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Patrimonio
archeologico, storico o artistico nazionale (cose d'antichità e d'arte)
-
Ricettazione di reperti archeologici - Reato presupposto - Illecito
impossessamento di beni culturali appartenenti allo Stato - Sussistenza.
In tema di beni culturali, il reato
presupposto del delitto di ricettazione di reperti archeologici
consiste nel
delitto di illecito impossessamento di beni culturali appartenenti allo
Stato
(c.d. furto archeologico, previsto dall'art. 125 D.Lgs. n. 490/99, in
precedenza sanzionato dall'art. 67 L. n. 1089/39). PRES: Di Iorio G.
EST: Fumu
G. IMP: Di Luzio. P.M: Cesqui E. (Diff.). CORTE DI CASSAZIONE
Penale Sez.
II, del 24/12/2003 (Ud. 10/12/2003 n.01853), Rv. 227586, Sentenza n.
49406
- Beni
archeologici, storici o artistici nazionale - Reato di contraffazione
di opere
d'arte - Previgente disposizione di cui alla L. n. 1082/1971 - Nuove
disposizioni di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999 - Continuità normativa.
L'ipotesi di reato di cui all'art. 127 del D.Lgs.
29 ottobre 1999 n. 490, contraffazione di opere d'arte nelle diverse
fattispecie di cui al comma 1, si pone in continuità normativa con la
previgente disposizione di cui all'art. 3 della Legge 20 novembre 1971
n. 1082,
atteso che trattasi dello stesso precetto, con eguale sanzione, con
l'unica
differenza che non si richiede più che il fine di trarne profitto debba
essere
illecito, essendo sufficiente che il fatto sia stato commesso per
trarne
comunque un profitto. PRES. Papadia U REL. Rizzo A COD.PAR.342 IMP.
Viglietta
PM. (Parz. Diff.) Albano A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez.
III del
19/12/2003, (UD.04/11/2003) RV. 226866 Sentenza n. 48695
- Beni
archeologici, storici o artistici nazionale - Contraffazione di opere
d'arte -
Condizioni per la non punibilità - L. n. 1082/1971, artt. 3 e 8 - D.
L.gs. n.
490/1999 artt. 127 e 128 - Specificazione della non autenticità.
In tema di contraffazione di opere d'arte, punita
dall'art. 127 del D.L.gs. 29 ottobre 1999 n. 490, la non punibilità del
fatto è
esclusa, ex art. 128 dello stesso decreto, soltanto in caso di
dichiarazione
espressa di non autenticità mediante annotazione scritta sull'oggetto,
analogamente a quanto previsto nella previgente disposizione di cui
all'art. 8
della Legge 20 novembre 1971 n. 1082. PRES. Papadia U REL. Rizzo A
COD.PAR.342
IMP. Viglietta PM. (Parz. Diff.) Albano A.. CORTE DI
CASSAZIONE Penale Sez.
III, del 19/12/2003, (UD.04/11/2003) RV. 226867, Sentenza n. 48695
- Patrimonio
archeologico, storico o artistico nazionale (cose d'antichità e d'arte)
- In
genere - Reato di impossessamento illecito di beni culturali -
Accertamento del
requisito dell'interesse culturale - Desumibilità solo dal
provvedimento della
P.A. - Esclusione - Caratteristiche intrinseche del bene - Sufficienza
- Art.
67 L. n. 1089/1939 - Art. 125 D. Lg. n. 490/1999 - D. Lg. n. 41/2004.
Ai fini della configurabilità del reato di cui
all'art. 125 del D. Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, impossessamento
illecito di
beni culturali appartenenti allo Stato, non e' necessario che i beni
siano
qualificati come tali da un formale provvedimento della pubblica
amministrazione, essendo sufficiente la desumibilità della sua natura
culturale
dalle stesse caratteristiche dell'oggetto, non essendo richiesto un
particolare
pregio per i beni culturali di cui all'art. 1, comma primo, del citato
decreto
n. 490. (Dal 1 maggio 2004 il decreto n. 490 del 1999 e' sostituito dal
D. Lgs.
22 gennaio 2004 n. 41). Pres. De
Maio G - Est. Novarese F - Imp. Petroni - PM. (Diff.)
Passacantando G. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 16
Dicembre 2003 (CC.25/11/2003) RV. 226870, sentenza n. 47922
- Beni
storici e artistici - Patrimonio storico della Prima guerra mondiale -
Interventi che non cagionino alterazioni - inapplicabilità della
L.78/2001 -
Provvedimento ministeriale di sospensione di lavori già autorizzati -
illegittimità.
La legge
7 marzo 2001, n. 78 (art. 1, commi 2, lett. c, e 5), la quale fa
espresso
divieto di procedere a “interventi di alterazione delle caratteristiche
materiali e storiche” dei “cippi, monumenti...” che costituiscano il
“patrimonio storico della Prima guerra mondiale”, è inapplicabile nel
caso di
interventi che non cagionino alterazioni, autorizzati dal Ministero per
i beni
e le attività culturali (art. 2, comma 2). Qualora un progetto di
spostamento
di un monumento ai caduti sia stato approvato dalla Soprintendenza ed
autorizzato dal Ministero (art. 23 d.lgs. n. 490/1999), non sia
soggetto a
valutazione di impatto ambientale (art. 26) e non siano stati eseguiti
lavori
provvisori urgenti (art. 27), né i lavori siano difformi rispetto al
progetto
approvato, un provvedimento ministeriale che ordini la sospensione dei
lavori
già autorizzati, senza disporre l’annullamento o la revoca dei
provvedimenti
già emessi, interferisce illegittimamente sul procedimento
amministrativo già
concluso. - Pres. GIOVANNINI, Est. VOLPE - Comune di Imola (Avv.ti
Napoletano,
Solazzi e Trombetti) c. Ministero per i Beni e le Attività Culturali e
altro
(Avv. Stato) - (Riforma T.A.R. Lazio, Sez. II, 20 febbraio 2002, n.
1215)
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 7 agosto 2003, n. 4562
- Vincolo
storico-artistico - Vincolo diretto e vincolo indiretto - differenza -
Comunicazione di avvio del procedimento - Occorre - Discrezionalità
tecnica
della Amministrazione - Sindacato giurisdizionale - Limiti - Vincolo
storico
artistico - Provvedimento di imposizione - Equivocità nella definizione
del
vincolo - Illegittimità. In
materia d’imposizione di vincolo storico-artistico di cui alla legge 1
giugno
1939, n. 1089, vige il principio sancito dall’art. 7 L. 241/1990, per
cui
occorre previamente procedere a comunicare l’avvio del procedimento ai
soggetti
interessati, a pena di invalidità del provvedimento di vincolo. Il
principio
trova applicazione sia nell’ipotesi di vincolo diretto, di cui agli
artt. 1, 2
e 3 della L.1089/1939, sia nel caso di imposizione del c.d. vincolo
indiretto,
di cui all’art. 21 del medesimo testo normativo. Il vincolo diretto
incide sul
bene avente valore storico o artistico e non oltrepassa i confini
esterni
dell’opera tutelata, esplicando un maggiore effetto limitativo dei
poteri di
disposizione, godimento e manutenzione del bene; il vincolo indiretto,
in
quanto riguarda gli immobili compresi nella fascia di rispetto, ha una
minore
forza di penetrazione giuridica nella sfera della proprietà privata,
atteso che
tale tipologia di vincolo si esplica attraverso l’esercizio della
facoltà, da
parte dell’Amministrazione preposta alla tutela del bene, di emettere
prescrizioni idonee a salvaguardare l’integrità delle cose immobili
soggette
alla disciplina della legge in esame. La valutazione in ordine alla
necessità
di apposizione del vincolo storico o archeologico è rimessa alla
discrezionalità
di carattere tecnico dell’Amministrazione, non sindacabile dal giudice
amministrativo, se non sotto il profilo dell’errore di fatto, della
congruità
della motivazione e della logicità ( C.S., Sez.VI, 12.12.1992, n.1055;
29.9.1998, n. 1034 ) E’ illegittimo per genericità ed equivocità, oltre
che di
carenza di motivazione, il provvedimento di vincolo dal quale non sia
chiaramente evincibile se il vincolo stesso sia finalizzato a tutelare
in modo
diretto tutti gli immobili o se il provvedimento sia volto
all’imposizione di
un vincolo indiretto, ex art.21 della legge L.1089/1939. Pres. BALBA,
Est.
RASOLA - Adamoli e altro (Avv.ti Vasile e Silvestri) c. Comune di
Teramo
(n.c.), Soprintendenza Archeologica d’Abruzzo (Avv. Stato) e Ministero
per i
Beni Culturali e Ambientali (Avv. Stato). T.A.R. ABRUZZO,
L’Aquila - 25
luglio 2003, n. 523
- Studi
d’artista - Misure di protezione - Valore storico-artistico - Art. 52
del T.U.
SUI Beni Culturali e Ambientali - Inassoggettabilità degli studi
d’artista ai
provvedimenti di rilascio di cui alla normativa sulla locazione -
Sacrificio
dei diritti del locatore - Illegittimità costituzionale.
E’ costituzionalmente illegittimo
l’art. 52, comma 1, del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490
(Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e
ambientali), nella parte in cui prevede che non sono soggetti a
provvedimenti
di rilascio gli studi d’artista ivi contemplati Il d.lgs. n. 490 del
1999 ha
previsto nell’art. 52 forme di protezione analoghe a quelle stabilite
nell’art.
4-bis del decreto-legge 9 dicembre 1986, n. 832 (Misure urgenti in
materia di
contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di
abitazione), convertito nella legge 6 febbraio 1987, n. 15; la predetta
norma
già tutelava gli studi d’artista di riconosciuto valore storico con la
previsione di varie misure, tra cui la non assoggettabilità del
relativo
immobile a provvedimenti di rilascio, il vincolo di inamovibilità dallo
stabile
e il divieto di modificazione della destinazione d’uso. La nuova
normativa,
oltre a dettare un regime analogo per i beni in questione, ha voluto
espressamente inserire gli studi d’artista nelle categorie speciali di
beni
culturali, indicate nell’art. 3 dello stesso testo unico,
indipendentemente
dalla loro inclusione nelle categorie elencate nell’art. 2, soggette
alle
disposizioni di tutela contenute nel Titolo I. Per effetto di
tale
riconoscimento, gli studi d’artista che vantano le prescritte
caratteristiche
fruiscono delle particolari ed incisive misure di protezione atte a
mantenere
integro il loro dichiarato valore storico-artistico, tra le quali, il
divieto
di adibire il bene ad usi incompatibili con il suo carattere storico o
artistico, la necessità della preventiva autorizzazione del ministro o
del
soprintendente per eseguire opere, l’obbligo per il proprietario,
possessore o
detentore di realizzare gli interventi necessari ad impedire il
deterioramento
del bene. Alle menzionate disposizioni protettive, si
aggiunge poi la
previsione di ulteriori specifici strumenti di tutela, quali quelli
indicati
nell’art. 52 del decreto, consistenti nella non assoggettabilità dello
studio
ai provvedimenti di rilascio previsti dalla normativa vigente in
materia di
locazione di immobili urbani, nella prescrizione di inamovibilità del
contenuto
dello studio dallo stabile in cui esso è situato e nella immutabilità
della
destinazione d’uso. Mentre le prescrizioni di inamovibilità e di
immutabilità
della destinazione d’uso, contenute nella norma impugnata, appaiono
come
integrazione e specificazione dei generali obblighi di conservazione
dei beni
culturali e sono quindi misure coerenti all’attuazione di questi
obblighi, la
esenzione degli studi d’artista dai provvedimenti di rilascio previsti
dalla
normativa vigente in materia di locazione di immobili urbani si rivela
invece
una misura assolutamente esuberante rispetto alla finalità di tutela
perseguita.
Per effetto della disposizione in esame, benché possa essere dedotto in
giudizio l’inadempimento delle obbligazioni derivanti da contratti di
locazione
aventi ad oggetto i predetti beni, non essendo consentita l’emanazione
dell’ordine di rilascio si verifica la protrazione forzata di un
rapporto nato
come contrattuale, la cui causa è venuta meno. Analoga situazione
ricorre
allorché si giunga alla scadenza contrattualmente prevista e sia stata
idoneamente manifestata la volontà di non rinnovare il contratto. Nei
casi
considerati, si manifesta un evidente sacrificio dei diritti del
locatore,
poiché l’assoluta indeterminatezza del periodo di tempo nel quale gli
studi
d’artista non sono soggetti ai provvedimenti di rilascio genera una
illimitata
continuazione del rapporto. La scelta del legislatore è nella
fattispecie
irragionevole, dal momento che l’intento perseguito in attuazione
dell’art. 9
della Costituzione poteva già considerarsi attuato mediante le numerose
altre
previsioni contenute nella medesima norma, che costituiscono mezzi
ampiamente
idonei a rendere immodificabile l’ambiente e i luoghi nei quali operò
l’artista, al fine di conservare intatta la testimonianza dei valori
culturali
in esso insiti. Non essendo consentita, già in forza dei predetti
vincoli, la
rimozione di alcuno dei beni contenuti nello studio né tanto meno
l’attuazione
di una diversa destinazione dell’immobile, risultano evidenti per un
verso la
ridondanza della prescrizione di non soggezione degli studi a
provvedimenti di rilascio,
che nulla aggiunge alle modalità di salvaguardia già previste, ma
soprattutto
per l’altro verso la eccessiva compressione dei diritti del locatore,
costretto
a subire la protrazione nel tempo, persino in assenza di un
corrispettivo, sino
a perdere indefinitamente la disponibilità dell’immobile. La
disposizione in
esame, discostandosi dal proprio fine ispiratore per la compresenza di
pari ed
altrettanto efficaci misure di difesa e garanzia, di cui si è fatto
cenno, che
permangono a tutela della conservazione dei beni culturali, si rivela
dunque
irragionevole e lesiva del diritto di proprietà e perciò illegittima.
Corte
Costituzionale, del 4 giugno 2003, sentenza n. 185
- Alienazioni
a titolo oneroso di cose
di interesse artistico e storico - Interesse pubblico - Prelazione a
favore
dello Stato - Termine - Scadenza - Tutela del diritto soggettivo di
proprietà
del privato - Giurisdizione del giudice ordinario.
Costituisce in giurisprudenza ius
receptum il principio secondo cui il diritto di prelazione a favore
dello
Stato, previsto dall’articolo 31 legge 1089/39, nelle alienazioni a
titolo
oneroso di cose di interesse artistico e storico, è espressione di un
potere
statale di supremazia per il conseguimento dell’interesse pubblico alla
conservazione ed al generale godimento di determinati beni e si
esercita
mediante l’emanazione di un provvedimento amministrativo, avente natura
e
finalità ablatorie, e la comunicazione, nel termine di due mesi dalla
denuntiatio, fissato a pena di decadenza dell’articolo 32, comma 1,
legge
citata, del provvedimento stesso all’interessato. Tale comunicazione
assume,
pertanto, essa stessa valore di elemento costituito della fattispecie
ablatoria, non già di mero strumento conoscitivo dell’avvenuto
esercizio della
prelazione (cfr., Cassazione 8079/92; 1950/96). Da tale principio
deriva, in
conformità a quanto comunemente si ritiene in tema di procedimenti
ablatori,
che, ove si deduca la carenza, in capo alla pubblica amministrazione,
del diritto
di prelazione ovvero l’acquisizione del diritto di proprietà sul bene
senza
l’esercizio del diritto di prelazione nel termine per esso stabilito,
il che
equivale alla deduzione della carenza di potere ablatorio dopo la
scadenza
dello stesso termine, la relativa controversia spetterà alla
giurisdizione del
giudice ordinario, venendo in rilievo la tutela del diritto soggettivo
di
proprietà del privato. CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. Un.
Ord. 17 aprile
2003, Sentenza n. 6221
- Vincolo
storico artistico su immobile del 1800 - complesso immobiliare in
totale stato
di degrado - ricorso per mancata comprovazione del valore -
provvedimento
carente di vizi logici - inammissibilità del ricorso.
L’art. 2, L. 1° giugno 1939, n.1989
(oggi nel testo unico: Decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490)
permette di
sottoporre a vincolo storico - artistico le “cose immobili che, a causa
del
loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura,
dell’arte
e della cultura in genere, siano state riconosciute di interesse
particolarmente importante e come tali abbiano formato oggetto di
notificazione
in forma amministrativa, del ministero per la educazione nazionale”. Lo
stato
di degrado dell’immobile non può costituire un ostacolo all’imposizione
del
vincolo, motivato logica e congruamente, al fine di garantire quanto
meno la
conservazione del valore residuo. Consiglio di Stato, sezione
VI, 24 marzo
2003, n. 1496
- Vincolo
archeologico - L'amministrazione può disporre legittimamente
l'estensione del
vincolo su immobili non direttamente interessati da reperti
archeologici ma
limitrofi ai fondi nei quali tali reperti sono stati individuati -
Motivazione.
Il
provvedimento con il quale l'amministrazione dispone l'estensione del
vincolo
su immobili non direttamente interessati da reperti archeologici ma
limitrofi
ai fondi nei quali tali reperti sono stati individuati richiede una
specifica
motivazione in merito all'esigenza d'imposizione del vincolo (C. Stato,
sez.
VI, 03-11-1997, n. 1565). Ciò posto, ritiene il Collegio che siffatto
obbligo
motivazionale possa ritenersi assolto nel caso di specie. Ed invero, il
riferimento, in uno al dato costituito dal rinvenimento dei reperti, e
quale
ulteriore fattore comprovante la probabile importanza archeologica di
un’area
dalle dimensioni più estese, all’adiacenza della stessa alla cinta
muraria di
epoca romana non può essere certo sminuito nella sua valenza
indiziante: si
tratta di circostanze all’evidenza convergenti nel denotare la presenza
di un
tessuto urbano di più ampie dimensioni e comunque idonee ad escludere
che il
provvedimento possa ritenersi affetto dal denunciato vizio di eccesso
di potere
per macroscopica illogicità. Consiglio di Stato, Sezione VI
del 6 marzo
2003, sentenza n. 1233
- Beni
storici
e artistici - Patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale
(cose
d'antichità e d'arte) - in genere - Possesso di beni di interesse
artistico,
storico o archeologico - Art. 67 l. n.1089 del 1939 in relazione
all'art.624
cod. pen. - Configurabilita' - Ragioni.
Il possesso di oggetti di interesse artistico,
storico o archeologico, che deve ritenersi illegittimo in quanto tali
beni
appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato fin dalla loro
scoperta,
integra il reato di cui all'art.67 della legge n.1089 del 1939 in
relazione
all'art.624 cod. pen. Cass. 1995 n. 12087 riv. 203105; Cass. 1998 n.
12716 riv. 212786; Cass. 1999 n. 07131 riv. 213740; Cass. 2000 n. 05714
riv.
216567. Pres. Vitalone - Est.. Quitadamo
- PM. (Conf.) Albano A - IMP. Di Marco. CASSAZIONE PENALE,
Sezione III, del 30/01/2003 (UD.22/11/2002) RV. 223554 Sentenza n. 04266
- Possesso
di
beni di interesse artistico, storico o archeologico - Reato di cui
all'art. 67
legge n. 1089 del 1939 in relazione all'art. 624 cod. pen. -
configurabilita' -
ragioni. Il
possesso
di oggetti di interesse artistico, storico o archeologico, che deve
ritenersi
illegittimo in quanto tali beni appartengono al patrimonio
indisponibile dello
Stato fin dalla loro scoperta, integra il reato di cui all'art. 67
della legge
n. 1089 del 1939 in relazione all'art. 624 cod. pen.. Vedi anche: Cass.
1995 n.
12087; Cass. 1998 n. 12716; Cass. 1999 n. 07131; Cass. 2000 n. 05714. Cassazione
Penale Sezione III, del 30/01/2003 (UD.22/11/2002), sentenza n. 04266
- Necessità
di
un atto formale del Ministero per i beni culturali e ambientali ai fini
della
sottoposizione di un bene di proprietà pubblica al regime vincolistico
di cui
alla legge n.1089 - La necessità di un provvedimento costitutivo - Le
disposizioni del Codice Civile artt. 822 - 824.
La materia del contendere
sottoposta all'esame del Collegio si incentra sulla necessità (o meno)
di un
atto formale del Ministero per i beni culturali e ambientali ai fini
della
sottoposizione di un bene di proprietà pubblica al regime vincolistico
di cui
alla legge n.1089. Si tratta di questione sulla quale la Sezione ha
avuto occasione
di pronunciarsi con due recenti decisioni (2 novembre 1998, n.1479 ed 8
febbraio 2000, n.678), ove si è ritenuta la necessità, anche per i beni
di
proprietà pubblica, di un apposito atto diretto ad accertare la valenza
storico-artistica del bene. Il giudice di prime cure ha tratto
argomento dal
tenore dell’art.4 L. n.1089/1939 per sostenere che, contrariamente a
quanto
avviene per i beni di interesse storico-artistico di proprietà privata,
i beni
omologhi appartenenti agli enti pubblici territoriali sono ex lege
assoggettati
al regime proprio dei beni demaniali ed alle norme protettive dettate
dalla
legge n.1089 senza che sia all’uopo necessario un atto costitutivo di
accertamento del pregio del bene. In realtà la citata disposizione
normativa, se
è vero che sancisce la funzione puramente dichiarativa assolta dagli
“elenchi”
(nei quali i rappresentanti degli Enti debbono ricomprendere “le cose
indicate
nell’art.1...”), non contiene però alcuna statuizione da cui possa
escludersi
la necessità di un provvedimento costitutivo volto alla verifica
dell’interesse
storico-artistico del bene ed alla conseguente imposizione del regime
vincolistico. Anzi la previsione contenuta all’ultimo comma dell’art.4,
laddove
richiama “le disposizioni della presente legge” per affermare che
queste
trovano applicazione per le cose di proprietà degli enti pubblici
territoriali,
a prescindere dall’inclusione negli elenchi descrittivi, va riferita
certamente
anche alle norme (della L. n.1089) che prescrivono di accertare la
natura del
bene e di riscontrarne l’interesse culturale ai sensi degli artt.1 e 2.
Né può
assumere alcun rilievo in senso contrario la circostanza che l’art.3
della L.
n.1089/1939 imponga la “notifica” per i soli beni di proprietà privata.
Siffatta limitazione - come ha osservato la Sezione nelle pronunce
soprarichiamate - riguarda infatti il solo momento della partecipazione
o
comunicazione dell’atto, “mentre non vi è traccia alcuna di una
distinzione tra
beni pubblici e privati per quanto afferisce al momento prodromico
dell’accertamento circa l’interesse da tutelare, esplicazione di
discrezionalità tecnica di pertinenza dell’Amministrazione dei beni
culturali...” (così VI, 8 febbraio 2000, n.678). La necessità di un
provvedimento costitutivo anche per i beni di interesse
storico-artistico
appartenenti agli Enti pubblici territoriali è in ogni caso postulata -
secondo
l’orientamento giurisprudenziale soprachiamato - anche dalle
disposizioni del
Codice Civile ove, ai sensi del combinato disposto degli artt.822-824
fanno
parte del demanio gli immobili di proprietà di Stato, Province e
Comuni,
“riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico a norma
delle
leggi in materia”: con ciò evidenziandosi che la qualificazione di beni
sottoposti al regime della legge n.1089 presuppone un apposito atto di
riconoscimento che accerti l’interesse alla tutela. Occorre aggiungere
che le
conclusioni cui perviene la ricostruzione del dato normativo qui
delineata si
pone in perfetta coerenza: da un lato, con l’opportunità di ricondurre
ogni
valutazione al Ministero per i beni culturali, vale a dire all’organo
tecnicamente qualificato ed istituzionalmente deputato all’accertamento
della
valenza storico-artistica del bene; dall’altro, con l’esigenza non meno
importante di dare certezza al regime vincolistico onde agevolare gli
Enti
pubblici proprietari in sede di gestione e di disposizione del bene. Consiglio
di Stato Sezione VI, 8 gennaio 2003 sentenza n. 20
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