Perché
questa lapide è un'opera d'arte Occorre stabilire, prima di tutto, che cosa s’intenda per “opera d’arte”, ovvero che cosa sia l’arte. Diversamente si esprimono opinioni senza fondamento di verità universale. Dunque, tracciamo una brevissima differenza fra tecnica e arte, in modo da non confonderci con alcuni successivi particolari presenti in Frosolone e di cui si dirà in altre pagine. La tecnica è la capacità di fare qualcosa, senza nessun altro interesse che non sia quello di risolvere un problema. L’arte è, invece, la capacità di esprimere una moltitudine di concetti i quali, se descritti a parole, occuperebbero quantità di pagine, senza mai raggiungere lo stesso scopo. L’opera d’arte, senza a-vere obbligatoriamente il fine di risolvere problemi di uso, difatti, è un condensato di comunicazioni dirette al cuore del fruitore. La fotografia, per esempio, è una riproducibilità tecnica della realtà, anche se in qualche caso l’autore riesce a inserire elementi artistici. Un quadro, semmai fosse riproduzione di un volto o di un paesaggio esistente, è soprattutto una finestra sul mondo interiore del pittore, seppure non sia artistico. Dunque, arte è espressività. Allora, anche una semplice lapide può diventare opera dotata di un simile valore, come nel nostro caso. Vediamo perché. La composizione, il modo con cui lo scultore, così lo chiamerei, del milleseicento elabora le scritte negli spazi a disposizione, è di una grazia unica. Si legge la dolcezza del suo carattere in ogni tratto, specie nella rotondità degli angoli delle parole incise. Si vede la delicatezza della mano, nella pulizia e nell’ordine con cui segue le righe e i ritorni a capo. Si nota l’umanità profusa per incidere i ricami a fondo lapide, quasi a dare una notizia non grave della sepoltura. Ricorda “nostra morte corporale” di san Francesco. Grazia, dolcezza, delicatezza, umanità, ma si potrebbero citare altre informazioni, sono tutte qualità spirituali positive. Esse sono tipicamente presenti nella comunicazione di un’opera d’arte. Se approfondiamo l’esame, troviamo la grazia anche in ogni parola scolpita sulla pietra. Difatti cia-scuna lettera, di uguale senso, è diversa dalla altre. Basti osservare le due R o le due Z di FERRUZZA, oppure le due S di MESSANEN, oppure gli innumerevoli O che si ripetono sempre diversi e distinti nell’intera lapide. Così come vi è delicatezza negli intagli sulla lastra, che non sono mai troppo larghi e mai troppo profondi. Diversamente avrebbero indicato al lettore (o al fruitore dell’opera) presunzione, egoismo, sopraffazione, imposizione. Qui, invece, il senso di religiosità pervade ogni elemento dell’opera. L’umanità dell’autore si deduce anche dal lavoro eseguito a mano libera. Non sono stati usati, come si evince, stampi per segnare le lettere sul piano per poi scolpirle meccanicamente, senza anima. Il tratto, talora tremolante o imperfetto, ci parla di un uomo non più giovane che affida anche se stesso al ricordo nel tempo. Dunque, possiamo leggere un contenuto manifesto, quale è sempre nelle opere tecniche, (qui l’epitaffio), e uno nascosto e più profondo (le qualità espressive), che distingue le opere d’arte. Infine il materiale. Il colore ombrato della pietra usata, sicuramente non bianco del tutto all’origine, ci dice che essa fu pensata, come è stato, per la storia. A tal proposito le frasi paiono scelte per essere scolpite nel tempo che passa, fino a noi e oltre. |
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