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Edilizia - Le strade e le fasce di rispetto, i danni
(Sentenze pronunciate nell'anno 2002 della Cassazione, del Consiglio di Stato e del TAR)
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  1. Le opere realizzate all’interno della fascia di rispetto autostradale non sono suscettibili di sanatoria - vincolo di inedificabilità assoluta fuori del centro abitato - La deroga nel perimetro del centro abitato - La sopraelevazione di edificio - L’esclusione della natura edificatoria del terreno rientrante nella fascia di rispetto. Le opere realizzate all’interno della fascia di rispetto autostradale prevista al di fuori del perimetro del centro abitato (fascia di sessanta metri) sono ubicate in aree assolutamente inedificabili e, pertanto, se costruite dopo l’imposizione del vincolo, rientrano nella previsione di cui all’articolo 33, comma 1, lettera d) della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e non sono suscettibili di sanatoria.  A tale riguardo giova premettere che, ai sensi dell’articolo 41-septies, commi 1 e 2 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 (articolo aggiunto dall’articolo 19 della l. 6 agosto 1967, n. 765) “Fuori del perimetro dei centri abitati debbono osservarsi nell’edificazione distanze minime a protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada. Dette distanze vengono stabilite con decreto del Ministro per i Lavori pubblici di concerto con i Ministri per i trasporti e per l’Interno, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, in rapporto alla natura delle strade ed alla classificazione delle strade stesse, escluse le strade vicinali e di bonifica”. Tale vincolo di inedificabilità è configurato come assoluto nel caso di autostrade per le aree situate al di fuori del centro abitato, perché - ai sensi del D.M. 1 aprile 1968 - è esclusa ogni possibilità di deroga alla distanza minima, fissata in sessanta metri (la fascia di rispetto è, invece, ridotta a venticinque metri all’interno del perimetro del centro abitato ed è derogabile a mente dell’articolo 9, comma 1 della legge 24 luglio 1961, n. 729). In tal senso si è espressa sia la giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. Cass. civ., 14 gennaio 1987, n. 193, per cui non  è suscettibile di sanatoria, ai sensi della citata legge n. 47 del 1985, la sopraelevazione di edificio che disti dal ciglio dell’autostrada, all’esterno dei centri abitati, meno di quanto previsto dal d. m. 1 aprile 1968,  se la sopraelevazione è stata  realizzata dopo l’imposizione del vincolo autostradale; v. anche Cass. civ., 26 gennaio 2000, n. 841, che per tale ragione esclude la natura edificatoria del terreno rientrante nella fascia di rispetto) sia quella del Consiglio di Stato (Sez. V, 8 settembre 1994, n. 968, che qualifica come inedificabile l’area ricompresa nella predetta fascia di rispetto). Le distanze previste dalla norma suddetta vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (in termini, Cass. civ., 1 giugno 1995, n. 6118) o che costituiscano mere sopralevazioni (v. la citata Cass. civ., 14 gennaio 1987, n. 193), o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti. Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5716
  2. Le opere realizzate all’interno della fascia di rispetto autostradale (fascia di sessanta metri fuori del centro abitato) - Aree assolutamente inedificabili non suscettibili di sanatoria - La fascia di rispetto ridotta a venticinque metri all’interno del perimetro del centro abitato ed è derogabile. Le opere realizzate all’interno della fascia di rispetto autostradale prevista al di fuori del perimetro del centro abitato (fascia di sessanta metri) sono ubicate in aree assolutamente inedificabili e, pertanto, se costruite dopo l’imposizione del vincolo, rientrano nella previsione di cui all’articolo 33, comma 1, lettera d) della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e non sono suscettibili di sanatoria, anche se si tratti di mere soprelevazioni di manufatti preesistenti ed anche se l’opera resti al di sotto del livello della strada. A tale riguardo giova premettere che, ai sensi dell’articolo 41-septies, commi 1 e 2 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 (articolo aggiunto dall’articolo 19 della l. 6 agosto 1967, n. 765) “Fuori del perimetro dei centri abitati debbono osservarsi nell’edificazione distanze minime a protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada. Dette distanze vengono stabilite con decreto del Ministro per i Lavori pubblici di concerto con i Ministri per i trasporti e per l’Interno, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, in rapporto alla natura delle strade ed alla classificazione delle strade stesse, escluse le strade vicinali e di bonifica”. Tale vincolo di inedificabilità è configurato come assoluto nel caso di autostrade per le aree situate al di fuori del centro abitato, perché - ai sensi del D.M. 1 aprile 1968 - è esclusa ogni possibilità di deroga alla distanza minima, fissata in sessanta metri (la fascia di rispetto è, invece, ridotta a venticinque metri all’interno del perimetro del centro abitato ed è derogabile a mente dell’articolo 9, comma 1 della legge 24 luglio 1961, n. 729). Il ricorrente, che ha realizzato un’opera abusiva all’interno della predetta fascia di rispetto ed al di fuori del perimetro del centro abitato, non può, inoltre, avvalersi della possibilità di sanatoria offerta dall’articolo 32, comma 4, lettera c) della citata legge n. 47 del 1985 (per cui “Sono suscettibili di sanatoria, alle condizioni sottoindicate, le opere insistenti su aree vincolate  dopo la loro esecuzione e che risultino: […] c) in contrasto con le norme del D.M. 1 aprile 1968 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 13 aprile 1968, sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico”), perché nella fattispecie in esame il vincolo sull’area era stato imposto prima della costruzione del manufatto. Trova, allora, applicazione la norma di cui all’articolo 33, comma 1, lettera d) della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che esclude la possibilità di sanatoria delle opere di cui al precedente articolo 31 “quando siano in contrasto con  i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: […] d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree”. In tal senso si è espressa sia la giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. Cass. civ., 14 gennaio 1987, n. 193, per cui non  è suscettibile di sanatoria, ai sensi della citata legge n. 47 del 1985, la sopraelevazione di edificio che disti dal ciglio dell’autostrada, all’esterno dei centri abitati, meno di quanto previsto dal d. m. 1 aprile 1968,  se la sopraelevazione è stata  realizzata dopo l’imposizione del vincolo autostradale; v. anche Cass. civ., 26 gennaio 2000, n. 841, che per tale ragione esclude la natura edificatoria del terreno rientrante nella fascia di rispetto) sia quella del Consiglio di Stato (Sez. V, 8 settembre 1994, n. 968, che qualifica come inedificabile l’area ricompresa nella predetta fascia di rispetto). Consiglio di Stato, sezione IV, 25 settembre 2002, n. 4927
  3. Fascia di rispetto autostradale - Il carattere assoluto del vincolo sussiste a prescindere dalla concrete caratteristiche dell’opera realizzata - Pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone - L’esigenza di assicurare fascia di rispetto utilizzabile. Va, inoltre, osservato che il carattere assoluto del vincolo sussiste a prescindere dalla concrete caratteristiche dell’opera realizzata. Infatti il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede autostradale, posto dall’articolo 9 della legge 24 luglio 1961, n. 729 e dal successivo d.m. 1 aprile 1968, non può essere inteso restrittivamente e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni. Pertanto le distanze previste dalla norma suddetta vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (in termini, Cass. civ., 1 giugno 1995, n. 6118) o che costituiscano mere sopralevazioni (v. la citata Cass. civ., 14 gennaio 1987, n. 193), o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti. Va, infine, osservato che non è più operante la sospensione del giudizio amministrativo in pendenza di sanatoria, essendo decorso il termine di cui all’articolo 44, comma 1 della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Consiglio di Stato, sezione IV, 25 settembre 2002, n. 4927
  4. Responsabilità della P.A. qualora l'utente della strada subisca un danno per cattiva manutenzione -  L'obbligo della manutenzione e della custodia - Omessa verifica e manutenzione delle strade poste all'interno dell'abitato - L'affidamento in appalto di lavori a terzi su strade demaniali non esime la PA. da responsabilità. La Cassazione ha sempre affermato che la PA non può essere ritenuta responsabile quale custode ex art. 2051 c.c. per i beni appartenenti al demanio stradale, in quanto su di essi viene esercitato un uso ordinario, generale e diretto da parte dei cittadini e l'estensione del bene stesso rende praticamente impossibile l'esercizio di un continuo ed efficace controllo che valga ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per terzi. La responsabilità dell'amministrazione secondo tale indirizzo, potrebbe invece ravvisarsi in base all'art. 2043 c.c., qualora l'utente della strada subisca un danno per cattiva manutenzione della stessa e dimostri che l'evento dannoso è causalmente ricollegabile ad una insidia (o trabocchetto) , cioè ad una situazione di fatto che rappresentante un pericolo occulto. La Corte Costituzionale, con sentenza del 10.5.99 n. 156, ha ritenuto che non fosse fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2051 c.c. sotto il profilo della non applicabilità di detta norma alla P.A. per i beni demaniali soggetti ad un uso ordinano, generale e diretto da parte dei cittadini. In particolare la Corte ha ritenuto corretto l'orientamento della Cassazione secondo cui l'inapplicabilità dell'art. 2051 c.c. deriverebbe dal fatto che per determinati beni (quali il demanio stradale ) la P.A. non ha la possibilità di esercitare un controllo idoneo ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose per i consociati, precisando comunque che tale norma può trovare applicazione allorché un efficace controllo sia concretamente possibile, dovendo il Giudice accertare tale circostanza caso per caso, dato che la notevole estensione e l'uso diretto e generale da parte dei cittadini costituiscono meri indici dell'impossibilità di esercitare il potere di controllo, come ritenuto da alcune recenti sentenze della Cassazione. La Corte ha precisato. altresì che i privati non vantano un diritto soggettivo alla manutenzione delle strade e che sono gravati di un onere (secondo il principio di autoresponsabilità) di particolare attenzione nell'uso dei beni demaniali per salvaguardare la propria incolumità: in tale quadro la nozione di insidia verrebbe a configurarsi come una figura sintomatica di colpa, elaborata dalla giurisprudenza col fine di distribuire tra le parti l'onere della prova. Come rilevato anche dalla Corte Costituzionale, negli ultimi anni la Cassazione è giunta in talune sentenze a ritenere ammissibile l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. alla P.A. anche con riferimento ai beni demaniali, nei casi in cui il luogo in cui il danno si era verificato fosse di un'estensione tale da rendere possibile un effettivo controllo da parte della stessa (si vedano in particolare le sentenze della Cassazione n. 156 del 1999 e n. 13114 del 1995 che prendono in considerazione quale bene demaniale la rete fognaria comunale) e ciò anche per quanto concerne il demanio stradale. In particolare la Cassazione ha ritenuto che dalla proprietà pubblica del Comune sulle strade poste all'interno dell'abitato discende per l'ente non solo l'obbligo della manutenzione, come stabilito dell'art. 5 r.d. 15.11.1923) n. 2506. ma anche quello della custodia, con conseguente operatività nei confronti dell'ente stesso, della presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. (Cass. 20.11.1998 n. 11749, Cass. 5.9.1997 n. 8588, Cass. 21.5.96 n. 4673). Inoltre la Cassazione ha sancito l'operatività dell'art. 2051 c.c. nel confronti del Comune e in relazione alle strade poste all'interno dell'abitato, qualora lo stesso abbia omesso di vigilare al fine di impedire che terzi incaricati dell'esecuzione dei lavori sui beni oggetto della proprietà vi procedessero in guisa tale da recare danno ai fondi limitrofi (Cass. n. 4673 del 1996). (In particolare con la sentenza n. 2963 del 29.3.99 la Cassazione ha ritenuto che il Comune proprietario di una strada, sulla quale siano stati seguiti lavori affidati in appalto ad un'impresa privata, è responsabile per il fatto dannoso accaduto a colui che , transitando sull'arteria con un autocarro, sprofondi con l'automezzo in una buca non segnalata per il cedimento del terreno di riempimento). La Corte infatti ha considerato che il Comune, in quanto proprietario della strada, avrebbe dovuto attivarsi per eliminare ogni situazione di pericolo eventualmente determinata dallo svolgimento dei lavori. Infatti la responsabilità dell'ente proprietario della strada è configurabile ( a prescindere dalla responsabilità dell'appaltatore) anche quando i lavori siano dati in appalto e impone all'ente stesso di curare che l'uso si svolga senza pericolo, se del caso eliminando le situazioni contrarie alla sicurezza. Tali principi, secondo la Corte, sono a maggior ragione applicabili dove non ci siano cartelli o altre idonee segnalazioni idonee a richiamare l'attenzione del cittadino su possibili situazione pericolose. Tale sentenza è in linea con numerose altre della Cassazione le quali hanno escluso che l'affidamento in appalto di lavori a terzi su strade demaniali possa esimere la PA. da responsabilità (si veda per esempio la n. 4070 del 22.4.1998). In particolare si consideri quella n. 3771 del 16.4.1987, concernente una fattispecie in cui era stato eseguito uno scavo stradale per la posa in opera di. tubature: la Cassazione in questo caso ha richiamato espressamente l'obbligo dell'ente pubblico di verificare non solo la fase esecutiva dei lavori, ma anche il conveniente ripristino della situazione dei luoghi una volta terminati gli stessi. Né può dirsi che nel caso di specie l'art. 2051 c.c. non fosse applicabile data l'estensione del demanio stradale del Comune e l'uso generalizzato di tale bene, visto che l'ente era perfettamente a conoscenza che vi erano in corso lavori proprio su quella strada , per cui aveva la possibilità in concreto di esercitare sulla stessa un controllo adeguato al fine di impedire che si creassero situazioni di pericolo per gli utenti, vuoi per lo svolgimento dei lavori, vuoi per l’inadeguato ripristino una volta terminati gli stessi. Tale controllo era vieppiù dovuto considerato che nel pressi degli avvallamenti e delle buche non vi erano segnalazioni. Tribunale Civile di Monza - Sentenza 24 maggio 2001 n. 1356
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