Interno ed
esterno della chiesa “SOR CHIARA ROSA PRO SVA DEV. F.F. A. D. 1694”; che può essere ricostruito così, in latino: “SOR CHIARA ROSA PRO SUA DEV(otione) F(acere) F(ecit) A(nno) D(omini) 1694”; cioè “suor Chiara Rosa per sua devozione fece fare nell’anno del Signore 1694”. Nella chiesa crollò il tetto ma caddero anche le volte e gli archi. C’era un transetto, a giudicare dalla maggiore ampiezza della volta nel punto, appena prima dell’altare maggiore. Avvenne una demolizione quasi totale che fece ritenere difficile tecnicamente, oltre che onerosa, la ricostruzione completa della chiesa, così com’era prima del terremoto. Lo stesso altare maggiore, con tutta l’area che lo riguarda, sul fondo, fu distrutto dal sisma. È evidente che un luogo sacro a tre navate, importante per la storia del paese, non poteva avere una zona riservata al culto e alle funzioni religiose tanto spoglia e semplice come la vediamo oggi. Non a caso si pensò di richiudere le due aperture che si notano ancora sul fronte esterno, verso le Coste: anche in questo caso fu per cercare di irrobustire i muri. Così si ritenne pure di irrigidire un angolo del muro a nord costruendo un robusto sperone di pietra, sull’esterno dell’abitato, probabilmente usando gli stessi materiali del crollo. Si ricomposero, pertanto, le macerie dando loro una forma geometrica con massi di contorno e malta. Secondo me ci fu una tecnica che è definita “a sacco”, cioè fatta di solida muratura perimetrale e materiale di riempimento inerte all’interno. Non si spiegherebbe come mai il suddetto sperone avesse una pianta quadrata molto ampia e fosse sistemato, con una funzione di rinforzo, in una zona troppo laterale. Esso, difatti appare decentrato nei confronti della parete esterna della chiesa attuale, mentre un altro sperone molto più piccolo, come si vede nella foto, è posto dove dovrebbe esserci maggiore rinforzo alla struttura. Siccome appaiono anche parti in calcestruzzo, deve ritenersi che i danni alla chiesa furono gravissimi e le conseguenze non del tutto eliminate dopo il terremoto del 1805, ma sono continuate nel tempo. Se si trattò di un risanamento, l’intervento avvenne con il metodo “a cuci e scuci”, come si dice quando si estirpa una pietra inefficace e se ne riposiziona una più adatta, nello stesso alloggiamento del muro. Vi è da aggiungere che quest’ultima ipotesi sarebbe contraddetta dal medesimo tipo di zoccolatura sulla chiesa diruta, poco distante, che sicura-mente risale a un periodo precedente il terremoto del 1805. Ma in quel caso la tecnica è meno precisa, inoltre gli spigoli dei conci sono leggermente arrotondati perché rosi dal tempo e, dunque, l’opera è più vecchia. |
|