Giurisprudenza
sezione di
www.softwareparadiso.it
software, servizi, informazioni sull'edilizia e la casa
 
Beni culturali e ambientali - Urbanistica, piani territoriali
(Sentenze pronunciate nell'anno 2003 della Cassazione, del Consiglio di Stato e del TAR)
 Parti e argomenti della scheda: 
Le massime di questa pagina, prelevate dalle pronunce e dalla giurisprudenza del 2003, interessano i casi dei piani territoriali e urbanistici, oltre i parchi e le riserve naturali. Si tratta degli interventi ammessi e delle regole da rispettare per la tutela del paesaggio.
  1. Aree demaniale - Parchi e riserve naturali
  2. P.R.G. - Scadenza del termine quinquennale di durata dei vincoli di inedificabilità
  3. Le “aree sensibili” - Tutela della popolazione nelle aree densamente abitate
  4. Parchi, Riserve, Aree protette - Parchi
  5. Adozione di variante al PRG - Osservazioni
  6. La differenza fra piano paesistico e piano urbanistico territoriale
  7. I piani territoriali paesistici - I piani territoriali urbanistici
  8. Il compito di tutela del paesaggio della Repubblica fra i principi fondamentali
  9. Il piano paesistico suppone l’esistenza e la permanenza del vincolo paesaggistico
  10. Approvazione dei piani territoriali paesistici - Legittimità costituzionale
  11. P.R.G. - Opere preesistenti in contrasto con le nuove destinazioni di zona
  12. Tutela ambientale del territorio – È pienamente conforme agli indirizzi
  13. È legittima l’inclusione delle aree protette “zone umide”
Altre pagine inerenti nel sito: 
 

  1. Aree demaniale - Parchi e riserve naturali - Incompatibilità tra l’utilizzazione dei terreni demaniali e le destinazioni del Piano territoriale del Parco Fluviale - L. reg. Liguria n. 43/1982. Una volta accertata l’esistenza di una situazione di incompatibilità tra l’utilizzazione dei terreni demaniali e le destinazioni del Piano territoriale del Parco Fluviale, l’interesse non può che essere preso in considerazione secondo le regole che lo governano. Nella specie la legge regionale Liguria n. 43 del 1982 e la disciplina contenuta nel Piano Territoriale del Parco, secondo cui la tutela è realizzata attraverso forme volte a garantire che il trasferimento delle attività ritenute incompatibili avvenga secondo modalità e procedure appositamente individuate. (Il Consorzio della Magra comunicava a una concessionaria di terreni demaniali compresi nel perimetro del Piano Territoriale del Parco Fluviale che l’utilizzo del terreno demaniale non era più consentito). CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 28 novembre 2003, sentenza n. 7791

  2. P.R.G. - Scadenza del termine quinquennale di durata dei vincoli di inedificabilità - C.d. zona bianca - Aree prive di disciplina urbanistica. La scadenza del termine quinquennale di durata dei vincoli di inedificabilità previsti da un piano regolatore generale, alle aree rimaste prive di destinazione si applica la disciplina dettata dalla legge per i comuni sprovvisti di strumenti urbanistici generali (art. 4, ultimo comma l. 28 gennaio 1977, n. 10) - Adunanza Plenaria n. 7/1984. Invero, come affermato dalla giurisprudenza, solo un piano regolatore generale privo dei contenuti essenziali di cui all'art. 7 l. 17 agosto 1942 n. 1150 può rendere un'area - nell'ipotesi di sopravvenuta inefficacia del vincolo - assimilabile ad una c.d. zona bianca, disciplinata alla stregua delle aree prive di disciplina urbanistica. (In specie il criterio sussidiario dettato per le cd. zone bianche, pertanto, non può trovare applicazione proprio perché difetta il presupposto essenziale della lacuna nella normativa urbanistica, versandosi, invece, nel regime giuridico concorrente). Consiglio di Stato - Sezione V, 9 Ottobre 2003, Sentenza n. 6071
  3. Le “aree sensibili” - Tutela della popolazione nelle aree densamente abitate o frequentate, interesse storico-artistico o paesistico dell’area - La definizione e la perimetrazione di tali aree - Uso del proprio territorio - Competenza della Regione - La previsione di “localizzazioni alternative” - Pianificazione del territorio - Fissazione di valori-soglia. Le “aree sensibili” sono definite dalla legge regionale con riguardo a situazioni e interessi (tutela della popolazione nelle aree densamente abitate o frequentate, interesse storico-artistico o paesistico dell’area) di cui la Regione ha certamente titolo per occuparsi in sede di regolazione dell’uso del proprio territorio. Soprattutto, poi, la definizione e la perimetrazione di tali aree, nel sistema della legge regionale, hanno l’unico scopo di fondare la previsione di “localizzazioni alternative”, cioè un tipo di misura che, fermo restando il necessario rispetto dei vincoli della programmazione nazionale delle reti e della pianificazione del territorio, rientra appieno nella competenza regionale in tema di governo del territorio, e specificamente nella competenza regionale, riconosciuta dalla legge quadro (art. 8, comma 1, lettera a), per la “individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione”. Essa non prelude dunque alla fissazione di valori-soglia diversi e contrastanti con quelli fissati dallo Stato, ma attiene e può attenere solo alla indicazione di obiettivi di qualità non consistenti in valori di campo, ma in criteri di localizzazione, standard urbanistici, prescrizioni e incentivazioni all’utilizzo della miglior tecnologia disponibile, o alla cura dell’interesse regionale e locale all’uso più congruo del territorio, sia pure nel quadro dei vincoli che derivano dalla pianificazione nazionale delle reti e dai relativi parametri tecnici, nonché dai valori-soglia stabiliti dallo Stato. Corte Costituzionale 7 ottobre 2003 Sentenza n. 307
  4. Parchi, Riserve, Aree protette - Parchi - Progetti di costruzioni insistenti nel territorio del Parco - Nulla osta ex art. 13 L. 394/1991 - Sussistenza in capo all’Ente Parco del potere-dovere di verificare la congruenza con le previsioni urbanistiche dei Comuni. In virtù della sentenza della Corte costituzionale n. 175 del 1976, l’Ente Parco, ai fini del rilascio del nulla osta di cui all’art. 13 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, nell’esame dei progetti di costruzioni insistenti nel proprio territorio, ha il potere-dovere di verificare la congruenza degli interventi sia con le norme istitutive del Parco che con le previsioni urbanistiche dei Comuni di cui trattasi, contenute nei piani regolatori generali e nei piani attuativi di questi (piani particolareggiati, programmi pluriennali di attuazione, etc.). Pres., Est. BALBA - s.r.lo. Le Viole (Avv.ti Lucci e Piccone) c. Ente Autonomo Parco Nazionale d’Abruzzo (Avv.ti Iannotta e Di Felice) T.A.R. ABRUZZO, L’Aquila - 18 agosto 2003, n. 590
  5. Adozione di variante al PRG - Osservazioni - Onere motivazionale a carico dell’amministrazione - Margini - Rilevanza paesaggistica e archeologica - Facoltà edificatoria - Ricaduta in termini restrittivi. In ordine alle osservazioni degli interessati a seguito dell’adozione del testo preliminare di variante al P.R.G., qualificabili come forma di collaborazione alla formazione del piano, è sufficiente una motivazione, pur succinta, congrua rispetto agli elementi di fatto e di diritto posti alla base dell'osservazione, la quale dimostri che si è tenuto presente l’apporto critico e collaborativo dei privati, in comparazione con gli interessi pubblici coinvolti. Ciò stante, deve ritenersi assolto l’onere motivazionale in relazione ad una destinazione agricola di zona per la quale l’amministrazione abbia evidenziato la rilevanza paesaggistica e archeologica, che non può non avere una ricaduta in termini restrittivi sull’ampiezza della facoltà edificatoria di privata iscrizione. - Pres. GUIDA, Est. SABBATO - David e altro (Avv. Carnelli) c. Comune di Saint Pierre (Avv. Santilli) T.A.R. VALLE D’AOSTA, Aosta - 4 agosto 2003, n. 162
  6. La differenza fra piano paesistico e piano urbanistico territoriale - Protezione delle bellezze naturali - Fase di pianificazione della tutela delle zone dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico - strumento di attuazione e specificazione del contenuto precettivo del vincolo paesaggistico - Pianificazione del territorio vincolato anche sotto la successiva attività urbanistica - Il piano urbanistico territoriale può anche riguardare ambiti non vincolati. È nota la differenza fra piano paesistico e piano urbanistico territoriale: il primo è finalizzato alla protezione delle bellezze naturali e più precisamente alla fase di pianificazione della tutela delle zone dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico, al fine di programmare la salvaguardia dei valori paesistico- ambientali con strumenti idonei ad assicurare il superamento dell’episodicità, inevitabilmente connessa a semplici ed isolati interventi autorizzatori (cfr. Cons. Stato, VI Sez., n. 25/01; n. 450/94; n. 29/93). Il piano paesistico costituisce, pertanto, uno strumento di attuazione e specificazione del contenuto precettivo del vincolo paesaggistico, mediante l’individuazione delle incompatibilità assolute e dei criteri e dei parametri di valutazione delle incompatibilità relative, condizionando, prevalentemente in negativo, la successiva attività di pianificazione del territorio vincolato anche sotto il profilo urbanistico (cfr. Cons. St., VI Sez. n. 25/01; Corte cost. n. 417/95; Cons. St., II Sez., n. 548/98). Al contrario, il piano urbanistico territoriale, pur avendo anche valenza paesistico - ambientale, non presuppone necessariamente un preesistente vincolo e può anche riguardare ambiti non vincolati (cfr. Cons. St., VI Sez., n. 25/01 cit.). Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4351
  7. I piani territoriali paesistici - I piani territoriali urbanistici - Le funzioni concernenti l’adozione e l’approvazione dei piani paesistici - Gli artt. 97 e 128 Cost.. I piani territoriali paesistici di cui all’art. 5 della L. n. 1497/39, nati come unico strumento di regolazione dei beni assoggettati a vincolo panoramico, nel corso degli anni sono stati attratti nell’orbita urbanistica: ne costituisce riprova l’art. 1 del D.P.R. n. 8 del 1972 in base al quale, in sede di trasferimento alle regioni delle funzioni in materia urbanistica, sono state trasferite anche le funzioni concernenti l’adozione e l’approvazione dei piani paesistici. La successiva legge n. 431 del 1985 li ha posti, poi, su un piano di assoluta equivalenza con i piani territoriali urbanistici, sicchè tale riconosciuta reciproca integrazione di strumenti pianificatori può dar luogo, in determinate situazioni, ad imposizioni di condizionamenti alla sottostante programmazione urbanistica comunale in grado di risolversi, per il loro contenuto totalmente vincolante, in veri e propri vincoli di inedificabilità, con effetti giuridici indirettamente proiettati sulle posizioni dei privati. Del resto, dalla elencazione del contenuto del piano paesistico, quale risulta dall’art. 23 R.D. n. 1357/40, si evince la possibilità di limitare il diritto dei privati di utilizzazione dei beni vincolati, sino al punto di consentire anche l’esclusione dell’edificazione quando essa risulti in grado di compromettere la conservazione dei valori paesaggistici ed ambientali presidiati dal vincolo (cfr. Cass. II Sez. n. 1512/82; Cons. St., IV Sez., n. 682/92). Consegue dalla impostazione su riportata che il piano paesistico territoriale ben può individuare i beni che siano ritenuti meritevoli di tutela, né si può ritenere che nel dettare la disciplina di tutela primaria, posto che si muove su un livello sovraordinato alla programmazione urbanistica, debba tener conto delle modifiche che questa ultima deve necessariamente subire per assicurare al paesaggio una tutela tale da non essere incisa nel tempo da singole scelte di gestione del territorio, che comunque trovano nella pianificazione di rango superiore un limite e un indirizzo. Fissata entro tali limiti la portata del piano paesistico territoriale, appare evidente la manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 L. n. 1497/39, 23 R.D. n. 1357/40 e 1 bis L. n. 431/85 per contrasto con gli artt. 97 e 128 Cost. Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4351
  8. Il compito di tutela del paesaggio della Repubblica fra i principi fondamentali della nostra Costituzione - La programmazione della salvaguardia dei valori paesistico-ambientali - Il piano paesistico - La procedura di imposizione del vincolo sulle bellezze individuali. Lo strumento predisposto dall’art. 5 della L. n. 1497/39 (e richiamato dall’art. 1 bis della L. n. 431 del 1985) per il compito di tutela del paesaggio della Repubblica, previsto fra i principi fondamentali della nostra Costituzione (cfr. Corte cost., sentt. nn. 151, 152 e 153 del 1986) attiene ad una fase diversa e successiva da quella di imposizione del vincolo paesaggistico cui la censura fa riferimento, e cioè alla fase di pianificazione della tutela delle zone dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico, al fine di programmare la salvaguardia dei valori paesistico- ambientali di tali zone con strumenti idonei ad assicurare il superamento dell’episodicità inevitabilmente connessa ai semplici interventi autorizzatori (cfr. Cons. Stato, VI Sez., n. 873/92). Il piano paesistico, infatti, riguarda le località incluse negli elenchi dei nn. 3 e 4 dell’art. 1 della L. n. 1497 del 1939 (le cd. bellezze di insieme ex art. 10 R.D. n. 1357 del 1940) ed obbedisce alla scopo di “impedire che le aree di quelle località siano utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza panoramica”. Il piano paesistico si collega, pertanto, espressamente alla protezione di determinate bellezze naturali specificamente individuate ed è volto a disciplinare ulteriormente l’operatività del vincolo paesistico di cui alla L. n. 1497/39 (cfr. Corte cost., n. 327/90; Cons. St., VI Sez., n. 873/92 cit.). Invece, molto diversa è la procedura di imposizione del vincolo sulle bellezze individuali e diverso è, altresì, il momento di insorgenza del vincolo. Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4351
  9. Il piano paesistico suppone l’esistenza e la permanenza del vincolo paesaggistico. Il piano paesistico suppone l’esistenza e la permanenza del vincolo paesaggistico (cfr. dec. N. 873 cit.), come pure di eventuali altri vincoli, precedentemente imposti, di finalità concorrente, quale quello di carattere archeologico di cui alla L. n. 1089 del 1939, insistenti nelle medesime zone, sicché la relativa adozione non può, in ogni caso, comportare il venir meno di tali vincoli. Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4351
  10. Approvazione dei piani territoriali paesistici - Legittimità costituzionale - Le sentenze della Corte Cost. nn. 225 e 226 del 1999. Irrilevanti le questioni di legittimità costituzionale sollevate dall’appellante in memoria, relativamente alla L. reg. n. 24/98 di approvazione dei piani territoriali paesistici, sollevate in subordine nell’ipotesi in cui il Collegio non intendesse aderire a quanto affermato nelle sentenze della Corte cost. nn. 225 e 226 del 1999, con riferimento alla legge quadro n. 394/91 sui parchi, sulla non ostatività della legge al sindacato del giudice amministrativo sugli atti amministrativi posti a base della legge stessa. Presupposto delle sentenze citate è, invero, che vi siano sentenze del giudice amministrativo di accoglimento con annullamento del piano adottato, in grado di rimuovere totalmente o parzialmente il contenuto del piano adottato, ancorché approvato con legge, presupposto insussistente nella fattispecie, attesa la reiezione del gravame. (La legge regionale interviene, secondo le citate sentenze della Corte, esclusivamente sulla approvazione del piano e non vale né come conversione dell’atto contenente la sostanziale programmazione pianificatoria, né come forma di validazione legislativa, né come sanatoria del piano stesso, né fa assumere al complesso del piano valore di legge). Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4351
  11. P.R.G. - Opere preesistenti in contrasto con le nuove destinazioni di zona, gli interventi - Interessi urbanistici e ambientali. Gli strumenti urbanistici, in quanto atti di pianificazione dello sviluppo urbanistico, sono essenzialmente rivolti a disciplinare la futura attività di trasformazione del territorio per cui le relative prescrizioni non riguardano le opere già eseguite in conformità alla disciplina previdente, per cui debbono ritenersi in linea di massima consentiti sulle opere preesistenti attualmente in contrasto con le nuove destinazioni di zona gli interventi necessari per integrarne o mantenerne la funzionalità (V. la decisone di questa Sezione n. 176 del 19.2.1997). (Nella specie si trattava di armonizzare tra di loro contrastanti interessi urbanistici ed ambientali essendosi modificata nel tempo la destinazione di zona dell’area da industriale ad attrezzature distributive). Consiglio di Stato, Sezione V, 29 luglio 2003, sentenza n. 4321
  12. Tutela ambientale del territorio – È pienamente conforme agli indirizzi di tutela del territorio contenuti nella normativa regionale il PRG che impone obbligatoriamente all’ente locale di individuare nel piano regolatore generale le zone di tutela e le fasce di rispetto - L’individuazione nel piano regolatore generale delle zone di tutela, “le golene, i corsi d’acqua, gli invasi dei bacini naturali ed artificiali, nonché le aree ad essi adiacenti per una profondità adeguata” - Le aree soggette a dissesto idrogeologico, a pericolo di valanghe ed esondazioni o che presentano caratteristiche geologiche o morfologiche tali da non essere idonee a nuovi insediamenti - Inclusione in un costituendo Parco Agrario - Recupero e riqualificazione degli insediamenti industriali esistenti - Prevalenza degli interessi ambientali - La modificabilità delle aree sulle quali preesistano insediamenti produttivi. Deve evidenziarsi, infatti, come costituisca circostanza pacifica il fatto che le aree, la cui classificazione urbanistica è oggetto di contestazione, ricadono nell’area golenale del fiume Brenta: orbene, proprio, l’articolo 27 della invocata legge regionale del Veneto 27 giugno 1985, n. 61, disciplinando in particolare le zone di tutela e le fasce di rispetto, impone obbligatoriamente all’ente locale di individuare nel piano regolatore generale tra le zone di tutela, “le golene, i corsi d’acqua, gli invasi dei bacini naturali ed artificiali, nonché le aree ad essi adiacenti per una profondità adeguata”. Pertanto, la scelta operata dall’Amministrazione comunale di Fontaniva di classificare tale zona come agricola (zona E, sottozona E2) è pienamente conforme agli indirizzi di tutela del territorio contenuti nella indicata normativa regionale, volta evidentemente a preservare dall’attività edilizia alcune zone non solo per il loro particolare valore ambientale, ma anche al fine di evitare eventuali danni alle persone o alle cose (tra le zone di tutela infatti sono espressamente comprese, per esempio, le aree soggette a dissesto idrogeologico, a pericolo di valanghe ed esondazioni o che presentano caratteristiche geologiche o morfologiche tali da non essere idonee a nuovi insediamenti; gli arenili e le aree di vegetazione dei litorali marini; le aree umide, le lagune e le relative valli; le aree comprese fra gli argini maestri e il corso d’acqua dei fiumi e nelle isole fluviali, etc.). Ciò tanto più se si tiene conto che, come emerge dalle Norme Tecniche di Attuazione, all’articolo 28, disciplinando la sottozona E2, in cui specificamente ricade l’area in esame, ne ha previsto la inclusione in un costituendo Parco Agrario, da realizzare mediante un progetto di sistemazione ambientale finalizzato, oltre che alla tutela, al ripristino e alla riqualificazione dei caratteri e dei valori naturali e culturali dell’ambiente (lett. a), anche al recupero e alla riqualificazione degli insediamenti esistenti, eliminando le situazioni di degrado ambientale, consentiti per le aree interessate dalle escavazioni anche mediante sistemazioni innovative. Dall’esame di tale norma emerge, altresì, la ragionevole certezza che l’Amministrazione comunale di Fontaniva abbia effettuato le contestate scelte urbanistiche nella piena consapevolezza dell’esistenza delle attività industriali delle società appellanti e con l’intenzione, come si ricava dalla lettura della relazione di accompagnamento al piano regolatore nel capitolo relativo agli obiettivi della pianificazione, di porre rimedio alla situazione di degrado ambientale esistente nella zona, ritenendo che la esistenza di tali attività in loco, per un verso, non potesse automaticamente legittimare la creazione di una vera e propria zona di insediamenti industriali, incompatibile con i valori ambientali e naturali del luogo, e, per altro verso, assicurando in ogni caso, anche nell’ambito dell’istituendo Parco agrario, il recupero e la riqualificazione degli insediamenti esistenti, proprio nel rispetto della salvezza dei prevalenti interessi ambientali. È significativo, al riguardo, ricordare l’avviso della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 79 del 10 marzo 1994, pronunziando sulla questione di legittimità costituzionale proprio dell'art. 24, terzo comma, della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61 della Regione Veneto sollevata, con riferimento agli artt. 5, 32, 97 e 128 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto sulla base della stessa interpretazione sostenutane dalle società appellanti, l’ha respinta, evidenziando che il predetto articolo 24 si limita a descrivere le caratteristiche delle zone territoriali omogenee in cui il piano regolatore generale deve suddividere il territorio, prevedendo, al terzo comma, soltanto che nelle zone di tipo D "vanno comprese anche le parti del territorio già destinate, totalmente o parzialmente, a insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati". Una simile disposizione - secondo il giudice delle leggi - non impone alcun obbligo per il comune di rendere immodificabili le aree comprese nelle stesse zone sulle quali preesistano insediamenti produttivi, come si ricava peraltro dalla lettura del successivo articolo 30, il quale stabilisce che il piano regolatore generale individua le zone territoriali omogenee di tipo D, indicando fra le altre componenti (al punto 3), gli impianti esistenti "che si confermano nella loro ubicazione". Secondo la Corte Costituzionale, quindi, resta pur sempre nella disponibilità del comune, in sede di redazione del piano, di confermare o meno nella loro ubicazione gli impianti industriali esistenti, per cui solo dopo tale conferma assume rilievo la previsione dell'art. 24, terzo comma, della legge regionale 27 giugno 1985, n 61, della Regione Veneto, circa l'inclusione nelle zone di tipo D delle parti del territorio già destinate ad insediamenti industriali. Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2827
  13. È legittima l’inclusione delle aree protette “zone umide” su cui insistono attività industriali - Convenzione di Ramsar - Tutela ambientale del piano territoriale regionale di coordinamento. Infondato è l’altro motivo di gravame, con il quale le società appellanti hanno lamentato l’illegittima inclusione delle aree su cui insistono le loro attività industriali nelle zone umide, in violazione delle previsioni contenute nello stesso piano territoriale regionale di coordinamento e della convenzione di Ramsar, di cui al D.P.R. 13 marzo 1976, n. 448. In realtà, come hanno correttamente evidenziato i primi giudici, sebbene non sia contestato che l’area di cui si discute non rientra all’interno delle zone umide indicate dall’art. 21 del piano territoriale regionale di coordinamento, tale circostanza non è di alcun rilievo ai fini della legittimità del provvedimento in esame. Le norme del predetto piano, sovraordinato rispetto al piano regolatore generale, si impongono a quest’ultimo nel senso di individuare il “minimun” essenziale della relativa tutela ambientale, non potendo ovviamente impedire all’ente locale, nel concreto esercizio della sua propria funzione urbanistica, di prevedere per alcune zone ovvero per le stesse zone contemplate nel piano sovraordinato una tutela territorialmente più ampia e/o qualitativamente più incisiva, allargando l’ambito territoriale delle cc.dd. zone umide ad ambiti non previsti dal piano territoriale regionale di coordinamento, salvo evidente il limite della manifesta irragionevolezza o irrazionalità ovvero l’abnormità o l’illogicità della previsione, in relazione alla concreta situazione di fatto: ciò proprio in relazione alla tutela costituzionale prevista dall’articolo 9, secondo comma, che non può non inerire anche alla pianificazione urbanistica, in senso lato. Nel caso di specie, quindi, correttamente - proprio nel quadro della dichiarata tutela dei valori ambientali perseguita dal piano regolatore generale, secondo gli obiettivi indicati nella relativa relazione di accompagnamento, il Comune di Fontaniva ha ricompresso nelle zone umide gli ambiti golenali in cui ricadono le attività industriale delle società appellanti, zone, peraltro, che, come emerge dalla documentazione in atti, secondo le previsioni dello stesso piano territoriale regionale di coordinamento, rientrano pur sempre all’interno dell’ambito per l’istituzione del Parco del Medio Corso del Brenta e sono quindi oggetto di specifica attenzione e tutela ambientale. Inconferente, ad avviso della Sezione, è il richiamo ad una presunta violazione del D.P.R. 13 marzo 1976, n. 448, recante “Esecuzione della convenzione relativa alle zone umide d’importanza internazionale, soprattutto come habitat degli uccelli acquatici, firmata a Ramsar il 2 febbraio 1971”, non solo perché, trattandosi di una convenzione internazionale, è fonte di obbligo degli stati nei confronti degli altri stati contraenti, ma anche per quanto non può ragionevolmente contestarsi che le aree in cui insistono le attività industriali delle società appellanti rientrano nella ampia definizione delle zone umide di cui all’articolo 1 (quale bacino naturale con acqua corrente dolce), richiamato - a fini meramente indicativi - dall’articolo 21 del piano territoriale regionale di coordinamento, secondo cui “le zone umide sono costituite da particolari ambiti naturalistico - ambientali e paesaggistici rientranti nella più ampia definizione dettata dal D.P.R. n. 448 del 1976”. Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2827 

Torna all'indice delle sentenze.