|
- Le
opere
realizzate all’interno della fascia di rispetto autostradale non sono
suscettibili di sanatoria - vincolo di inedificabilità assoluta fuori
del
centro abitato - La deroga nel perimetro del centro abitato - La
sopraelevazione di edificio - L’esclusione della natura edificatoria
del
terreno rientrante nella fascia di rispetto.
Le opere realizzate all’interno della fascia di
rispetto autostradale prevista al di fuori del perimetro del centro
abitato
(fascia di sessanta metri) sono ubicate in aree assolutamente
inedificabili e,
pertanto, se costruite dopo l’imposizione del vincolo, rientrano nella
previsione di cui all’articolo 33, comma 1, lettera d)
della legge 28
febbraio 1985, n. 47 e non sono suscettibili di sanatoria. A
tale
riguardo giova premettere che, ai sensi dell’articolo 41-septies,
commi
1 e 2 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 (articolo
aggiunto
dall’articolo 19 della l. 6 agosto 1967, n. 765) “Fuori del
perimetro dei
centri abitati debbono osservarsi nell’edificazione distanze minime a
protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della
strada.
Dette distanze vengono stabilite con decreto del Ministro per i Lavori
pubblici
di concerto con i Ministri per i trasporti e per l’Interno, entro sei
mesi
dall’entrata in vigore della presente legge, in rapporto alla natura
delle
strade ed alla classificazione delle strade stesse, escluse le strade
vicinali
e di bonifica”. Tale vincolo di inedificabilità è configurato
come assoluto
nel caso di autostrade per le aree situate al di fuori del centro
abitato,
perché - ai sensi del D.M. 1 aprile 1968 - è esclusa ogni possibilità
di deroga
alla distanza minima, fissata in sessanta metri (la fascia di rispetto
è,
invece, ridotta a venticinque metri all’interno del perimetro del
centro abitato
ed è derogabile a mente dell’articolo 9, comma 1 della legge 24 luglio
1961, n.
729). In tal senso si è espressa sia la giurisprudenza della Corte di
cassazione (cfr. Cass. civ., 14 gennaio 1987, n. 193, per cui
non è
suscettibile di sanatoria, ai sensi della citata legge n. 47 del 1985,
la
sopraelevazione di edificio che disti dal ciglio dell’autostrada,
all’esterno
dei centri abitati, meno di quanto previsto dal d. m. 1 aprile
1968, se
la sopraelevazione è stata realizzata dopo l’imposizione del
vincolo
autostradale; v. anche Cass. civ., 26 gennaio 2000, n. 841, che per
tale
ragione esclude la natura edificatoria del terreno rientrante nella
fascia di
rispetto) sia quella del Consiglio di Stato (Sez. V, 8 settembre 1994,
n. 968,
che qualifica come inedificabile l’area ricompresa nella predetta
fascia di
rispetto). Le distanze previste dalla norma suddetta vanno rispettate
anche con
riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale
(in
termini, Cass. civ., 1 giugno 1995, n. 6118) o che costituiscano mere
sopralevazioni (v. la citata Cass. civ., 14 gennaio 1987, n. 193), o
che, pur
rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere
preesistenti. Consiglio
di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5716
- Le
opere
realizzate all’interno della fascia di rispetto autostradale (fascia di
sessanta metri fuori del centro abitato) - Aree assolutamente
inedificabili non
suscettibili di sanatoria - La fascia di rispetto ridotta a venticinque
metri
all’interno del perimetro del centro abitato ed è derogabile.
Le opere realizzate all’interno
della fascia di rispetto autostradale prevista al di fuori del
perimetro del
centro abitato (fascia di sessanta metri) sono ubicate in aree
assolutamente
inedificabili e, pertanto, se costruite dopo l’imposizione del vincolo,
rientrano nella previsione di cui all’articolo 33, comma 1, lettera d)
della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e non sono suscettibili di
sanatoria, anche
se si tratti di mere soprelevazioni di manufatti preesistenti ed anche
se
l’opera resti al di sotto del livello della strada. A tale riguardo
giova
premettere che, ai sensi dell’articolo 41-septies,
commi 1 e 2 della
legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 (articolo aggiunto
dall’articolo 19
della l. 6 agosto 1967, n. 765) “Fuori del perimetro dei
centri abitati
debbono osservarsi nell’edificazione distanze minime a protezione del
nastro
stradale, misurate a partire dal ciglio della strada. Dette distanze
vengono
stabilite con decreto del Ministro per i Lavori pubblici di concerto
con i Ministri
per i trasporti e per l’Interno, entro sei mesi dall’entrata in vigore
della
presente legge, in rapporto alla natura delle strade ed alla
classificazione
delle strade stesse, escluse le strade vicinali e di bonifica”.
Tale
vincolo di inedificabilità è configurato come assoluto nel caso di
autostrade
per le aree situate al di fuori del centro abitato, perché - ai sensi
del D.M.
1 aprile 1968 - è esclusa ogni possibilità di deroga alla distanza
minima,
fissata in sessanta metri (la fascia di rispetto è, invece, ridotta a
venticinque metri all’interno del perimetro del centro abitato ed è
derogabile
a mente dell’articolo 9, comma 1 della legge 24 luglio 1961, n. 729).
Il
ricorrente, che ha realizzato un’opera abusiva all’interno della
predetta
fascia di rispetto ed al di fuori del perimetro del centro abitato, non
può,
inoltre, avvalersi della possibilità di sanatoria offerta dall’articolo
32,
comma 4, lettera c) della citata legge n. 47 del
1985 (per cui “Sono
suscettibili di sanatoria, alle condizioni sottoindicate, le opere
insistenti
su aree vincolate dopo la loro esecuzione e che risultino: […]
c)
in contrasto con le norme del D.M. 1 aprile 1968 pubblicato nella
Gazzetta
Ufficiale n. 96 del 13 aprile 1968, sempre che le opere stesse non
costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico”), perché
nella
fattispecie in esame il vincolo sull’area era stato imposto prima della
costruzione del manufatto. Trova, allora, applicazione la norma di cui
all’articolo 33, comma 1, lettera d) della legge 28
febbraio 1985, n.
47, che esclude la possibilità di sanatoria delle opere di cui al
precedente
articolo 31 “quando siano in contrasto con i
seguenti vincoli, qualora
questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della
esecuzione
delle opere stesse: […] d) ogni altro vincolo che
comporti la
inedificabilità delle aree”. In tal senso si è espressa sia
la
giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. Cass. civ., 14 gennaio
1987, n.
193, per cui non è suscettibile di sanatoria, ai sensi della
citata legge
n. 47 del 1985, la sopraelevazione di edificio che disti dal ciglio
dell’autostrada, all’esterno dei centri abitati, meno di quanto
previsto dal d.
m. 1 aprile 1968, se la sopraelevazione è stata
realizzata dopo
l’imposizione del vincolo autostradale; v. anche Cass. civ., 26 gennaio
2000,
n. 841, che per tale ragione esclude la natura edificatoria del terreno
rientrante nella fascia di rispetto) sia quella del Consiglio di Stato
(Sez. V,
8 settembre 1994, n. 968, che qualifica come inedificabile l’area
ricompresa
nella predetta fascia di rispetto). Consiglio di Stato,
sezione IV, 25
settembre 2002, n. 4927
- Fascia
di
rispetto autostradale - Il carattere assoluto del vincolo sussiste a
prescindere dalla concrete caratteristiche dell’opera realizzata - Pregiudizio
alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone - L’esigenza di
assicurare fascia di rispetto utilizzabile.
Va, inoltre, osservato che il carattere assoluto del
vincolo sussiste a prescindere dalla concrete caratteristiche
dell’opera
realizzata. Infatti il divieto di costruire ad una certa distanza dalla
sede
autostradale, posto dall’articolo 9 della legge 24 luglio 1961, n. 729
e dal
successivo d.m. 1 aprile 1968, non può essere inteso restrittivamente e
cioè
come previsto al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli
materiali
emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro
prossimità alla
sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla
incolumità
delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una
fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario,
per
l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito
di
materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli
limitativi
connessi con la presenza di costruzioni. Pertanto le distanze previste
dalla
norma suddetta vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non
superino
il livello della sede stradale (in termini, Cass. civ., 1 giugno 1995,
n. 6118)
o che costituiscano mere sopralevazioni (v. la citata Cass. civ., 14
gennaio
1987, n. 193), o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate
rispetto alle
opere preesistenti. Va, infine, osservato che non è più operante la
sospensione
del giudizio amministrativo in pendenza di sanatoria, essendo decorso
il
termine di cui all’articolo 44, comma 1 della legge 28 febbraio 1985,
n. 47. Consiglio
di Stato, sezione IV, 25 settembre 2002, n. 4927
- Responsabilità
della P.A. qualora l'utente della strada subisca un danno per cattiva
manutenzione - L'obbligo
della
manutenzione e della custodia - Omessa verifica e manutenzione delle
strade
poste all'interno dell'abitato - L'affidamento in appalto di lavori a
terzi su
strade demaniali non esime la PA. da responsabilità. La
Cassazione ha sempre affermato
che la PA non può essere ritenuta responsabile quale custode ex art.
2051 c.c.
per i beni appartenenti al demanio stradale, in quanto su di essi viene
esercitato un uso ordinario, generale e diretto da parte dei cittadini
e
l'estensione del bene stesso rende praticamente impossibile l'esercizio
di un
continuo ed efficace controllo che valga ad impedire l'insorgenza di
cause di
pericolo per terzi. La responsabilità dell'amministrazione secondo tale
indirizzo, potrebbe invece ravvisarsi in base all'art. 2043 c.c.,
qualora
l'utente della strada subisca un danno per cattiva manutenzione della
stessa e
dimostri che l'evento dannoso è causalmente ricollegabile ad una
insidia (o
trabocchetto) , cioè ad una situazione di fatto che rappresentante un
pericolo
occulto. La Corte Costituzionale, con sentenza del 10.5.99 n. 156, ha
ritenuto
che non fosse fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 2051
c.c. sotto il profilo della non applicabilità di detta norma alla P.A.
per i
beni demaniali soggetti ad un uso ordinano, generale e diretto da parte
dei
cittadini. In particolare la Corte ha ritenuto corretto l'orientamento
della
Cassazione secondo cui l'inapplicabilità dell'art. 2051 c.c.
deriverebbe dal
fatto che per determinati beni (quali il demanio stradale ) la P.A. non
ha la
possibilità di esercitare un controllo idoneo ad impedire l'insorgenza
di situazioni
pericolose per i consociati, precisando comunque che tale norma può
trovare
applicazione allorché un efficace controllo sia concretamente
possibile,
dovendo il Giudice accertare tale circostanza caso per caso, dato che
la
notevole estensione e l'uso diretto e generale da parte dei cittadini
costituiscono meri indici dell'impossibilità di esercitare il potere di
controllo, come ritenuto da alcune recenti sentenze della Cassazione.
La Corte
ha precisato. altresì che i privati non vantano un diritto soggettivo
alla
manutenzione delle strade e che sono gravati di un onere (secondo il
principio
di autoresponsabilità) di particolare attenzione nell'uso dei beni
demaniali
per salvaguardare la propria incolumità: in tale quadro la nozione di
insidia
verrebbe a configurarsi come una figura sintomatica di colpa, elaborata
dalla
giurisprudenza col fine di distribuire tra le parti l'onere della
prova. Come
rilevato anche dalla Corte Costituzionale, negli ultimi anni la
Cassazione è
giunta in talune sentenze a ritenere ammissibile l'applicabilità
dell'art. 2051
c.c. alla P.A. anche con riferimento ai beni demaniali, nei casi in cui
il
luogo in cui il danno si era verificato fosse di un'estensione tale da
rendere
possibile un effettivo controllo da parte della stessa (si vedano in
particolare le sentenze della Cassazione n. 156 del 1999 e n. 13114 del
1995
che prendono in considerazione quale bene demaniale la rete fognaria
comunale)
e ciò anche per quanto concerne il demanio stradale. In particolare la
Cassazione ha ritenuto che dalla proprietà pubblica del Comune sulle
strade
poste all'interno dell'abitato discende per l'ente non solo l'obbligo
della
manutenzione, come stabilito dell'art. 5 r.d. 15.11.1923) n. 2506. ma
anche
quello della custodia, con conseguente operatività nei confronti
dell'ente
stesso, della presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c.
(Cass.
20.11.1998 n. 11749, Cass. 5.9.1997 n. 8588, Cass. 21.5.96 n. 4673).
Inoltre la
Cassazione ha sancito l'operatività dell'art. 2051 c.c. nel confronti
del
Comune e in relazione alle strade poste all'interno dell'abitato,
qualora lo
stesso abbia omesso di vigilare al fine di impedire che terzi
incaricati
dell'esecuzione dei lavori sui beni oggetto della proprietà vi
procedessero in
guisa tale da recare danno ai fondi limitrofi (Cass. n. 4673 del 1996).
(In
particolare con la sentenza n. 2963 del 29.3.99 la Cassazione ha
ritenuto che
il Comune proprietario di una strada, sulla quale siano stati seguiti
lavori
affidati in appalto ad un'impresa privata, è responsabile per il fatto
dannoso
accaduto a colui che , transitando sull'arteria con un autocarro,
sprofondi con
l'automezzo in una buca non segnalata per il cedimento del terreno di
riempimento). La Corte infatti ha considerato che il Comune, in quanto
proprietario
della strada, avrebbe dovuto attivarsi per eliminare ogni situazione di
pericolo eventualmente determinata dallo svolgimento dei lavori.
Infatti la
responsabilità dell'ente proprietario della strada è configurabile ( a
prescindere dalla responsabilità dell'appaltatore) anche quando i
lavori siano
dati in appalto e impone all'ente stesso di curare che l'uso si svolga
senza
pericolo, se del caso eliminando le situazioni contrarie alla
sicurezza. Tali
principi, secondo la Corte, sono a maggior ragione applicabili dove non
ci
siano cartelli o altre idonee segnalazioni idonee a richiamare
l'attenzione del
cittadino su possibili situazione pericolose. Tale sentenza è in linea
con
numerose altre della Cassazione le quali hanno escluso che
l'affidamento in
appalto di lavori a terzi su strade demaniali possa esimere la PA. da
responsabilità (si veda per esempio la n. 4070 del 22.4.1998). In
particolare
si consideri quella n. 3771 del 16.4.1987, concernente una fattispecie
in cui
era stato eseguito uno scavo stradale per la posa in opera di.
tubature: la
Cassazione in questo caso ha richiamato espressamente l'obbligo
dell'ente
pubblico di verificare non solo la fase esecutiva dei lavori, ma anche
il
conveniente ripristino della situazione dei luoghi una volta terminati
gli
stessi. Né può dirsi che nel caso di specie l'art. 2051 c.c. non fosse
applicabile data l'estensione del demanio stradale del Comune e l'uso
generalizzato di tale bene, visto che l'ente era perfettamente a
conoscenza che
vi erano in corso lavori proprio su quella strada , per cui aveva la
possibilità in concreto di esercitare sulla stessa un controllo
adeguato al
fine di impedire che si creassero situazioni di pericolo per gli
utenti, vuoi
per lo svolgimento dei lavori, vuoi per l’inadeguato ripristino una
volta
terminati gli stessi. Tale controllo era vieppiù dovuto considerato che
nel
pressi degli avvallamenti e delle buche non vi erano segnalazioni. Tribunale
Civile di Monza - Sentenza 24 maggio 2001 n. 1356
Torna
all'indice delle
sentenze
|
|