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- Occupazione
d'urgenza relativa ad un'opera pubblica di competenza comunale - I
provvedimenti espropriativi e il termine trimestrale - Decreto di
occupazione. La
competenza a provvedere
all'occupazione d'urgenza, spettava al Sindaco, e non alla Giunta
municipale,
come già ripetutamente avvertito dalla Sezione (cfr., fra le tante, 28
ottobre
1993, n. 948; 23 aprile 1992, n. 445; 26 gennaio 1987, n. 50), le cui
acquisizioni devono essere ribadite in questa sede. Ed invero,
all'occupazione
d'urgenza per cui è causa, connessa al territorio della Regione
Campania e
relativa ad un'opera pubblica di competenza comunale, era applicabile
la L.
reg. della Campania 31 ottobre 1978, n. 51, il cui art. 37 (commi 1 e
2)
rinvia, per la competenza in materia di provvedimenti di occupazione
d'urgenza,
alla legge regionale 19 aprile 1977, n. 23. L'art. 2 di quest'ultima
legge,
recante "provvedimenti espropriativi di cui al titolo II della legge 22
ottobre 1971, n. 865 - designazione dell'organo regionale cui compete
l'esercizio delle funzioni di carattere amministrativo", dispone che i
provvedimenti relativi ai procedimenti amministrativi previsti dalla
legge medesima
sono adottati dai sindaci dei Comuni. Ed è allora dalla data di
adozione di
tale ultimo provvedimento che va computato il termine trimestrale entro
cui, a
norma dell'art. 20, primo comma, seconda parte, della legge 22 ottobre
1971,
n.. 865, deve seguire l'occupazione delle aree da espropriare, pena la
inefficacia del decreto di occupazione medesimo, e non già dalla data
del
precedente atto giuntale. Sulla anteriorità della L. reg. n. 23/77
rispetto al
D.P.R. n. 616/77, basti ricordare che - a tacere della circostanza che
è la
successiva L. reg. n. 51/78 a rinviare, per la competenza in materia di
procedimenti di occupazione d'urgenza, alla L. reg. n. 23/77 - l'art.
106 di
tale D.P.R. (richiamato dall'art. 3 L. n. 1/78) si limita ad attribuire
ai
"Comuni" la detta competenza, senza specificare l'organo a ciò
deputato: il che lascia ampio spazio al sistema normativo regionale in
sede di
individuazione dell'organo medesimo. Ed invero, il giudice delle leggi
ha
chiarito che l'art. 128 Cost. non vieta alle Regioni di precisare
quali, tra
gli organi comunali previsti dall'ordinamento statale, siano competenti
a
provvedere in ordine a materie delegate ai Comuni (cfr. Corte cost.
20.10.83,
n. 319). Consiglio di Stato Sezione IV del 23 dicembre 2002
sentenza n. 7279
- La
rilevanza
della distinzione tra "espropriazione sostanziale" (o
"occupazione applicativa") ed "occupazione usurpativa" - Il
diritto al risarcimento integrale del danno ai sensi dell'articolo 2043
del
codice civile - La costruzione giurisprudenziale della cosiddetta
"espropriazione sostanziale" - I presupposti della cosiddetta
"occupazione usurpativa".
È affermazione costante, nell'ambito della costruzione
giurisprudenziale della cosiddetta "espropriazione sostanziale", che,
allorquando la realizzazione dell'opera pubblica (con relativa
trasformazione
irreversibile del fondo) si verifica in pendenza di un'occupazione
temporanea
legittima solo alla scadenza di questa si verifica l'effetto
acquisitivo della
P. A. ed il correlativo sorgere del diritto risarcimento del danno del
privato
( e ciò a partire dalle prime elaborazioni giurisprudenziali
dell’istituto:
Cass., Sez. Un., 1464/1983; Cass. Sez. Un., 4 marzo 1997, n. 1907). In
realtà,
poi, nella presente fattispecie potrebbero addirittura ricorrere i
presupposti
della cosiddetta "occupazione usurpativa" in quanto con la sentenza
ha anche annullato la proroga dei termini per il completamento delle
procedure
espropriative e, quindi, nel caso in cui la strada fosse stata
realizzata
successivamente alla scadenza dell’originario provvedimento non sarebbe
più
operante la dichiarazione di pubblica utilità. La rilevanza della
distinzione
tra "espropriazione sostanziale" (o "occupazione
applicativa") ed "occupazione usurpativa", che si ha quando
viene meno (prima del compimento dell’opera)o manca ab origine anche la
dichiarazione di pubblica utilità, potrebbe avere un effetto pratico in
quanto
per quest'ultima non potrebbe comunque trovare applicazione la
riduzione del
risarcimento del danno, operata dall'articolo 3, comma 65, della legge
n. 662
del 1996, che lo quantifica nella stessa misura dell'indennità di
esproprio
aumentata del solo 10%. La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha
ritenuto compatibile con la Costituzione la riduzione del risarcimento
danni di
cui alla sopra citata normativa proprio sul presupposto della sua
temporaneità,
ovvero per “l'applicabilità alle occupazioni illegittime di suolo
intervenute
anteriormente al 30 settembre nella 1996” (Corte Costituzionale 30
aprile 1999,
n. 148; Corte Costituzionale, 4 febbraio 2000, n. 24). In definitiva,
qualunque
sia il momento di realizzazione della strada, la perdita della
proprietà
dell'area da parte del privato, per effetto della irreversibile
trasformazione
del fondo, sussistendo l’illegittimità della procedura espropriativa
come sopra
evidenziato, ne deriva il diritto al risarcimento integrale del danno
ai sensi
dell'articolo 2043 del codice civile. Tribunale
Amministrativo Regionale,
sez. staccata di Parma, del 4 dicembre 2002 sent. n. 877
- La
materia
dell’espropriazione tra giurisdizione ordinaria e amministrativa - Domanda
risarcitoria.
È da
rilevare che all’indomani dell’emanazione dell’art. 34 del D. Lgs. n.
80/1998,
la materia dell’espropriazione si è trovata “in bilico” tra
giurisdizione
ordinaria e amministrativa; prova ne sia che tanto da parte del giudice
ordinario, quanto da parte del giudice amministrativo sono state rese
pronunce
ugualmente affermative e negative della rispettiva giurisdizione (si
vedano, a
favore della giurisdizione del giudice amministrativo: Tribunale
Amministrativo
Regionale per l’Emilia Romagna, sez. I, 4 luglio 2001, n. 536,
Tribunale di
Milano, Sez. I, 24 giugno 1999, Giudice unico del Tribunale di Palermo
Sez. 1,
20 maggio 1999, T.A.R. Campania, 22 dicembre 1999; ed a favore della
giurisdizione
del giudice ordinario: Tribunale di Napoli, 23.11.1999, Tribunale di
Taranto,
Sez. I, 3 gennaio 2000, T.A.R. Sicilia, 28 aprile 2000, T.A.R. Reggio
Calabria,
23 giugno 2000, n. 1025); Tuttavia, le Sezioni Unite della Corte di
Cassazione
(ordinanza n. 43 del 2000) sono giunte a sollevare una questione di
costituzionalità - per eccesso di delega - del citato art. 34, nel
presupposto
che esso trasferisca al giudice amministrativo “per l’indicato settore
delle
espropriazioni, le controversie in cui si faccia valere il diritto alla
riacquisizione del bene occupato senza titolo (per originaria carenza o
successiva inefficacia del titolo stesso), il diritto al risarcimento
del danno
per occupazione illegittima, od il diritto al risarcimento del danno
prodotto
dal tradursi dell’occupazione medesima nella cosiddetta accessione
invertita od
espropriazione sostanziale”. Il sopravvenire della legge 205 del 2000
sembra,
tuttavia, aver rappresentato un elemento di chiarificazione tale da
indurre il
Consiglio di Stato a prendere decisamente partito nel senso della
giurisdizione, in materia, del G.A.. La Sezione V ha affermato la
sussistenza
della giurisdizione amministrativa (in applicazione dei principi
ermeneutici
concernenti la giurisdizione sopravvenuta ex lege n. 205), in una
controversia
in cui la sospensione degli effetti della dichiarazione di p.u. rendeva
priva
di idoneo titolo giustificativo, sin dall’origine, l’utilizzazione
dell’area
privata da parte della P.A. Ma soprattutto di recente e con
l’autorevolezza
dell’Adunanza Generale (parere 29 marzo 2001, prot. n. 124/2000), il
Consiglio
di Stato ha ulteriormente e decisamente affermato la giurisdizione del
G.A.
nella materia de qua: presa di posizione, questa, che risulta ancor più
significativa, siccome manifestata all’atto di licenziare lo schema di
nuovo
T.U. in materia di espropriazione per pubblica utilità, la cui
redazione era
stata demandata dal Governo al medesimo Consiglio di Stato, in
applicazione
dell’articolo 7, comma 5, della legge 8 marzo 1999, n. 50. Dopo aver
ricordato
la (discussa, in dottrina e nella giurisprudenza della Corte europea
dei
diritti dell’uomo) elaborazione, da parte della Corte di Cassazione,
dell’istituto dell‘”occupazione appropriativi” (o “espropriazione
sostanziale”)
e di quello, più recente, della “occupazione usurpativa”, l’A.G. ha
testualmente affermato che: “l’articolo 34 del decreto legislativo n.
80 del
1998 (nel testo sostituito dalla legge n. 205 del 2000) ha disposto la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che nella materia
espropriativa (rientrante, ai fini della giurisdizione, nell’ambito
della
materia dell’urbanistica, come definita dal richiamato articolo 34)
conosce di
tutti gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti (anche illeciti) di
ogni pubblica
amministrazione o soggetto ad essa equiparato”. In materia di
espropriazione,
in presenza di un illecito della pubblica amministrazione (o di un
soggetto per
legge equiparato), sussiste, quindi, la giurisdizione esclusiva del
giudice
amministrativo” (Cons. Giust. Amm. Reg. Sic. 14 giugno 2001, n. 296).
In
definitiva è da ritenere la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo
(cfr altresì Cons. Giust. Amm. Reg. Sic. 14 giugno 2001, n. 296) oltre
che per
le ragioni sopra esposte anche per la modifica della giurisdizione,
operata
dalla legge n. 205 del 200 diretta ad individuare la giurisdizione
esclusiva
del G.A. (cfr il citato parere 29 marzo 2001 dell’A.G. del Consiglio di
Stato)
con il criterio dei blocchi di materie. Alla stregua delle
considerazioni che
precedono, deve essere, conclusivamente, affermata la giurisdizione di
questo
Giudice in ordine alla domanda risarcitoria avanzata dai ricorrenti. Tribunale
Amministrativo Regionale, sez. staccata di Parma, del 4 dicembre 2002
sent. n.
877
- Determinazione
della giurisdizione del giudice amministrativo per effetto
dell’occupazione
acquisitiva o meglio “usurpativa”.
Ai fini
della giurisdizione del giudice amministrativo, il momento consumativo
dell’illecito che ha determinato la perdita di proprietà dell’area per
effetto
dell’occupazione acquisitiva o meglio “usurpativa” va determinato nella
data di
scadenza del decreto di occupazione legittimo (essendo stato annullata
in
questa sede la proroga) ovvero il 27/11/1998 e, quindi, dopo
l’attribuzione
della giurisdizione al Giudice amministrativo, per effetto del Decreto
Legislativo 31 marzo 1998, n. 80, che ha fissato la data del 30 giugno
1998
quella che determina l’operatività del passaggio di giurisidizione. Tribunale
Amministrativo Regionale, sez. staccata di Parma, del 4 dicembre 2002
sent. n.
877
-
Procedimento
di approvazione delle dichiarazioni di pubblica utilità - L'occupazione
d'urgenza preordinata all'espropriazione - L'annullamento della proroga
delle
dichiarazioni di pubblica utilità determina il travolgimento
dell'occupazione
d'urgenza per illegittimità derivata.
L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Ad. Plen.
15 settembre 1999, n. 14) ha chiarito che le disposizioni sull'avviso
di avvio
del procedimento hanno effetto anche sul procedimento di approvazione
delle
dichiarazioni di pubblica utilità, quanto meno nelle forme di cui
all'articolo
10 della legge n. 165 del 1971 (deposito e notificazione del progetto,
osservazione degli interessati, pronuncia sulle stesse). L'occupazione
d'urgenza
preordinata all'espropriazione ha come suo presupposto di legittimità
non solo
una dichiarazione d'urgenza ed indifferibilità dell'opera, ma altresì
una
dichiarazione di pubblica utilità valida ed efficace. Conseguentemente
l'annullamento della proroga delle dichiarazioni di pubblica utilità
determina
il travolgimento dell'occupazione d'urgenza per illegittimità derivata
(Ad.
Plen. 24 gennaio 2000, n. 2). Inoltre, la proroga dell'occupazione
d'urgenza è
viziata anche per illegittimità proprie essendo stata disposta, senza
alcuna
motivazione, e dopo la scadenza del pregresso decreto prefettizio di
occupazione d'urgenza nonché oltre il termine di cui all'articolo 20
della
legge n. 865 del 1971. Tribunale Amministrativo Regionale,
sez. staccata di
Parma, del 4 dicembre 2002 sent. n. 877
- Provvedimento
di occupazione d'urgenza, emanato, in carenza della presupposta
dichiarazione
di pubblica utilità dell'opera da realizzare - Illegittimità.
Il provvedimento di occupazione
d'urgenza, emanato, in carenza della presupposta dichiarazione di
pubblica
utilità dell'opera da realizzare, risulti, in quanto provvedimento
consequenziale, illegittimo (Cons. Stato, IV Sez., n. 4751/2001). Consiglio
di Stato Sezione IV, 11 novembre 2002 n. 6193
- I
presupposti per la demolizione di edifici a seguito di eventi sismici -
La
realizzazione degli alloggi e delle relative opere di urbanizzazione -
Complessiva ricostruzione e interpretazione del quadro normativo - La
espropriazione dell’area - Opere di arredo urbano e non di
urbanizzazione
primaria o secondaria.
L'art. 84 ter legge n. 219 del 1981 non stabilisce i presupposti per
l'acquisizione delle aree e degli edifici, mediante mero rinvio
all'art. 80, ma
si limita ad ampliare i presupposti per la demolizione di edifici, che
siano
acquisiti alle condizioni fissate dal precedente art. 80, in
particolare,
consentendo la demolizione, oltre che per la realizzazione degli
alloggi e
delle relative opere di urbanizzazione, anche per più generali ragioni
urbanistiche relative alla realizzazione del programma costruttivo.
Resta
fermo, pertanto, che per acquisire aree su cui insistono edifici,
occorre che
questi ultimi siano in sè, e già prima dell'intervento espropriativo,
da
destinare alla demolizione. L'art. 6, comma 7, legge n. 730 del 1986, a
sua
volta, reca una disposizione interpretativa che va letta avendo
riguardo al
dettato dell'art. 84 ter legge n. 219 del 1981. Quest'ultimo, infatti,
stabilisce che gli edifici acquisiti possano essere demoliti per
ragioni
urbanistiche motivate. Invece, l'art. 6, comma 7, legge n. 730 del 1986
stabilisce che gli edifici acquisiti possono comunque essere demoliti
per
ragioni urbanistiche. L'art. 6, comma 7, pertanto, riduce, rispetto
all'art. 84
ter l'onere di motivazione in ordine alle ragioni urbanistiche della
demolizione, ma non modifica i presupposti per l'acquisizione di
edifici.
Siffatta complessiva ricostruzione e interpretazione del quadro
normativo è
suffragata, ad avviso del Collegio, pure da un altro ordine di
considerazioni.
Se fossero state acquisibili anche aree comprensive di edifici non
destinati
alla demolizione già ex ante, ma da demolire per la realizzazione del
programma, la formulazione delle norme in questione avrebbe potuto
essere ben
più semplice; in particolare, l'art. 80 legge n. 219 del 1981 poteva
fare
riferimento alle aree disponibili ed immediatamente utilizzabili, anche
se
comprendenti edifici, sIn
difetto
di una valida e perdurante dichiarazione di pubblica utilità dell’operaenza specificare che deve trattarsi di edifici
da demolire.
A loro volta, gli artt. 84 ter legge n. 219 del 1981 e 6 legge n. 730
del 1986
avrebbero potuto più semplicemente stabilire che sono acquisibili anche
aree
comprensive di edifici, la cui demolizione fosse necessaria per la
realizzazione del programma. Resta fermo,
pertanto, che per
acquisire aree su cui insistono edifici, occorre che questi ultimi
siano in sè,
e già prima dell'intervento espropriativo, da destinare alla
demolizione.
Invece, l'art. 6, comma 7, legge n. 730 del 1986 stabilisce che gli
edifici
acquisiti possono comunque essere demoliti per ragioni urbanistiche.
L'art. 6,
comma 7, pertanto, riduce, rispetto all'art. 84 ter l'onere
di
motivazione in ordine alle ragioni urbanistiche della demolizione, ma
non
modifica i presupposti per l'acquisizione
di edifici.
Siffatta complessiva ricostruzione e interpretazione del quadro
normativo è
suffragata, ad avviso del Collegio, pure da un altro ordine di
considerazioni.
Se fossero state acquisibili anche aree comprensive di edifici
non destinati
alla demolizione già ex ante, ma da demolire per la
realizzazione
del programma, la formulazione delle norme in questione
avrebbe potuto
essere ben più semplice; in particolare, l'art. 80 legge n. 219 del
1981 poteva
fare riferimento alle aree disponibili ed immediatamente
utilizzabili,
anche se comprendenti edifici, senza specificare che deve
trattarsi di
edifici da demolire. A loro volta, gli artt. 84 ter legge n. 219 del
1981 e 6
legge n. 730 del 1986 avrebbero potuto più semplicemente
stabilire che
sono acquisibili anche aree comprensive di edifici, la cui
demolizione
fosse necessaria per la realizzazione del programma. Quanto,
poi,
all'art. 3 D.L. 28 aprile 1988, n. 115, invocato
dal Consorzio E.,
lo stesso è irrilevante nel caso di specie, in quanto i provvedimenti
impugnati
risalgono ad epoca anteriore a tale normativa, che è pertanto
inapplicabile. Va
da ultimo considerato che la espropriazione dell’area è stata disposta
in
quanto contenente un muraglione pericolante, con pericolo di rovinare
sui
sottostanti costruendi alloggi, sulla sommità del quale sono ubicati
gli
immobili di proprietà dei ricorrenti in primo grado, anch’essi da
demolire.
Senonché nel giudizio di primo grado è risultato accertato che la parte
di
muraglione pericolante non è quella prospiciente gli edifici da
edificare, ma
altra esistente più oltre, e tali risultanze non sono state smentite
nel
giudizio di secondo grado. Inoltre, l’appellante osserva che che
sull’area di
risulta è prevista la realizzazione di un sistema di vie, scale mobili
ed
ascensori per collegare l’area di Piazza Mazzini alla sottostante
Montesanto.
Senonché queste opere, così descritte, costituiscono opere di arredo
urbano e
non di urbanizzazione primaria o secondaria funzionalmente collegate
alle realizzazioni
di alloggi per le esigenze del dopo terremoto, per cui la specifica
procedura
della legge 219 del 1980 non può convenientemente essere utilizzata.
Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6070
- La
realizzazione di alloggi per le popolazioni a seguito di eventi sismici
- Definizione di aree disponibili ed immediatamente utilizzabili - Aree
inedificate - Edifici la cui demolizione sia necessaria.
L'espressione aree disponibili ed
immediatamente utilizzabili si riferisce, nella formulazione originaria
dell'art. 80, legge n. 219 del 1981, alle sole aree inedificate, e, nel
testo
novellato dal D.L. n. 333 del 1981, anche alle aree comprendenti
edifici la cui
demolizione sia necessaria per una causa diversa e anteriore
all'intervento
espropriativo (Cons. Stato, IV Sez., 3 marzo 1987, n. 126; id., 20
luglio 1988,
n. 623; id., 24 marzo 1989, n. 185; id. 3 ottobre 1990, n. 723; id., 7
febbraio
1991, nn. 83, 85 e 86). Questa interpretazione restrittiva merita
adesione da
un lato, perché la legge n. 219 del 1981 contiene in materia
espropriativa
deroghe in via di eccezione alla normativa ordinaria di settore, di
talché va
interpretata secondo criteri rigorosi. Dall'altro lato, se lo scopo
della
procedura ablatoria delineata dalla legge n. 219 del 1981 è la
realizzazione di
alloggi per le popolazioni che a seguito dei noti eventi sismici del
1980 sono
rimaste prive di abitazione agibile, siffatto scopo, peraltro, deve
coerentemente inserirsi in una logica più generale di ricostruzione
postsismica, e di risparmio di risorse, essendo il soccorso alle
popolazioni
terremotate e la ricostruzione un costo per l'intera collettività. In
tale
logica, se ha un senso demolire edifici con caratteristiche intrinseche
di
destinazione alla demolizione, perché, essendo danneggiati dal sisma o
altre
cause, non sono recuperabili, appare antieconomico e contrario agli
scopi e ai
costi della ricostruzione demolire edifici sani o comunque recuperabili
a costi
minori di quelli che implicherebbe la demolizione e ricostruzione degli
stessi.
Ciò posto in ordine alla interpretazione seguita dell'art. 80 legge n.
219 del
1981, come novellato dal D.L. n. 333 del 1981, occorre verificare se
siffatta
interpretazione sia ancora valida a seguito delle sopravvenienze
normative di
cui agli artt. 84 ter legge n. 219 del 1981 e 6 legge n. 730 del 1986.
L’art.
84 ter legge n. 219 del 1981, introdotto dall'art. 11 L. 18 aprile 1984
n. 80,
stabilisce che gli edifici compresi nelle aree acquisite ai sensi
dell'art. 80
possono essere demoliti, anche per motivate ragioni urbanistiche
inerenti alla
realizzazione del programma stesso. L'art. 6, comma 7, L. 28 ottobre
1986, n.
730, stabilisce che le disposizioni di cui al comma 2 dell'art. 80
della L. 14
maggio 1981, n. 219, nonché quelle di cui al comma 3 dell'art. 84 ter
della
medesima legge devono essere intese nel senso che gli edifici
individuati
possono essere comunque demoliti per ragioni urbanistiche inerenti alla
realizzazione del programma. Ritiene il Collegio, aderendo ad un
orientamento
più volte espresso e ribadito anche di recente (Sez. IV, 8 giugno 2000,
3244;
Sez. VI, 29 settembre 1999, n. 1276; Sez. IV, 12 gennaio 1999, n. 12),
che le
sopravvenienze normative avanti citate non siano idonee a disattendere
la
interpretazione restrittiva dell'art. 80 legge n. 219 del 1981
suesposta (Cons.
Stato, IV Sez., 20 maggio 1996, n. 644; id., 20 luglio 1988, n. 623
cit.). Consiglio
di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6070
- Espressa
previsione di un indennizzo in favore del proprietario di terreni su
cui siano
reiterati vincoli urbanistici di natura espropriativa - L’adozione
della
variante - Atti di pianificazione generale il quantum dell’indennizzo.
L’espressa previsione di un
indennizzo in favore del proprietario di terreni su cui siano reiterati
vincoli
di natura espropriativa si rende necessaria non quale atto ricognitivo
di un
diritto ormai attribuito all’interessato dalla stessa legislazione
vigente,
come modificata a seguito della sentenza della Corte costituzionale n.
179 del
1999, bensì al fine di attestare la compiuta ed adeguata ponderazione
da parte
dell’Amministrazione di tutti i presupposti ed effetti, di fatto e
giuridici,
del provvedimento adottato. In particolare, il fatto che l’adozione
della
variante in esame comporti un costo per l’Amministrazione, dovendo
essere
corrisposti indennizzi per la reiterazione di vincoli preordinati
all’espropriazione e decaduti, costituisce uno specifico effetto del
provvedimento, che l’Amministrazione deve adeguatamente apprezzare
quando
compie le proprie scelte di pianificazione urbanistica e che deve
ricevere
evidenza anche nel contenuto dell’atto. Il Collegio ritiene, quindi, di
doversi
attenere ai principi di diritto già enunciati dall’Adunanza plenaria di
questo
Consiglio con il citato arresto n. 24 del 1999, con cui si è precisato
che “in
base alla richiamata sentenza della Corte costituzionale,
l’Amministrazione,
nel reiterare vincoli urbanistici preordinati all’espropriazione
[…] avrebbe
dovuto prevedere il relativo indennizzo”, e da ultimo
confermati con la
decisione di questa Sezione n. 664 del 2002. Va, tuttavia, precisato
che la
adeguata ponderazione da parte dell’Amministrazione degli oneri
conseguenti
alla reiterazione dei vincoli in parola non può esaurirsi nel mero
riconoscimento che i proprietari dei terreni interessati hanno diritto
ad un
indennizzo, ma postula una valutazione in termini più concreti del
costo della
scelta pianificatoria, nei limiti in cui ciò sia compatibile con la
natura propria
degli atti amministrativi di pianificazione generale, che (a differenza
dei
decreti di espropriazione) sono destinati ad introdurre disposizioni
caratterizzate da un elevato livello di generalità ed astrattezza.
L’Amministrazione, quindi, tenuto conto della natura e delle finalità
dell’atto, non è obbligata ad indicare direttamente negli atti di
pianificazione generale il quantum dell’indennizzo
previsto per ciascun
proprietario, ma non può neppure limitarsi a prevedere genericamente la
corresponsione di un indennizzo non meglio definito, dovendo piuttosto
precisare - quale requisito di legittimità del provvedimento - anche i
criteri
generali in base ai quali procederà alla liquidazione degli importi
dovuti.
L’obbligo di indicazione dei suddetti criteri generali trova il suo
fondamento
nei principi enunciati nella motivazione della citata sentenza della
Corte
costituzionale n. 179 del 1999. La Corte, pur escludendo di poter
indicare
direttamente i criteri per la concreta liquidazione dell’indennizzo in
parola,
ha, infatti, riconosciuto che “anche in caso di persistente
mancanza di
specifico intervento legislativo determinativo di criteri e parametri
per la
liquidazione delle indennità, il giudice competente sulla richiesta di
indennizzo, una volta accertato che i vincoli imposti in materia
urbanistica
abbiano carattere espropriativo nei sensi suindicati” può “ricavare
dall’ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni
indennitarie,
nella specie come obbligazioni di ristoro del pregiudizio subito dalla
rinnovazione o dal protrarsi del vincolo”. Nello
stesso senso:
Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, nn. 5720 - 5719 - 5718 -
5717 -
5715. Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5723
- I
principi
in base ai quali può procedersi alla liquidazione dell’indennizzo su
cui siano
reiterati vincoli urbanistici (piano regolatore generale
- Piani
particolareggiati) di natura
espropriativi - La relazione economica
e finanziaria.
I principi
in base ai quali può procedersi alla liquidazione dell’indennizzo sono,
quindi,
secondo la Corte costituzionale n. 179 del 1999, già desumibili
dall’ordinamento vigente, prima ed a prescindere da uno specifico
intervento
del legislatore, e devono, pertanto, essere individuati e precisati
dalla
stessa Amministrazione in sede di rinnovazione del vincolo;
l’intervento
eventuale e suppletivo del giudice postula, infatti, uno specifico
dovere a
carico dell’Amministrazione, che sia suscettibile di adempimento e che
sia
rimasto inadempiuto nel caso di specie. D’altro canto, la Corte offre
già
all’interprete alcune indicazioni utili al fine della individuazione
dei
criteri di liquidazione dell’indennizzo, precisando che: - “Detto
indennizzo
non è, nella quasi totalità dei casi [...] , rapportabile
a perdita di
proprietà. Né può essere utilizzato un criterio di liquidazione
ragguagliato
esclusivamente al valore dell’immobile, in quanto il sacrificio subito
consiste, nella maggior parte dei casi, in una diminuzione di valore di
scambio
o di utilizzabilità”; - “L’indennizzo per il
protrarsi del vincolo è un
ristoro (non necessariamente integrale o equivalente al sacrificio, ma
neppure
simbolico) per una serie di pregiudizi che si possono verificare a
danno del
titolare del bene immobile colpito, e deve essere commisurato o al
mancato uso
normale del bene, ovvero alla riduzione di utilizzazione, ovvero alla
diminuzione di prezzo di mercato (locativo o di scambio) rispetto alla
situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il
vincolo”.
Appare, invece, eccessivo imporre all’Amministrazione, oltre alla
definizione
di tali criteri, anche l’immediata determinazione ed indicazione degli
specifici costi mediante la contestuale predisposizione della relazione
economica e finanziaria, trattandosi di una valutazione difficilmente
effettuabile in sede di pianificazione generale dell’assetto
urbanistico del
territorio comunale. Deve osservarsi, a tale riguardo, che l’articolo
30 della
legge urbanistica - a mente del quale “il piano regolatore
generale, agli
effetti del primo comma dell’articolo 18, ed i piani particolareggiati
previsti
dall’articolo 13 sono corredati da una relazione di previsione di
massima delle
spese occorrenti per la acquisizione delle aree e per le sistemazioni
generali
necessarie per l’attuazione del piano” - non impone che la
predisposizione
del piano regolatore generale e della relazione in parola siano
contestuali.
Merita, quindi, conferma la consolidata soluzione giurisprudenziale che
non
include la contestuale predisposizione della relazione economica e
finanziaria
fra i presupposti di legittimità dell’atto di adozione di uno strumento
urbanistico generale. Nello stesso senso: Consiglio
di Stato, sez. IV,
18 ottobre 2002, n. 5720. Consiglio di Stato, sez. IV, 18
ottobre 2002, n.
5723
- Proroghe
e
differimento di termini degli effetti del decreto legislativo 8 giugno
2001, n.
325 (Testo
unico
delle disposizioni legislative in materia di espropriazione per
pubblica
utilità). Il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325 (Testo unico
delle
disposizioni legislative in materia di espropriazione per pubblica
utilità),
all’art. 58, numero 50, ha disposto l’abrogazione (non retroattiva) del
denunciato d.l.lgt. n. 219 del 1919. Tuttavia detta disposizione non ha
prodotto, né può produrre ancora, effetti, in quanto, in data anteriore
a
quella della originaria entrata in vigore, fissata al 1° gennaio 2002
(art. 59
t.u.), è sopravvenuto l'art. 5 del d.l. n. 411 del 2001 (Proroghe e
differimento di termini), convertito, con modificazioni, dall'art. 1
della
legge 31 dicembre 2001, n. 463, che ha operato un ulteriore
differimento di sei
mesi, a sua volta prorogato al gennaio 2003 con l'art. 3 del d.l. 20
giugno
2002, n. 122. Corte Costituzionale Sentenza del 25 luglio
2002, n. 393
- La
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - La reintegrazione
in forma
specifica, il risarcimento del danno ingiusto - La nozione di
urbanistica - Per
l’occupazione di aree sine titulo va confermata la giurisdizione del
giudice
ordinario.
L’art. 34
del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, nel testo originario, comunque poi
confermato
dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, intervenuta a colmare
la lacuna
determinatasi per effetto della nota sentenza n. 292 del 2000 della
Corte
costituzionale, devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo
le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti ed i
comportamenti
delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia.
L’art. 35
stabilisce che il giudice amministrativo, nelle controversie rimesse
alla sua
giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in
forma
specifica, il risarcimento del danno ingiusto. Queste disposizioni
trovano
entrambe applicazione al caso di specie. La materia urbanistica
comprende, ai
sensi dell’art. 34, comma 2, “tutti gli aspetti dell’uso del
territorio” e la
giurisdizione del giudice amministrativo abbraccia, oltre alla
cognizione degli
atti e provvedimenti, anche i comportamenti delle amministrazioni
pubbliche.
L’ultimo comma dell’art. 34 prevede, altresì, che nulla è innovato “in
ordine
alla giurisdizione del giudice ordinario per le controversie
riguardanti la
determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza
dell’adozione
di atti di natura espropriativa o ablativa”. Da queste disposizioni si
evince
che la giurisdizione esclusiva non si arresta al giudizio di
annullamento del
provvedimento amministrativo e che si estende al sindacato sul rapporto
tra
privato ed amministrazione nella sua portata più ampia, comprensivo
anche dei
comportamenti materiali. Perlomeno di quei comportamenti materiali che
danno
esecuzione o sono altrimenti collegati con il provvedimento. È una
logica
ispirata al riparto della giurisdizione mediante individuazione di
blocchi di
materie, già osservata nel settore del pubblico impiego privatizzato e
proseguita con l’assegnazione al giudice amministrativo della
giurisdizione su
pubblici servizi, urbanistica ed edilizia. La nozione di urbanistica
che
ritaglia tale giurisdizione esclusiva è ampia al punto da assorbire
tutti gli
aspetti dell’uso del territorio. Essa si estende ai procedimenti di
esproprio,
comprensivi sia della dichiarazione di pubblica utilità, sia degli atti
di
occupazione d’urgenza e relativi comportamenti esecutivi, come
confermato da
due argomenti entrambi decisivi, l’uno di carattere letterale e l’altro
teleologico. In conclusione, va affermata la giurisdizione del giudice
amministrativo per le domande di risarcimento del danno di cui alle
precedenti
lettere a) e c), per le quali la causa va rimessa al giudice di primo
grado,
mentre per l’occupazione di aree sine titulo (lett.
b) va confermata la
giurisdizione del giudice ordinario. Consiglio Stato, sez.
IV, 9 luglio
2002, n. 3819
- In
difetto
di una valida e perdurante dichiarazione di pubblica utilità dell’opera
in
ragione della quale è stata disposta l’espropriazione di un fondo non
si
realizza il fenomeno della c.d. accessione invertita, ma soltanto un
fatto
illecito, generatore di danno.
Esiste un rapporto di necessaria implicazione tra una
efficace dichiarazione di pubblica utilità e la configurabilità di
un’opera
pubblica: non può aversi quest’ultima se manca la prima (IV, 9 aprile
1999, n.
606). Pertanto, in difetto di una valida e perdurante dichiarazione di
pubblica
utilità dell’opera in ragione della quale è stata disposta
l’espropriazione di
un fondo non si realizza il fenomeno della c.d. accessione invertita,
ma
soltanto un fatto illecito, generatore di danno (IV, 2 giugno 2000, n.
3177).
In tale ultima ipotesi la controversia rientra nella giurisdizione del
giudice
ordinario. Consiglio Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3819
- Controversie
giurisdizionali sull’indennità di espropriazione - Ipotesi in cui
manchi la
determinazione dell’indennità - Vizio di legittimità del decreto di
espropriazione - Giurisdizione del giudice amministrativo - Ipotesi in
cui
manchi la congruità della misura - Integra la violazione di un diritto
soggettivo a contenuto patrimoniale, con conseguente giurisdizione del
giudice
ordinario.
In tema di controversie
sull’indennità di espropriazione, occorre distinguere l’ipotesi in cui
manchi
la determinazione dell’indennità da quella in cui detta determinazione
vi sia e
si faccia unicamente questione della congruità della misura; infatti,
mentre la
prima ipotesi è qualificabile come vizio di legittimità del decreto di
espropriazione, con conseguente giurisdizione del giudice
amministrativo, la
seconda integra la violazione di un diritto soggettivo a contenuto
patrimoniale, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario
(Cons. Stato,
sez. IV, 13 febbraio 1988, n. 53 e 1° aprile 1980, n. 319).
Consiglio di
Stato Sezione IV, sentenza 2 luglio 2002, n. 3606
- Controversie
sull’indennità di espropriazione - Ipotesi in cui manchi la
determinazione
dell’indennità - Vizio di legittimità del decreto di espropriazione -
Giurisdizione del giudice amministrativo - Ipotesi in cui manchi la
congruità
della misura - Integra la violazione di un diritto soggettivo a
contenuto
patrimoniale, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario - La
statuizione sulla giurisdizione da parte del giudice di primo grado.
Il fatto che il giudice di primo grado si sia
pronunciato con una espressa statuizione sulla giurisdizione non assume
rilevanza, poichè si deve escludere, fino a quando il rapporto
processuale
resti pendente e semprechè sulla giurisdizione non sia intervenuta una
decisione della Corte di cassazione, che tale statuizione sia passibile
di
passare in giudicato, non essendo preclusiva della declaratoria in sede
di
appello una pronuncia espressa del giudice di merito non specificamente
impugnata dalla parte soccombente (Cons. Stato, sez. IV,1° dicembre
1999, n.
2052 e 4 febbraio 1999, n. 112; sez. VI, 25 marzo 1998, n. 390). In
tema di
controversie sull’indennità di espropriazione, occorre distinguere
l’ipotesi in
cui manchi la determinazione dell’indennità da quella in cui detta
determinazione vi sia e si faccia unicamente questione della congruità
della
misura; infatti, mentre la prima ipotesi è qualificabile come vizio di
legittimità del decreto di espropriazione, con conseguente
giurisdizione del
giudice amministrativo, la seconda integra la violazione di un diritto
soggettivo a contenuto patrimoniale, con conseguente giurisdizione del
giudice
ordinario (Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 1988, n. 53 e 1° aprile
1980, n.
319). Nella specie si verte in quest’ultima ipotesi, in quanto il
Comune ha determinato
l’indennità in questione fissandola , secondo nuovi calcoli, in misura
inferiore a quella precedentemente stabilita . Si deve, quindi,
affermare che
la questione rientra nella giurisdizionale del giudice ordinario,
competente a
conoscere non solo le controversie in materia di determinazione della
medesima
indennità , ma anche quelle relative ai criteri di liquidazione ed agli
aspetti
dell’iter procedurale seguito, ivi comprese quelle
inerenti
all’individuazione delle norme, dei sistemi e dei criteri applicabili
per la
determinazione dell’indennità (Cons. Stato, sez. IV, 15 aprile 1999, n.
644 ;
11 febbraio 1992, n. 192; 7 aprile 1990, n. 255). Pertanto, la suddetta
sentenza, nella parte in cui, in accoglimento dell’impugnativa degli
interessati, ha annullato il menzionato decreto del direttore regionale
ai
lavori pubblici di rideterminazione dell’indennità di esproprio e di
autorizzazione all’occupazione in via definitiva i terreni dei
ricorrenti, deve
essere riformata e, per l’effetto, deve essere dichiarato inammissibile
il
relativo ricorso di primo grado. Alla stregua delle considerazioni
esposte, si
deve pervenire alle medesime conclusioni in ordine all’appello
incidentale con
cui gli appellati deducono la mancata indicazione delle ragioni di
interesse
pubblico che hanno indotto l’Amministrazione ad assumere la
determinazione
contestata e l’ erroneo riferimento al momento di determinazione
dell’indennità
. Ugualmente è a dirsi per la dedotta violazione dei termini di cui
all’art. 17
della l. reg. 13 aprile 1978, n. 24; la censura si rivela sfornita di
alcun
nesso con il provvedimento di determinazione dell’indennità di
esproprio e
perciò andava eventualmente proposta contro il primo atto della
procedura. Consiglio
di Stato Sezione IV, sentenza 2 luglio 2002, n. 3606
- La
dichiarazione di pubblica utilità - Procedimento espropriativi.
La dichiarazione di pubblica
utilità costituisce la base comune su cui poggiano sia il procedimento
espropriativo comma 9 dell'art. 9 del D.P.R. 18 marzo 1965 n. 342 - a
tenore
del quale "i decreti di autorizzazione in via provvisoria di cui
all'art.
113 del T.U. 11 dicembre 1933 n. 1775, hanno anche essi efficacia di
dichiarazione di indifferibilità ed urgenza" - deve essere interpretato
sistematicamente in relazione sia ai principi giuridici di ordine
generale
sopra enunciati, sia al contenuto del comma 8 dello stesso art. 9
D.P.R. n. 362
del 1965 in base al quale "i decreti di autorizzazione degli
elettrodotti
da costruirsi da parte dell'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica
hanno
efficacia di dichiarazione di pubblica utilità nonché di
indifferibilità ed
urgenza delle opere relative agli elettrodotti medesimi, ai sensi e per
gli
effetti dell'art. 71 della L. 25 giugno 1865, n. 2359 e successive
modificazioni". TAR Campania-Napoli, Sez. V - Sentenza 11
giugno 2002
n. 3386
- La
comunicazione di avvio del procedimento amministrativo è necessaria in
relazione al procedimento che si conclude con la dichiarazione di
pubblica
utilità - I termini.
Sono ormai
pacificamente riconosciuti in giurisprudenza i seguenti pricipi: a) la
comunicazione di avvio del procedimento amministrativo di cui all'art.
7 della
l. n. 241/90 è necessaria in relazione al procedimento che si conclude
con la
dichiarazione di pubblica utilità, anche implicita, non essendo a tal
fine
sufficiente una partecipazione differita (C.S. ad. plen. 15 settembre
1999, n.
14; IV, 28 gennaio 2000, n. 413); b) i termini di cui all'art. 13 della
L. 25
giugno 1865 n. 2359 devono essere stabiliti nell'atto comportante la
dichiarazione di pubblica utilità (Cons. Stato a.plen. 26 agosto 1991
n. 6,
T.A.R. Marche 23 settembre 1997, n. 813). TAR
Campania-Napoli, Sez. V
dell' 11 giugno 2002 Sentenza n. 3386
- Il
decreto
di occupazione è atto vincolato - Obbligo delle garanzie procedimentali
nell'ambito delle procedure espropriative relative alla costruzione di
linee
elettriche - La dichiarazione di pubblica utilità, espressa o implicita
è
necessaria - La dichiarazione di indifferibilità ed urgenza deve
contenere
anche i termini.
Con la
sentenza 30 maggio 2001, n. 2444, questa Sezione si è espressa sulla
questione
relativa alle garanzie procedimentali nell'ambito delle procedure
espropriative
relative alla costruzione di linee elettriche, aderendo all'innovativa
impostazione adottata dalla IV Sezione del Consiglio di Stato nella
decisione 9
aprile 1999, n. 606. Infatti una dichiarazione di pubblica utilità,
espressa o
implicita, deve necessariamente sussistere, e preesistere, perché possa
aversi,
in senso giuridico, un'opera pubblica; e d'altra parte il decreto di
occupazione è atto vincolato, strettamente consequenziale rispetto alla
dichiarazione di indifferibilità ed urgenza (Ad. plen. 18 giugno 1986
n. 6). I
termini di cui all'art. 13 della L. 25 giugno 1865 n. 2359 devono
essere
stabiliti nell'atto comportante la dichiarazione di pubblica utilità
pena
l'illegittimità dello stesso. (Cons. Stato a.plen. 26 agosto 1991 n. 6,
T.A.R.
Marche 23 settembre 1997, n. 813). TAR Campania-Napoli, Sez.
V dell'
11 giugno 2002 Sentenza n. 3386
- La
richiesta
di restituzione dell'area - Sentenza di annullamento - Giudizio di
ottemperanza
- L'avvenuta esecuzione dell'opera.
L'avvenuta fissazione dei termini de quibus con
successiva delibera (costruzione di elettrodotti, con autorizzazione
provvisoria) risulta infatti parimenti censurabile: non è ipotizzabile
al
riguardo una sanatoria con efficacia "ex tunc" mediante convalida, né
"ex nunc" mediante integrazione postuma dell'atto incompleto, non
essendo consentito all'autorità amministrativa, da un lato, imporre
retroattivamente limiti all'esercizio di diritti soggettivi prima
illegittimamente compressi, dall'altro, eludere la garanzia che la
legge
predispone a favore degli espropriandi (Cons. Stato a.plen. 26 agosto
1991 n.
6; IV, 27 novembre 1997, n. 1326; V, 30 settembre 1998, n. 1360). In
particolare, va osservato che la richiesta di restituzione dell'area va
considerata alla luce degli effetti ripristinatori della sentenza di
annullamento
(per questo si riconosce, in linea di principio, che nell'ambito dei
poteri
riconosciuti al giudice amministrativo all'interno del giudizio di
ottemperanza, rientra la possibilità, una volta accertata la non
esecuzione del
giudicato da parte della p.a., di disporre la restituzione dell'area:
C. S. VI,
16 settembre 1993, n. 623; IV, 5 ottobre 1995, n. 785). E del resto
l'avvenuta
esecuzione dell'opera ha comportato, da parte del ricorrente,
l'esigenza di
specificare il petitum: al riguardo è significativo, a titolo di
esempio,
l'orientamento della giurisprudenza civile secondo cui, ingiunto
dall'amministrazione il pagamento di una sanzione pecuniaria
amministrativa in
forza di titolo munito di efficacia esecutiva, non costituisce domanda
nuova la
pretesa del privato ad ottenere, nel corso del procedimento promosso
per
l'accertamento negativo di tale pretesa creditoria, la restituzione
delle somme
versate in forza dell'esecutività del titolo (Cassazione civile, sez.
I, 5
febbraio 1987 n. 1124). TAR Campania-Napoli, Sez. V
dell' 11 giugno
2002 Sentenza n. 3386
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