Come desumere dalla larghezza delle strade il tipo di popolazione
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all'indice generale degli argomenti sull'ambiente.A parte quanto appena detto, una riflessione sulla larghezza delle strade urbane è possibile, se si esamina il tessuto, l’insieme delle case e degli spazi, che caratterizza il centro storico. Le strade primarie, quelle che fendono l’intero paese e distribuiscono il traffico verso i vicoli laterali, sono più lunghe delle altre, ma si può essere certi che non sono nate larghe come le vediamo ora. Tutto questo che significa? È semplice: che gli spazi sono stati ampliati nel tempo, a mano a mano che crescevano le esigenze della popolazione. E allora si deve scavare nella storia di questo luogo a capire quali potevano essere tali esigenze. Un indizio proviene dall’esame dei registri comunali delle nascite nel milleottocento. Si nota che il mestiere di coloro i quali dichiaravano i propri figli era soprattutto “contadino”. Pochissimi gli artigiani e meno che niente i professionisti. Si spiega facilmente con il nostro territorio montano, ricco di prati, di boschi e di terreno da coltivare, oltre che con l’uso civico su circa milleduecento ettari di altopiano. Tutti i tipi di lavori conseguenti si svolgevano all’aperto, in campagna e il centro storico era, in pratica, un luogo dove dormire, dove ci si ritraeva al calar del sole e si lasciava all’alba. Ancora di più nei secoli precedenti, quando gli artigiani erano meno e gli stessi contadini si trasformavano in occasionali ciabattini, falegnami, ferrai, muratori. Se si mettono insieme le considerazioni sugli spazi urbani, e di ciò abbiamo anche rilevato come le piazze erano quasi inesistenti oppure di minore ampiezza, si può capire il motivo di tale aspetto urbanistico. Non è un caso che anche nella toponomastica esiste solamente una sola “piazza” e, in due altri casi, si parla di “largo”. In un centro abitato in cui gli artigiani sono una minima parte della popolazione, gli spazi ampi, necessari per il carico e lo scarico delle merci, non sono necessario. In una zona di montagna, dal clima rigido e dal lungo inverno, ci si difende anche con le case compatte, addossate tra loro. Le funzioni religiose nelle chiese, ben presenti fin dalla nascita di Frosolone, erano forse l’unico momento d’incontro della popolazione locale. Del resto, in assenza di aree adeguate, neanche il commercio, con i mercati di zona, si poteva svolgere dentro il perimetro storico. È ipotizzabile che già in periodi molto indietro nel tempo, i venditori e gli acquirenti si incontrassero appena fuori della zona sud di Frosolone, quella che ancora oggi si chiama “mercato”. Lo dimostrano le due porte che sull’area si affacciano e, appunto, il toponimo che ricorda una funzione antica, come spesso avviene (è il caso di via Tevere di cui si è scritto). Per molti secoli è stato così. Tutto cominciò a cambiare nel milleottocento. Avvenne non solo a causa del terremoto del 1805, che determinò una rinascita e una ricostruzione con nuovi criteri del centro storico (basti pensare alla creazione di largo Vittoria, dopo il crollo della originaria chiesa di San Pietro). Ci fu pure l’unità d’Italia, uno scambio commerciale più vasto e, soprattutto, l’energia elettrica. Si poteva illuminare le strade e lavorare anche dopo il tramonto, non più con lampade a petrolio o con le candele, ma con una luce stabile, poco fastidiosa e dall’accensione automatica. Poi arrivò il motore elettrico e tutto cambiò definitivamente, quando Frosolone divenne un paese artigianale durante lo scorso secolo ventesimo. L’ampliamento degli spazi urbani, con le demolizioni, è continuato nel tempo, fino ai nostri giorni. Ormai non esiste più un’utilità da tali tipi di interventi: la nostra vita è diversa. Si può affermare che il centro storico si è bloccato nel suo divenire e ogni intervento lo farebbe scemare di valore. È affascinante così com’è, come lo hanno generato il tempo e le epoche, come raccontano le sue pietre a chi sa guardare oltre. Restano da applicare solamente i criteri del restauro, per mantenere in vita la sua storia, affinché non diventi un museo a cielo aperto. In tal caso se ne certificherebbe definitivamente la morte. |
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