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La lapide del Ferruzza: simboli e psicologia
 

Un’analisi psicologica e simbolica dell’opera

Alla luce di quanto appena detto, si può dedicare a questa lapide qualche considerazione anche dal punto di vista psicologico. Ovviamente nessun paragone con quanto scrisse, a suo tempo, il sommo Freud trattando di grandi artisti italiani. Però posso pure affermare che egli prese delle cantonate, come molti studiosi di arte, e non solo, sanno. Per esempio, giudicò simbolo fallico il dito sollevato in alto dell’angelo, in un dipinto di Leonardo da Vinci. Si è scoperto, dopo, che fosse stato aggiunto da altri, forse i discepoli del maestro, evidentemente per uno scherzo.
Proviamo, allora, a girare di novanta gradi la nostra lapide. Che succede?
lapide girata
Non sembri strano, serve a dimostrare che non cambia molto per quel che riguarda la composizione artistica. Difatti notiamo ugualmente come, nell’insieme, i segni grafici siano ben organizzati tra loro, e non importa che cosa significhino per il linguaggio scritto. Hanno lo stesso valore per quello artistico. La grazia, la pulizia e l’umanità restano identiche a quanto rilevabile nell’immagine non girata di fianco. Anzi, si vede meglio l’opera d’arte se ci distanziamo dalla fotografia per evitare di essere coinvolti nel messaggio delle parole.
Ci sono nove lettere “O”. Potrebbe non significare nulla, se non si attribuisse al segno del cerchio un valore simbolico e, naturalmente, psicologico. Ha un incavo meno preciso di tutti gli altri, a tratti tremolante oppure timido. Il motivo è nel senso che noi tutti attribuiamo a un elemento circoscritto.
Si può scegliere tra i seguenti (non cito ciò che direbbe Freud): grembo materno, fratellanza e condivi-sione, familiarità, amicizia, ma anche il tempo. Esattamente quest’ultimo è il migliore fra tutti i sensi che si vogliano rilevare dal cerchio. L’autore di questa lapide era diretto, nel disegno del carattere “O”, da una mano invisibile che gli facesse comunica-re agli altri il nostro destino. Oppure era la parte nascosta della sua mente che lo guidava. La nascita, la vita e la morte: elementi di un unico, un ciclo chiuso, dove non esiste un inizio o non lo conosciamo, la nostra anima, Dio. È il fulcro di chi ha fede.
Il centro della lapide è occupato dalla scritta “OBIIT DIE 15 AG 1658”. Ossia “morì il 15 agosto 1658” (il giorno dell’Assunta, un caso?). La morte come parte centrale fra le due verità, il di qua e il di là, la Terra e il Cielo, oppure ciò che ci sembra e ciò che è, il rela-tivo e l’eterno, il finito e l’infinito.
I caratteri della dipartita sono ben scanditi negli spazi fra loro, diversamente dalla data che riguarda l’anno della composizione della lapide. In questo caso diventa timida e il “9”, ultimo carattere scritto, quasi si vuole nascondere, parte un po’ più in basso delle altre cifre e scende un po’più in basso rispetto a esse. È la certificazione della fine in senso lato.
La lettera “S” è scolpita in maniera troppo diversa, secondo come avanza la scrittura. Bellissima quella del nome, nella prima riga, carica di gioia. Poi sempre più sofferta, l’ultima in EIVS è molto contorta. Il simbolo del serpente? Certamente, il demonio, il male e, dunque, il timore di sporcare un epitaffio di una semplicità evidente, con rimandi al peccato.
Ritengo, alla luce di quanto esaminato fin qui, che lo scultore dovesse avere una profonda fede, essere un amico fraterno di Ferruzza o aver studiato e capito il cuore buono del vescovo morto. Non si possono avere tutte queste caratteristiche, senza conoscere il tempo e la gente che circondava Frosolone. Era, dunque, un uomo di chiesa e del posto? Penso proprio di sì, scelto con acume dal citato arciprete Palumbo e molto capace, non solo tecnicamente.
La chiesa di Santa Maria ha, al suo interno un’opera d’arte magnifica. Più la osservo e più mi affascina e me la gusto. In una parola è “bella” e la bellezza va ricercata sempre nella forma.
Se proprio vogliamo fare un appunto alla composizione di questa lapide, direi che la mitra in alto è meno artistica del resto. Pare di un’altra mano, incerta, forse è stata aggiunta dopo, nel poco spazio lasciato libero. In particolare sono strani i due lati paralleli. Ma tutto l’insieme è poco tecnico e per niente artistico. È evidente l’errore di scolpire i due nastrini, facendoli diventare trasparenti, dopo il profilo del copricapo. Senza offesa, mi pare la busta di carta in testa ai muratori di una volta.
Le due punte sembrano voler mostrare, in prospettiva, il fronte e il retro della mitra, senza riuscirci. Sono, invece, simbolo della morte, così come i due grossi cerchi neri sotto? Se fossero questi i significati di tali elementi grafici, direi che le forme appaiono piuttosto banali. È evidente che anche i due nastri sono troppo minuscoli per essere considerati.
I lati paralleli del copricapo vescovile dovevano esser divergenti dal basso verso l’alto. Ma non per essere simili alla realtà dell’oggetto, quanto per avere uno stile grafico apprezzabile. I nastrini potevano essere tanto più lunghi da abbracciare, per esempio, almeno parte della scritta successiva, quasi a voler simboleggiare la carità cristiana del Ferruzza. Sarebbe stato molto meglio.
Dunque, come ho detto all’inizio, questo disegno della mitra, troppo geometrico, non è coerente con la purezza dei segni successivi. Ha un carattere differente e non omogeneo con il resto. Disturba l’espressività positiva delle parole scolpite, anche se ciò non significa che la lapide perda troppo della sua qualità. Essa, nell’insieme, resta un’opera d’arte.

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