
la
domanda esperita dagli attori nel caso in esame limitatamente
all'eliminazione
di tutte le finestre scorrevoli in alluminio anodizzato realizzate nel
corso
del 1995 e di cui alla perizia in atti e ritratte alle fotografie da
n.1 a n.4
del supllemento di ctu. ”Il danno conseguente alla violazione delle
norme del
cod. civ. e integrative di queste, relative alla distanze nelle
costruzioni, si
identifica nella violazione stessa, determinando quest'ultima un
asservimento
di fatto del fondo del vicino, al quale, pertanto, compete il
risarcimento
senza la necessita' di una specifica attivita' probatoria (Cass.
25-9-99 n.
10600 ed anche 24-2-2000 n. 2095). Tribunale di Sanremo I
Civ. 13 gennaio
2003
- Urbanistica
– Distanze stradali – Vincolo assoluto – Inderogabilità.
La disciplina in tema di distanze in materia
urbanistica di cui agli art 19 l. 6 agosto 1967, n. 765 e 4 d.m. 1
aprile 1968,
ha lo scopo di garantire la sicurezza della circolazione stradale nei
confronti
di quanti transitano o abitano nelle immediate vicinanze del nastro
stradale.
L’applicazione delle suddette norme impone il divieto assoluto di
edificabilità
in esecuzione dell’art. 33 l.28 febbraio 1985 n.47. (Pres. Morea – Est.
Rotondo
– Minelli (Avv. Lorusso) c. Comune di Monopoli (Avv. Semeraro) e Anas
(Avv.
Stato). TAR PUGLIA Sez. II – 8 gennaio 2003 n. 20
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