Archeologia
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La scrittura osca e l'andamento sinistrorso
 

La lingua dei Sanniti

Il linguaggio parlato e quello scritto

Nel suo libro Il Sannio e i Sanniti, Salmon ipotizza che i Sanniti ci abbiano lasciato poche testimonianze di parole scritte perché non conoscevano la scrittura. Ossia parlavano la lingua osca dei loro progenitori, ma non sapevano o non avevano necessità, fino a un certo punto, di servirsi del linguaggio scritto. Per tale ragione non troviamo testimonianze di quell'epoca, mentre potrebbe essere stata introdotta la scrittura, tramite la vicinanza con gli Etruschi, a partire dal quinto secolo prima di Cristo.
Tale ipotesi, oltre che essere molto intelligente, appare affascinante. Come di un popolo che vivesse solamente nel proprio mondo e che non comunicasse con i propri vicini se non quando doveva, per esempio, barattare prodotti. Questo apre anche un altro scenario collegato: ossia che il progresso, intendendolo nel senso culturale e tecnologico, pur nella sua lentezza cronologica, trovasse un ostacolo che per anni sarebbe stato pure il motivo di una certa arretratezza e rozzezza. La stessa che quasi tutti gli scrittori latini, ma di epoche successive, addebitavano ai Sanniti. Forse così, sbrigativamente, si spiegherebbero anche le cinte murarie di massi non squadrati. Una tecnologia povera e, per certi aspetti, elementare.
Si potrebbe aggiungere, considerando la maniacale ricerca della difesa dei loro villaggi, basti pensare alle cinte murarie doppie, che i Sanniti non volessero scrivere, che potessero esserci dei divieti per non avere contatti con i popoli vicini. Almeno fino a una certa epoca della loro storia, quando, cioè, dovettero scendere nelle pianure della Campania. La storia si scrive e, poi, si riscrive e molte analisi e ipotesi servono proprio e a ricercare la verità, non quella che raccontano di solito i vincitori.
Però questo popolo guerriero e forte, doveva anche mostrare una fragilità psicologica, se vogliamo un'umiltà che lo fece apparire generoso, quando mandarono indietro i prigionieri delle Forche Caudine senza ucciderli, oppure quando, molto prima, scelsero di vivere sulle montagne, fredde d'inverno e difficili da percorrere. Se si accetta questa visione di quel carattere, buono e amichevole, bisogna anche convenire che il modo di scrivere la lingua osca possa essere interpretato in una maniera ben precisa.

La scrittura sinistrorsa osca

I reperti di epoca sannita che contengono scritte, mostrano quelle ad andamento sinistrorso. I caratteri, oltre che essere speculari, quindi visibili secondo il nostro modo di leggere, allo specchio, partono da destra e vanno verso sinistra. Un esempio è l'incisione sulla pietra osca di Molise, di cui si tratta in un'altra pagina di questa sezione.
Il grafologo svizzero Max Pulver, amico di Freud e di Jung, parla dei seguenti caratteri psicologici quando analizza la scrittura nel suo libro La simbologia della scrittura:

  • l’alto rappresenta il cielo, il giorno, la luce, la spiritualità
  • il basso rappresenta la notte, le tenebre, la profondità, gli istinti
  • a destra s’incontra l’altro, il futuro, l’estroversione, la realizzazione, il padre
  • a sinistra si va verso il passato, le origini, la madre, il timore dell’io di andare avanti, l’introversione.
A sinistra va proprio la scrittura in osco, al massimo grado se non è soltanto l'inclinazione dei caratteri, quanto proprio il percorso di chi scrive. Pulver dice espressamente, a proposito della scrittura sinistrorsa, che essa mostra la tendenza a ritornare all'origine, ai valori del passato, una ricerca della riflessione e della meditazione.
Se è così, se i Sanniti erano popolo che curava la propria casa, il villaggio come luogo del proprio e unico mondo, dell'esistenza su questa terra, in alto, verso il cielo e la luce. Se quel popolo, come crediamo, fosse altamente spirituale e lo dimostra la tavoletta di Agnone, (peraltro ritrovata presso Capracotta), la quale contiene numerose divinità legate alla madre terra, quindi alla vita, all'esistenza che era strettamente connessa con il cibo, allora bisogna convenire che è possibile ampliare l'interpretazione di Max Pulver.
La scrittura dei Sanniti era leggibile dalla parte opposta rispetto a chi scrive, vista di fronte. Per capire bisognava essere mentalmente dentro l'oggetto che lo scritto conteneva. Per il fatto che la scrittura, forma di comunicazione che resta nel tempo, viene offerta, come segno di amicizia, come dono, in maniera che si legga guardando negli occhi chi abbia scritto e quella fra i due. Lo specchio non esisteva ma la capacità di essere colui che, da amico e sull'altro lato del messaggio, partecipa nel modo alla fase comunicativa. In un altro momento dell'esistenza o altrove. Meglio ancora se dopo ventidue secoli, come è avvenuto per ciò che abbiamo.
Qualcuno potrebbe osservare che questa interpretazione della scrittura sinistrorsa dei Sanniti non abbia alcun riscontro oggettivo per essere vera. Certamente, come moltissime altre ipotesi su quel mondo che, in assenza di altri scavi nelle tantissime zone archeologiche delle terre del Molise, della Campania e dell'Abruzzo, hanno comunque diritto di cittadinanza.

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